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    ATTUALITA' STUDI CLASSICI - RIVIVE TEATRO ROMANO DI TERRACINA

    ATTUALITA’ STUDI CLASSICI – RIVIVE TEATRO ROMANO DI TERRACINA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 16 novembre 2023

     

    Ad ampio colloquio con il professor Francesco Ursini, docente di letteratura latina alla Sapienza, sull’attualità di una formazione umanistica sotto attacco dall’esterno (è inutile) e dall’interno (ha contenuti inaccettabili) – Intanto a Terracina è stato recuperato il Teatro Romano: conservato nei materiali originari, annovera tra i reperti la testa di una statua di Giulio Cesare e le sedute di due nipoti, poi figli adottivi, di Cesare Ottaviano Augusto. Piccola galleria fotografica.  

    Durante i festeggiamenti del Novantesimo del Liceo Giulio Cesare di Roma  (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1161-il-liceo-giulio-cesare-di-roma-ha-90-anni-i-ricordi-di-carlo-trezzini.html ) abbiamo avuto occasione di ascoltare una relazione – molto stimolante - sull’attualità degli studi classici, svolta dal professor Francesco Ursini (docente di letteratura latina alla Sapienza e tra l’altro presidente della delegazione di Roma dell’Associazione italiana di cultura classica). 47 anni, nella sua carriera si è occupato particolarmente di Ovidio (il suo ultimo libro è: “Una poetica della dissimulazione. Verità e finzione nelle Metamorfosi e nelle altre opere ovidiane”) e in genere della fortuna del classico nella letteratura italiana e nella cultura occidentale contemporanea. L’abbiamo incontrato l’altro giorno a Roma, nel suo studio presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Facoltà di Lettere e Filosofia…

     

    Professor Ursini, dai dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito si evince che la tendenza al calo delle iscrizioni al liceo classico persiste. A livello nazionale italiano siamo ormai al 5,8%, in Lombardia addirittura al 3,7%, mentre il Lazio -grazie a Roma – tiene, essendo poco al disotto del 10%...

    La tendenza, consolidata perché tale è da diversi anni, è indice di una perdita di considerazione verso gli studi classici, e in generale umanistici, che si manifesta nella società in cui viviamo. Si constata non solo il calo delle iscrizioni al classico, ma anche il successo dello scientifico senza latino…

    … che in alcune regioni (vedi Piemonte) già sorpassa lo scientifico tradizionale

     … mentre nel Lazio ancora lo scientifico tradizionale doppia quello senza latino. La tendenza comunque è chiara: si diffonde sempre più l’opinione che al classico si possa rinunciare senza problemi. Ti servirà a qualcosa studiare il latino? Ti farà trovare lavoro? Perché sottoporti allo sforzo gravoso di comprendere le lingue antiche? E perché perdere tempo inutilmente con le traduzioni… che tanto si trovano già fatte su Internet e in futuro potranno essere realizzate in pochi secondi dall’intelligenza artificiale?

    Insomma nessuna gratificazione sociale per uno sforzo che pare inutile…

    È sbagliato credere che la formazione scolastica debba produrre un’utilità immediata. Infatti i classici si studiano non perché siano subito spendibili nel mercato del lavoro, ma perché contribuiscono in modo rilevante a farci capire chi siamo e dunque a vivere con maggiore consapevolezza i tempi in cui siamo immersi.

     

    STUDIO DEI CLASSICI E IDENTITA’

    Con ciò intende suggerire che, studiando sempre meno i classici, noi perdiamo progressivamente coscienza anche delle nostre radici, della nostra identità?

    Il punto è cruciale. Purtroppo, quando oggi si parla di identità, si manifesta una tendenza da parte di diversi intellettuali a concepirla come qualcosa di negativo, perché il termine può essere utilizzato in funzione dell’esclusione del diverso. Ragionare così per me è un controsenso che non ha nessuna ragione d’essere: la coscienza della propria identità è, al contrario, il presupposto fondamentale per potersi confrontare e dialogare con qualcuno che ha altre radici. Se non sappiamo chi siamo e da dove veniamo, come possiamo interloquire in modo fecondo con chi proviene da culture diverse? Può piacere o non piacere, ma è un dato di fatto: siamo immersi in una società già caratterizzata dal multiculturalismo e che lo sarà sempre di più. Se noi non conosciamo o, peggio ancora, neghiamo la nostra identità, come possiamo sperare di riuscire a contribuire alla crescita di una società in cui ‘gli altri’ saranno sempre più numerosi? Se proprio non si vuole usare il termine ‘identità’, si può parlare di ‘cultura’, di ‘letteratura’, di ‘storia’...

    Ecco… di ‘storia’. Ci viene in mente che negli ultimi anni nella scuola italiana la disciplina chiamata ‘storia’ (insieme con la ‘geografia’) ha perso molte posizioni… forse anche questo non si inserisce nella tendenza a ritenere inutili gli studi umanistici?

    La grande forza della formazione scolastica italiana è stata quella di aver sempre valorizzato il passato e dunque la dimensione storica, emergente in tante discipline. Infatti noi studiamo una poesia non come se fosse un’entità sospesa nel nulla, ma come una creazione artistica realizzata in un determinato contesto storico-sociale. Tale contestualizzazione ci permette di comprenderla meglio. Nel nostro discorso questo aspetto è decisivo. Tanti attacchi alla cultura classica che provengono dagli Stati Uniti, ma non solo (perché lì si manifesta a volte in forme estreme… eppure anche in Europa gli attacchi violenti non mancano) sono frutto della mancanza di una coscienza storica: si condannano le opere del passato, in quanto – si proclama – espressione di valori che noi non condividiamo più. Tali critiche, spesso anche aspre, ignorano completamente la necessità di contestualizzare e dunque di storicizzare opere create tanti secoli fa, all’interno di altri tipi di società. Si condannano grandi autori classici per un’affermazione scovata nei loro libri, si pretende la messa al bando di tali autori oppure la riscrittura ‘riveduta e corretta’ dei loro testi. Eppure quelle affermazioni che oggi noi riteniamo inaccettabili – e spesso lo sono veramente – sono state scritte in tempi in cui tutti le condividevano, ed è assurdo giudicarle in base ai nostri parametri.

     

    ATTACCHI INGIUSTIFICATI ALLA CULTURA CLASSICA

    A proposito di attacchi… Lei ne ha fatto esperienza diretta a seguito di una Sua opera su Ovidio (ed. Apes, Roma), uscita nel 2017…

    Sono stato al centro di un caso che reputo veramente esemplare. In occasione del bimillenario della morte di Ovidio, nel 2017, sono stato incaricato dall’Istituto di Studi Politici “San Pio V” di svolgere una ricerca, poi divenuta libro, sulla fortuna del poeta in Europa dal secondo dopoguerra in poi: Ovidio inteso anche come espressione di una cultura classica condivisa che (insieme con quella giudaico-cristiana) è alla base della civiltà europea. Bisogna cercare quello che unisce gli europei, che culturalmente tra loro si conoscono poco, come mostrano le indagini continentali svolte in ambito giovanile. Nel momento in cui si tende a un’integrazione politica maggiore (che deve auspicabilmente far seguito a quella economico-finanziaria), occorre accompagnarla con quella culturale, che come abbiamo detto è molto carente anche perché fin qui assai sottovalutata.

    Insomma il libro nasceva proprio con l’intenzione di favorire tale integrazione, mostrando l’attualità della cultura latina…

    Le Metamorfosi di Ovidio non sono forse anche specchio della fluidità della nostra società, della sua ‘liquidità’, secondo la ben nota definizione di Zygmunt Bauman? Il mio libro evidenziava questi elementi comuni tra passato e presente. Eppure una delle più importanti studiose americane di Ovidio, Barbara Weiden Boyd, in una recensione l’ha definito – sintetizzo – un libro nazionalista e sciovinista. Ciò che mi ha colpito più negativamente è l’idea che sta dietro tale critica: chi scrive un libro che cerchi di misurare l’importanza di Ovidio per la cultura europea e mondiale è da condannare, perché – si sottintende – scrivere un libro su Ovidio significa celebrarlo. E celebrarlo diventa inaccettabile, perché Ovidio esprime nei suoi versi contenuti e valori da cui si deve dissentire. È un ragionamento, quello della Boyd e di altri che la pensano come lei, viziato da un errore di fondo. Mi spiego con un esempio: se oggi ovviamente siamo contrari allo schiavismo e al colonialismo, e se riteniamo che l’Impero Romano ne sia espressione, non è che per questo dobbiamo smettere di studiare i testi antichi che ne parlano. Gli autori classici vanno letti e conosciuti… poi certo li possiamo e dobbiamo anche criticare, non dimenticando in ogni caso mai che erano figli del loro tempo, come noi lo siamo del nostro. Pensi a certe parole di Seneca, che condivide il pensiero di un collega filosofo a proposito dell’intenzione di un amico di suicidarsi. In sintesi: Che si suicidi! In fondo la vita che cos’è? Non è una gran cosa… anche gli schiavi vivono, anche gli animali! Sono parole che oggi ci fanno rabbrividire, ma è giusto che siano conosciute e comprese nel loro contesto storico.

    C’è anche chi, al contrario dei demolitori specie anglosassoni, gli antichi li mette su un piedestallo…

    Io penso che i testi antichi debbano essere studiati da tutti per la loro importanza storica e culturale. Poi, in alcuni casi, li si può anche proporre come dei modelli: è una scelta legittima, cui personalmente mi sento anche per certi aspetti vicino, ma non può essere imposta a tutti perché si tratta, appunto, di una scelta personale. C’è chi gli antichi li propone quali esempi di humanitas come l’Accademia Vivarium Novum di Frascati, un’istituzione educativa che si prefigge lo studio, l’insegnamento e la promozione delle lingue classiche come lingue parlate. È un luogo dove con i miei occhi ho visto e ascoltato bambini cinesi di sette o otto anni che parlavano in latino tra loro. Può stupire, ma il fondatore di Vivarium Novum, Luigi Miraglia, mi ha raccontato di aver incontrato funzionari cinesi che erano convinti di dover puntare su una formazione umanistica e dunque ancorata a valori esistenziali solidi, dato che al contrario la formazione tecnologica è per sua natura provvisoria: difatti evolve molto velocemente e ciò che hai imparato ieri, dopodomani potrebbe rivelarsi già obsoleto. Anch’io condivido tale tesi e penso che tutti dovrebbero ricevere una formazione umanistica di base, che dà le chiavi per poter interpretare meglio la realtà magmatica in cui viviamo.

    Quella classica è anche una cultura in cui il teatro ha larga parte. Una pratica usuale nei licei classici (al Giulio Cesare ad esempio ogni anno c’è l’occasione di assistere a spettacoli del Teatro greco di Siracusa) e anche qui in questa università, fondata nel 1303 da Bonifacio VIII con il nome di Studium Urbis: arrivando nell’atrio abbiamo visto esposta la locandina di uno spettacolo di Theatron-Teatro antico alla Sapienza

    Sì, è un’iniziativa molto bella e importante… ci sono due laboratori: nel primo i testi vengono tradotti con rigore filologico e vengono ricostruiti drammaturgicamente, nel secondo si mettono in scena. Il teatro è certo parte integrante della cultura classica e non solo di quella: è difficile comprendere appieno il teatro moderno senza la conoscenza di quello greco in particolare. Penso che vada dunque favorito nei licei e nelle università come veicolo di comunicazione, fruibile da tutti e di conseguenza  incisivo, di alcuni dei contenuti e dei valori della classicità.

     

    TRE PAROLE-CHIAVE DEL PROFESSOR URSINI: RESPONSABILITA’, NECESSITA’, OPPORTUNITA’

    In un articolo apparso sul sito dell’Enciclopedia Treccani e introduttivo di una tavola rotonda del 2015 sul tema della crisi degli studi umanistici, Lei ha richiamato un trinomio di parole-chiave che dovrebbero caratterizzare l’approccio odierno a tali studi: responsabilità, necessità, opportunità…che cosa intende esattamente con tale richiamo?

    Credo sia fondamentale non solo da un punto di vista culturale, ma anche politico e strategico continuare a sostenere con forza l’importanza dello studio delle lingue e delle letterature antiche come patrimonio prezioso della società. Con responsabilità, una parola-chiave che contrasta il prevalere della mentalità di chi dice: “ma questa non è oggi una priorità, siamo in mezzo a crisi molto gravi, di cultura umanistica si potrà parlare quando le crisi saranno risolte…”. Dico: stiamo attenti, perché interrompere la trasmissione di una cultura espone al grave rischio di non poterla riprendere così facilmente da dove è stata troncata. I saperi vanno infatti coltivati con cura, preservati nel tempo perché non inaridiscano. L’interruzione comporterebbe un vuoto, un salto generazionale difficilissimo da recuperare.

    E per quanto riguarda necessità e opportunità?

    Oggi è necessario essere il più possibile coscienti di noi stessi, delle nostre radici. Certo uno può vivere ed essere felice anche senza conoscere la storia della propria famiglia, da dove viene… e però gli mancherebbe qualcosa di essenziale per una vita pienamente consapevole. Conoscere il passato è dunque una necessità, ma anche un’opportunità da cogliere per avere dei punti fermi di riferimento nel confronto con un’evoluzione rapidissima – che mai nella storia dell’umanità abbiamo conosciuto in tale misura –, dovuta anche e soprattutto alle continue innovazioni tecnologiche. In questo contesto i classici rappresentano una indispensabile chiave di lettura di noi stessi e del mondo: per questo dico che continuare a studiarli è una responsabilità, una necessità, ma anche una straordinaria opportunità.

     

    IL TEATRO ROMANO DI TERRACINA RIVEDE LA LUCE DEL SOLE: VEROSIMILMENTE UN 'UNICUM' IN ITALIA

    Sabato 11 novembre 2023 è rinato ufficialmente – essendo quasi completati i lavori di restauro – il Teatro Romano di Terracina, costruito tra il 60 e 70 a.C. sotto Lucio Cornelio Silla e rinnovato imperante Cesare Ottaviano Augusto a cavallo dell’inizio dell’era volgare.

    Sepolto per secoli sotto stratificazioni medievali e moderne, si era riaffacciato parzialmente alla luce a seguito delle devastazioni (nel centro storico attorno a piazza Urbano II e alla marina) prodotte il 4 settembre 1943 dagli ordigni angloamericani nel primo bombardamento della città (oltre 130 i morti, diverse centinaia i feriti).

    Degli Anni Sessanta i primi sondaggi ad opera della Soprintendenza regionale competente, seguiti da altri negli Anni Novanta; poi nel 2017 la decisione di avviare seriamente i lavori, sotto il deciso impulso dell’allora sindaco Nicola Procaccini (oggi europarlamentare) e dell’odierno Soprintendente Francesco Di Mario, con l’aiuto importante a livello politico-culturale di uno schieramento trasversale (comprendente tra gli altri Silvia Costa e Maria Burani). Si pensi che nel 2021 Terracina si è sorprendentemente piazzata al secondo posto (preceduta da Milano) tra le città italiane beneficiarie di fondi governativi per la cultura. 

    Inaugurate l’8 dicembre 2021 le prime visite guidate per il pubblico, si è pervenuti alla cerimonia solenne di sabato 11 novembre, incorniciata da una folla consistente in piazza del Municipio, alla presenza - insieme con moltio protagonisti del restauro - del sindaco Francesco Giannetti (oltre che del vescovo Mariano Crociata).  Musica per chiudere, ad opera della Roma Tre Orchestra, tutta di giovani: ed è stato questo il primo spettacolo organizzato nel teatro dopo tanti secoli.

    Il teatro (che è stato recuperato per ampie parti, anche se non integralmente) presenta alcune particolarità che lo rendono verosimilmente un unicum in Italia.

    E’ inserito in un insieme architettonico eccezionale, adiacente alla via Appia, con il Foro Emiliano (fine I secolo a.C. – inizi I secolo d.C.), la cattedrale di San Cesareo (XI secolo, vi fu eletto papa Urbano II), Palazzo Braschi (XVIII secolo). Il teatro è costruito ‘alla greca’, con la cavea addossata al declivio della collina.

    E’ stato recuperato utilizzando i materiali originari, senza aggiunte: ha ad esempio la stessa cavea di due millenni fa, liberata nel suo versante orientale dalla copertura terrosa e riportata nel suo aspetto originale, con il riposizionamento dei blocchi calcarei e delle sedute per il pubblico. Per fare questo si è dovuta abbattere una palazzina antistante, le cui pietre erano però già utilizzate originariamente così che sono servite anch’esse per completare il restauro.

    Dagli scavi sono emersi alcuni reperti di valore incommensurabile. Nel 2021 ecco due basi marmoree dedicate a Gaio e Lucio, nipoti e poi figli adottivi di Cesare Ottaviano Augusto (la città li chiamò patres, patroni, dopo la loro morte in giovane età). E’ invece dell’anno scorso il ritrovamento della testa di una statua di Giulio Cesare, con “i segni del tempo sul volto” come viene precisato. Un ritratto che non è esagerato definire eccezionale, che è visibile nell’adiacente Capitolium e di cui è stata fatta anche una ricostruzione fotografica.

    Prima che il teatro sia fruibile concretamente dal pubblico (oltre alla possibilità di visite guidate, vedi per informazioni lo 0773/ 35 93 46) dovranno essere completati i lavori di restauro (comunque siamo in dirittura d’arrivo) e il Comune dovrà occuparsi di allestire impianti audio e video, un sistema efficiente di illuminazione, un palco funzionante e di rendere sicuri accesso e deflusso del pubblico. Si prevede che il tutto sia pronto per il 2025 e che il teatro potrà ospitare almeno 500 spettatori, un numero inferiore a quello dei tempi dell’antica Roma per ragioni di sicurezza e di persistente interramento di una parte dell’antica costruzione imperiale.

    P.S.  A seguire una piccola galleria fotografica. Dopo la foto del professor Francesco Ursini – intervistato sull’attualità degli studi classici - quelle legate al recupero del Teatro Romano di Terracina (foto di Andrea Longo alias Jolly Barone).  

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