INTERVISTA A GUZMAN CARRIQUIRY: IL PAPA COME LO CONOSCO– di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 15 aprile 2014
Parla il segretario della Pontificia Commissione per l’America latina, amico di lunga data del nuovo Papa – Nuova geopolitica ecclesiale – Strane pretese degli europei – La solida formazione culturale gesuitica – Il Papa non è peronista, ma… - Le critiche dei ‘troppo seduti’, simili al fratello maggiore della parabola del figliol prodigo – Opera del Maligno la contrapposizione tra Papi – Perché Bergoglio non interviene puntualmente quando in vari Paesi si attaccano vita e famiglia
Da 43 anni al Servizio della Santa Sede il settantenne (compleanno il 20 aprile, auguri!) professor Guzman Carriquiry Lecour è oggi segretario della Pontificia Commissione per l’America latina, primo laico a ricoprire tale incarico (da maggio 2011) com’era stato il primo laico ad essere scelto come sottosegretario di un dicastero vaticano, il Pontificio Consiglio per i laici (da settembre 1991). Uruguayano nato a Montevideo, laureato in diritto e scienze sociali, Guzman Carriquiry è stato dirigente della gioventù studentesca e universitaria cattolica sia in patria che a livello latino-americano. Nella sua attività pastorale tra l’altro ha collaborato spesso sia con l’episcopato latino-americano che nella preparazione di viaggi papali in quel continente; responsabilità di primo piano le ha avute anche nell’organizzazione delle Giornate mondiali della Gioventù e nei contatti con le più diverse aggregazioni laicali del mondo cattolico. Tra le sue numerose pubblicazioni “Una apuesta por America Latina” (Editorial Sudamericana, 2003 – in italiano presso “Le lettere”) e “El bicentenario de la Independencia de los Paises latino-americanos: ayer y hoy” (Ediciones Encuentro, 2011 – in italiano presso Rubbettino), ambedue prefati da Jorge Mario Bergoglio, allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires, ma che Guzman Carriquiry conosceva fin da quando l’attuale Papa era padre provinciale dei Gesuiti argentini…
Professor Carriquiry, al momento dell’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio quale fu il sentimento dominante?
Ci fu l’impatto di una novità sorprendente. Ci è toccato di vivere in poco tempo due fatti inediti di una portata enorme: la rinuncia di papa Benedetto, poi l’elezione del primo Papa gesuita e latino-americano. E’ stato qualcosa di sconvolgente… due scosse di terremoto! Non a caso papa Francesco ripete sempre che bisogna essere aperti e accoglienti verso le novità di Dio, andare oltre le nostre “sicurezze”, persino quelle ecclesiali, pastorali, spirituali.
Anche Lei è stato sorpreso dall’elezione di un cardinale che ben conosceva e che aveva anche scritto la prefazione dell’edizione originale spagnola del Suo libro del 2005 “Una scommessa per l’America latina” e quella del più recente sul “Bicentenario dell’indipendenza dei Paesi latino-americani”?
Ho avuto da anni la certezza spirituale che padre Bergoglio fosse destinato a divenire Papa… Lo conoscevo, frequentavo da lungo tempo e ogni volta che lo incontravo mi confermava in tale certezza…
Però nel 2005 era già stata avanzata la sua candidatura in alternativa a quella di Joseph Ratzinger, ma senza successo, pur essendo stata appoggiata da una quarantina di confratelli rossoporpora...
Tutti noi pensavamo nei lunghi anni della malattia di papa Giovanni Paolo II che il cardinale Ratzinger, data la sua personalità straordinaria, sarebbe stato il candidato più indicato alla successione. Sono convinto che quello stesso giudizio fosse anche del cardinale Bergoglio: credo che lui stesso fosse sorpreso di essere candidato e che lui stesso pensasse che non fosse ancora scoccata la sua ora. In ogni caso, per lo stesso Bergoglio, non fu una ‘candidatura in alternativa’.
A un anno di distanza c’è ancora entusiasmo per la ‘sorpresa‘, per la ‘novità’?
La prima sorpresa di Dio è stata la velocità del passaggio dalla condizione drammatica, tesa, per certi versi oscura di cui stava soffrendo il saggio e santo papa Benedetto XVI in quella sorta di Via Crucis che è stata il suo pontificato alla condizione di gioia e di speranza suscitata dai primi mesi del pontificato di papa Francesco. Credo che fin dal primissimo momento il Papa latinoamericano abbia esercitato un’attrazione formidabile non solo per i cattolici, non solo per tutti i cristiani, ma anche nel mondo delle altre religioni e dei lontani, degli agnostici, perfino degli atei.
Come si può spiegare questa grande attrazione?
Non soltanto con le grandi virtù comunicative di papa Francesco. C’è qualcosa di più. Forse, dopo i tempi drammatici, il cuore della gente attendeva qualcosa d’altro, serenità, gioia. D’altra parte papa Francesco dall’inizio stesso del suo pontificato ha fatto tutto il possibile, con la grazia di Dio e anche guidato dalla sua esperienza pastorale precedente, per cercare di arrivare al cuore delle persone. Questa attrazione persiste. Non è stato l’entusiasmo passeggero della novità, come tanti pensavano. Anzi, piazza San Pietro all’Angelus domenicale e nelle udienze del mercoledì è più piena che mai. E i sondaggi in tanti Paesi confermano una popolarità straordinaria, che – è anche comprensibile – nell’America latina si situa oltre il 90% di consensi.
Di che tipo è questa grande attrazione?
E’ certo un fenomeno molto complesso. Vi ritroviamo l’attrazione superficiale, che i massmedia a volte alimentano. A volte l’attrazione è determinata dalla curiosità, spesso di persone lontane dalla Chiesa. Poi c’è l’attrazione che sta rompendo molti pregiudizi, resistenze. Attratti sono anche coloro che vedono riaffiorare dentro di sé domande e attese. Per moltissimi poi l’attrazione è legata al rifiorire della fede.
Che cosa significa per la Chiesa avere per la prima volta un Papa latino-americano? E per l’America latina? Qualcosa di sostanziale è cambiato?
Il cambiamento è profondo. Prima abbiamo avuto, dopo 500 anni, un Pontefice venuto al di là delle frontiere italiane, dalla Polonia semper fidelis. Poi un altro europeo non italiano, il più grande dei pensatori della cultura umanistica europea, il cardinale Joseph Ratzinger. Prima il Papa, pellegrino tra le nazioni; poi il maggior rappresentante della tradizione cristiana europea. Ora abbiamo un Papa che viene quasi dalla fine del mondo, al di là dell’Oceano.
… frutto anche di un riassestamento geopolitico?
Sì. Questa elezione è in una certa misura il segno del declino economico, politico, culturale, ed anche un po’ ecclesiastico dell’Europa. E’ un fatto inedito. L’Europa per tanti secoli è stata la culla dello sviluppo e della propagazione della fede ovunque. E’ dal 1945 che l’Europa non era più al centro del mondo, ma per la Chiesa cattolica restava il continente più importante. Il Vaticano II – certamente un dono per tutta la Chiesa - è stato ancora un concilio di fattura prevalentemente europea, fondato sul rinnovamento elaborato in una fascia di territori che partiva dal Benelux, scendendo fino all’Italia del Nord e centrale. I padri sinodali latino-americani avevano dato un apporto modesto all’elaborazione dei testi conciliari, tanto che, nelle prime sessioni, erano chiamati da alcuni, con una certa ironia, ‘rappresentanti della Chiesa del silenzio’. Ma dopo il Concilio, quando si trattò di attuarlo, le nostre Chiese latino-americane hanno incominciato un cammino intenso, anche drammatico, ma teso al raggiungimento di una maggiore maturità, all’assunzione di nuove responsabilità. Questo significa che la Chiesa universale diventa molto più multipolare…
Multipolare… forse Roma non viene più considerata come il centro?
No, Roma è sempre il centro. Il centro è dove c’è il Successore di Pietro. E’ stata, è e sempre sarà il centro della Chiesa. Ma un grande studioso gesuita brasiliano, Henrique Claudio de Lima Vaz, già negli Anni Settanta parlava di Chiese che sono fonti e Chiese che sono riflesso. La Chiesa europea è stata Chiesa-fonte fino ai nostri giorni, certo ancora per il Concilio Vaticano II. Le nostre Chiese latino-americane erano Chiese-riflesso. Oggi anche noi incominciamo ad essere Chiesa-fonte. La geopolitica ecclesiastica sta vivendo un cambiamento di portata imprevedibile.
Papa Bergoglio si comporta come il cardinale Bergoglio oppure ha modificato certi suoi atteggiamenti?
Chi lo conosce sa che papa Bergoglio nella sua tempra umana, nella sua interiorità spirituale nella sua impostazione pastorale, nel suo slancio missionario è lo stesso che il cardinale arcivescovo Bergoglio. Però la grazia dello stato aiuta a far rifiorire quanto già è nella persona. Jorge Mario Bergoglio da Papa è rivitalizzato, ringiovanito. E’ noto che da cardinale arcivescovo di Buenos Aires era ormai pronto a ritirarsi in una casa di riposo del clero. Ora invece è’ diventato molto più espressivo nella comunicazione dei propri affetti. Già questo si notava quando andava in pellegrinaggio in un santuario argentino o si tuffava nelle feste patronali: abbracciava i poveri, gli umili. Adesso tale caratteristica è sbocciata in un grande abbraccio al gregge universale che gli è stato affidato. E’ sempre stato molto libero e molto determinato: e continua ad esserlo anche nella Curia Romana.
Quali i suoi rapporti con la razionalità europea, per la quale ad esempio 2 + 2 fa 4?
Voi europei avete strane pretese, come quella di voler identificare la razionalità con l’Europa. Gli altri chi sono? Popoli barbari? Per molto tempo gli europei sbarcati nell’America latina l’hanno interpretata come l’altro corno del dualismo tra civiltà e barbarie. La civiltà era l’Europa e si rifletteva nelle nostre grandi città latino-americane modernizzate; la barbarie si ritrovava nelle nostre periferie, nelle campagne… Ma, per favore: cercate di capire che l’America latina è Occidente, fa parte dell’Occidente come l’Europa e l’America del Nord… certo è un Occidente meticcio, in via di sviluppo verso la modernità…
.. e il Papa?
E’ un gesuita dalla solida, profonda formazione intellettuale, quella che la Compagnia di Gesù sviluppava in 14 lunghissimi anni di studio. E’ stato professore di teologia, di lettere, di psicologia… è un uomo di solido impianto culturale che predilige la grammatica della semplicità per arrivare al cuore del suo popolo, in modo particolare dei poveri, dei piccoli.
In tal senso che cosa Jorge Mario Bergoglio ha mutuato di fondamentale da un filosofo uruguayano che è morto nel 2009, Alberto Methol Ferré? Di cui sia il Papa che Lei siete stati amici…
Methol Ferré è stato mio maestro. So però con quanto interesse prima il padre, poi il vescovo, arcivescovo, cardinale Bergoglio seguiva gli scritti di questo – così l’ha definito - “geniale pensatore rioplatense”, che per me è stato il maggiore pensatore laico cattolico in America latina della seconda metà del XX secolo e degli albori del XXI”. So che il Papa ha nutrito sempre una grandissima ammirazione per Methol Ferré, tanto è vero che, incontrando recentemente il presidente uruguayano Mujica che gli aveva parlato del filosofo, ha osservato: “Ci ha aiutati a pensare”. Methol Ferré ha aiutato la mia generazione e pure quella precedente – in cui includerei anche Jorge Mario Bergoglio – a introdurci più profondamente dentro una coscienza storica dell’America latina, dentro la cultura dei popoli latino-americani, dentro questa originalità storico-culturale simboleggiata nel volto luminoso e meticcio di Nostra Signora di Guadalupe. Ci ha aiutati a capire più a fondo e a valorizzare la religiosità popolare come forma di inculturazione del Vangelo nella vita dei nostri popoli, ci ha aperto una comprensione della realtà odierna dell’America latina. Methol Ferré mi fa ricordare sempre ciò che diceva papa Ratzinger ad Aparecida: “Dio è il principio più reale di tutta la realtà”. Methol applicava tale asserzione come principio interpretativo quando parlava della storia e dell’odierna realtà latino-americana.
C’è chi ha scritto -lo studioso peruviano Marcelo Gullo – che Bergoglio va posto “nell’alveo del nazionalismo popolare latinoamericano che affonda le radici più profonde nella visione di Manuel Ugarte, Josè Vasconcelos, Juan Domingo Peron e Alberto Methol Ferré”. Di quest’ultimo già si è detto. E di Peron? Si può dire che abbia influito sul pensiero del nuovo Papa?
Peron? Sarebbe molto riduttivo parlare di un Papa ‘peronista’! Jorge Mario Bergoglio mai, mai nella sua vita si dichiarò peronista. Bisogna però capire che il peronismo, che ha pervaso l’Argentina dagli Anni Trenta agli Anni Cinquanta e anche ben oltre, è stato un fenomeno nazionale e popolare di tale portata che tutti gli argentini ne sono stati profondamente segnati. In qualche modo sono tutti ‘peronisti’, anche coloro che l’hanno contrastato…
Hanno tutti respirato la stessa aria descamisada…
Sì, hanno respirato quell’aria, che certamente non aveva nulla a che vedere con il fascismo italiano, ma che trovava invece una forte ispirazione nell’umanesimo cristiano, nella dottrina sociale della Chiesa. Anch’io posso dire di aver sentito gli effetti dell’influsso di questo grande movimento nazionale e popolare nel Rio della Plata. Però sarebbe sbagliato incasellare politicamente nel peronismo Bergoglio: sarebbe un passo ingiustificato che non si ritrova nella realtà vissuta del nuovo Papa.
Professor Carriquiry, padre Antonio Spadaro – direttore de “La Civiltà Cattolica” – ha ribadito recentemente che il Papa “sta aprendo cantieri, che non chiude” e che per Bergoglio “il gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto, aperto, che pensa guardando in continuazione l’orizzonte, tenendo Cristo al centro dei suoi pensieri…”
R:… bellissima espressione di padre Spadaro…
A tale proposito c’è chi nel mondo cattolico ritiene che quell’aprire cantieri e non chiuderli crei una certa insicurezza identitaria, in un mondo già caratterizzato dallo sradicamento della persona…
Ma che cosa vogliamo? Una Chiesa che si rinchiuda nell’autoreferenzialità ecclesiale, che si rifugi nella ripetizione dei suoi principi senza confrontarsi con la realtà da evangelizzare? Non ci bastano per riaffermare la nostra identità il Vangelo meditato e condiviso tutti i giorni, la catechesi sui sacramenti della Chiesa, l’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” … che tutto rimanda alla grande tradizione della Chiesa? Il Papa ci sta chiamando tutti a una conversione personale, pastorale e missionaria. Conversione significa cambiare vita, rivederla per conformarla alla presenza di Cristo, anche rivedere le strutture della Chiesa per evitare che si fossilizzino per inerzia, esaminando in quale misura siano al servizio del Regno di Dio. E’ una conversione missionaria, bisogna uscire, uscire… andare all’incontro! Certo questo può dare le vertigini a coloro che sono un po’ troppo seduti…
‘Un po’ troppo seduti’?
Sì, un po’ troppo seduti o rifugiati nella loro ‘identità’ al riparo dalle tempeste del mondo.
Però hanno voglia di combattere ‘hic et nunc’, qui e ora…
Il fatto è che molti di loro, molti di noi reagiamo a volte come il fratello maggiore della parabola del figliol prodigo: “Ma come… ma io… che sono stato sempre qui…”. Questo è un Papa missionario, va a cercare le 99 pecore che sono fuggite e dunque va all’incontro con le braccia aperte verso chi è lontano, come Gesù. E fa festa con la pecorella ritrovata e si dedica a lei… Qual è la prima domanda che dobbiamo porci con questo Papa? Questa: “Che cosa ci dice Dio di cambiare nella nostra vita attraverso il ministero di papa Francesco?”
Altra perplessità avanzata da alcuni cattolici sull’atteggiamento di papa Bergoglio: non interviene mai puntualmente a proposito di valori non negoziabili quando in un Paese si deraglia. Si riconosce che, a livello di principi, papa Francesco riafferma con forza il valore della vita, della famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna, di un’educazione scolastica basata sui valori dell’umanesimo, in cui la scuola non deve trasformarsi in campo di rieducazione sotto la dittatura del pensiero unico, … ma si lamenta che poi, quando ci sono casi concreti di decisioni aberranti – come è successo in questi ultimi tempi in alcuni Stati in particolare europei – il Papa non dica niente direttamente, implicitamente scoraggiando i cattolici militanti. E in giro a volte si sente dire: “Papa Wojtyla e Papa Ratzinger sarebbero intervenuti per esempio all’Angelus domenicale…”
Ogni contrapposizione tra i Papi è opera del Maligno, che semina menzogna e divisione! Se i cantieri sono aperti, lo sono sulla base di una solida adesione alla grande tradizione della Chiesa cattolica della quale il Papa è testimone e ministro. Il Papa, nel corso di questi mesi, ha parlato con sempre più forza di questi valori fondamentali, essenziali dentro l’insegnamento morale della Chiesa. Il Papa preferisce chiamarli “valori essenziali” per la ragione e per la fede e non “valori non negoziabili”, espressione che sembra chiara, ma in realtà non lo è molto. Al corpo diplomatico, ai rappresentanti di tutti gli Stati, ha parlato dell’ orrore dell’aborto. Il comunicato-stampa dopo l’incontro con Obama ci dice che sono stati trattati temi come la difesa della vita, l’obiezione di coscienza, il matrimonio e la famiglia… non è un parlare molto concreto e circostanziato oppure si deve pensare che sia stato Obama a voler trattare questi argomenti?
Evidentemente no…
Il fatto è che il Papa non vuole restare ostaggio di continui interventi puntuali riguardanti questi valori, perché dovrebbe farlo tutti i giorni e in riferimento ai più diversi Stati. Gli italiani gli chiederebbero di farlo su ogni pronuncia legislativa o della magistratura, su ogni progetto di legge. Così come gli statunitensi, gli argentini, i francesi, un po’ tutti. Il Papa ha già detto di fidarsi degli episcopati nazionali perché alzino la loro voce profetica contro tutta questa barbarie che mette in gioco questioni fondamentali di civiltà, non semplicemente i valori cristiani. Lui stesso ha già chiarito che non vuole restare rinchiuso in una sorta di sproporzione di atteggiamenti e di discorsi che in un certo senso abbiamo vissuto precedentemente; il Papa vuole che si evidenzino subito chiaramente la verità e la bellezza della centralità dell’Annuncio… dell’essere cristiano alla luce dell’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Cristo…
Questo era già presente anche nei pontificati anteriori a quelli di Bergoglio…
Ovviamente! A volte però in molte comunità e gruppi cristiani si è concentrata l’attenzione in modo prioritario e un po’ ossessivo solo su alcuni temi. E’ stato anche comprensibile, poiché su questi temi si reagiva contro le aggressioni prodotte giornalmente contro la vita, il matrimonio, la famiglia. Però, così facendo, si rischiava a volte la riduzione morale dell’avvenimento cristiano. Considero che il Papa ha voluto in un certo senso rompere questo circolo creatosi tra aggressioni e reazioni, pur non rinunciando ai riferimenti su questi valori, anzi incrementandoli come è apparso negli ultimi mesi e in particolare negli ultimi giorni. Tenendo però ben presente che è Dio che stupisce e attira a sé – l’evangelizzazione procede dall’attrazione – certamente molto di più che le nostre pur necessarie battaglie culturali e politiche per difendere i principi morali, spesso muro contro muro. E tenendo conto anche che questi valori appaiono sempre più confusi dentro il relativismo imperante, sempre più difficili da comunicare nella loro ragionevolezza senza il loro fondamento nella Chiesa cattolica.
I prossimi due Sinodi del 2014 e del 2015 dovranno servire a fotografare la situazione e a proporre… che cosa non si sa! Uscirà dall’ampia discussione…
E’ vero che si è ormai entrati nel cammino sinodale, in cui sicuramente cardinali e altri padri partecipanti all’assise si interrogheranno anche sulle domande da Lei poste, nell’ambito di quell’ampio dibattito, vero, sincero, profondo sull’evangelizzazione del matrimonio e della famiglia, chiesto – com’è nel suo stile di apertura di cantieri - dallo stesso Papa.
P.S. 1 L'intervista appare in forma lievemente ridotta e in versione cartacea nell'inserto settimanale 'Catholica' (pubblicato Sabato Santo 19 aprile 2014) del 'Giornale del Popolo', quotidiano cattolico della Svizzera italiana edito a Lugano.
P.S. 2 L'intervista appare, tradotta in lingua inglese, nel mensile 'Inside the Vatican' (numero di giugno 2014, in uscita verso la metà del mese).
P.S. 3 In questo stesso sito www.rossoporpora.org, rubrica “Interviste a personalità”, l’intervista al professor Guzman Carriquiry rilasciata al mensile “il Consulente RE” di marzo 2011.