SPUNTI DA TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETA’ E DA NOI SIAMO CHIESA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 5 novembre 2016
L’ultimo numero del trimestrale cattolico ‘conservatore’ “Tradizione Famiglia Proprietà” offre tra l’altro un’interessante documentazione sulla storia di Fatima e sulla persecuzione religiosa nella Guerra di Spagna. Su opposta sponda è stata pubblicata la relazione che la teologa Serena Noceti ha tenuto recentemente a Milano nel ventennale di “Noi Siamo Chiesa”: fin qui Francesco “ha operato per una decostruzione e ricostruzione sul piano simbolico del Papato e della presenza pubblica della Chiesa”.
Quest’anno si sono commemorati i novant’anni dell’inizio della Cristiada (l’insurrezione cattolica messicana contro la persecuzione anticattolica da parte del governo laicista); gli ottant’anni dell’ Alzamiento spagnolo contro il tentativo del governo ‘rosso’ di trasformare la Spagna in URSS; i sessant’anni della rivoluzione d’Ungheria per la libertà dall’oppressione sovietica. In questo sito www.rossoporpora.org ne abbiamo parlato ampiamente e a più riprese. Il 1917 sarà poi l’anno del centenario delle apparizioni di Fatima, un anniversario che nella parte ‘progressista’ della Chiesa cattolica – quella ‘storica’ e quella turiferaria d’accatto - suscita palese fastidio tanto che essa farebbe volentieri a meno di ricordarlo.
IL TRIMESTRALE TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETA’: UN NUMERO DI GRANDE INTERESSE
E’ proprio per questo che appare meritorio l’ultimo numero del trimestrale Tradizione Famiglia Proprietà, rivista dell’associazione diffusa in diversi Paesi e fondata in Brasile nel 1960 dal politico e scrittore cattolico ‘conservatore’ Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995). L’associazione è stata tra i promotori della ‘Supplica filiale’, una raccolta di firme tra i due Sinodi sulla famiglia per chiedere chiarezza in materia a papa Francesco (circa 880mila firme) e della successiva ‘Dichiarazione di fedeltà all’insegnamento immutabile della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina’, pubblicizzata lo scorso 27 settembre con la firma di 80 personalità cattoliche e sottoscritta successivamente da altre diverse migliaia di persone.
In copertina, con il titolo “Fatima: prodigiosa storia iniziata 550 anni fa”, sono rappresentati la Madonna di Fatima e il castello di Tomar, già quartier generale dei Templari, a simboleggiare un legame storico tra la Madonna il il ‘suo territorio’, al centro della lotta anti-islamica nel XII secolo. Nell’introduzione al lungo articolo di Luis Dufaur, tradotto dal portoghese e intitolato “Fatima: una storia fra santi e crociati iniziata più di cinquecento anni fa”, si richiamano tra l’altri due importanti osservazioni di Benedetto XVI fatte nell’omelia di Fatima il 13 maggio del 2010: “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa” e “Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora ‘venuta dal Cielo’ “. Del testo di Dufaur riproduciamo un passo di carattere storico: “Tutta la regione di Fatima, con i territori vicini, fu campo di battaglia del re Afonso (NdR: Afonso Henriques 1128-1185, primo re del Portogallo) nella guerra contro gli invasori maomettani ed il re concesse estesi possedimenti terrieri agli Ordini religiosi che più si erano distinti nella Reconquista dai Mori, in particolare all’Ordine cistercense, fondato da san Bernardo di Chiaravalle e all’Ordine del Tempio, il quale ebbe il proprio quartier generale nella storica cittadina di Tomar, a soli trenta chilometri da Fatima”.
Ricco di dati il contributo di Giovanni Formicola -avvocato penalista e studioso, appartenente ad ‘Alleanza Cattolica’- sulla “persecuzione religiosa nella Guerra di Spagna” (sull’argomento richiamiamo anche in questo stesso sito l’amplissima intervista a mons. Vicente Carcel Ortí – vedi “Articoli più letti”). Formicola evidenzia che la persecuzione incomincia ben prima dell’Alzamiento del 18 luglio 1936: già dal 1931, poi dal 1934, con l’ “ottobre rosso asturiano”. Nei cinque mesi precedenti l’Alzamiento “si contano 269 uccisi, 1287 feriti, 251 chiese incendiate o profanate, di cui 160 completamente distrutte”. Osserva qui l’autore: “ Contrariamente a quel che si può credere, la distruzione delle chiese spesso non fu affatto l’effetto di una irrefrenabile furia popolare, ma un’operazione sistematica, deliberata dalle autorità locali repubblicane come un semplice atto amministrativo”. Ad esempio la giunta comunale di Castellòn de la Plana, a proposito della Iglesia Mayor, stabilì che “quella casaccia rappresenta qualcosa di così infame che è assolutamente urgente che si proceda al suo abbattimento”. Annota Formicola che “era evidente che non si potesse far altro, anzi che l’Alzamiento fosse un preciso dovere morale”. Nell’articolo ricorrono anche papa Pio XI (in particolare con l’enciclica Dilectissima nobis del 1933 sulla violenta persecuzione anti.cattolica in Spagna, con l’allocuzione di Castel Gandolfo del 14 settembre 1936… Si direbbe che una satanica preparazione ha riaccesa, e più viva, nella vicina Spagna quella fiamma di odio e di più feroce persecuzione confessatamente riservata alla Chiesa e alla Religione Cattolica…) e papa Pio XII, citato per il telegramma di felicitazioni al generalissimo Franco e per il successivo radiomessaggio al popolo spagnolo del 16 aprile 1939: “Con immensa gioia Ci rivolgiamo a voi, figli dilettissimi della Cattolica Spagna, per esprimervi la Nostra paterna felicitazione per il dono della pace e della vittoria con il quale Dio si è degnato di coronare l'eroismo cristiano della vostra fede e carità, provato da tante e così generose sofferenze". Analogamente Formicola ricorda la Lettera collettiva dell’Episcopato spagnolo ai vescovi di tutto il mondo del primo luglio 1937, di cui viene citato un passo molto significativo: “Anche se la guerra fosse di solo carattere politico-sociale, è stata così grave la sua ripercussione nell’ordine religioso, ed è apparso così chiaramente - fin dai suoi inizi - che una delle parti belligeranti mirava alla eliminazione della religione cattolica in Spagna, che noi, Vescovi cattolici, non possiamo restarne al di fuori senza lasciare abbandonati gli interessi di Nostro Signor Gesù Cristo, e senza incorrere nel tremendo appellativo di canes muti , con il quale il profeta censura coloro che, dovendo parlare, tacciono di fronte alla ingiustizia”.
Nel trimestrale anche altri interessanti spunti di riflessione tra l’altro sul martirio del giovane Cristero messicano Luis Segura Vilchis, sull’aumento delle conversioni di musulmani al cattolicesimo (studio elaborato dall’Istituto di studi religiosi della Baylor University, Texas), sulla situazione in Colombia.
NOI SIAMO CHIESA/SERENA NOCETI: UNA RELAZIONE ‘PROGRAMMATICA’ DI RILIEVO
Di interesse certo, per fare un’incursione nel campo ‘progressista’ (in quello ‘storico’, da sempre su posizioni di ‘sinistra’), la relazione – pubblicata in questi giorni - che la teologa fiorentina Serena Noceti (vicepresidente dell’associazione teologica italiana) ha svolto a Milano nel maggio scorso per i vent’anni di “Noi siamo Chiesa”, un movimento di cui siamo occupati a più riprese anche in questo sito. Il titolo è accattivante: “La riforma della Chiesa quanto è indispensabile, quanto è possibile”.
L’incipit si riallaccia alla pubblicazione dell’ Appello dal popolo di Dio – e dunque alla fondazione dell’originaria Wir sind Kirche (poi diffusasi in diversi Paesi come l’Italia, in cui ha preso il nome di “Noi siamo Chiesa”): nel testo, animato dalla “passione per la Chiesa”, si richiamava quest’ultima “alla sua natura di popolo in cammino, di ‘corpo (necessariamente) inquieto”. L’ Appello era stato elaborato in una fase ecclesiale di ‘chiusura’, “votata al ‘consolidamento’ e alla determinazione di forme di appartenenza e di vita ecclesiale più tradizionali, che nella ‘mens’ di alcuni dovevano correggere o riallineare il corso della Chiesa dopo gli eccessi e le rischiose sperimentazioni dell’immediato post-Concilio”. L’Appello era in sostanza “un manifesto che offriva indicazioni e suggerimenti di direzioni possibili in un tempo di ‘riforma interrotta’, nel quale la parola stessa ‘riforma’ veniva bandita e censurata’.
Oggi però, “a più di tre anni dalla rinuncia di papa Benedetto XVI, che va letta come prima interruzione davanti a ciò che appariva immodificabile”, il contesto è cambiato, perché “la Chiesa è stata riportata da Francesco alla sua identità e vocazione di ‘corpo inquieto’ “. Il papa argentino “ha operato in primo luogo per una decostruzione e ricostruzione sul piano simbolico del papato e della presenza pubblica della Chiesa”. Ma ha anche “riaperto alcuni capitoli del dettato conciliare, rimasti marginali o dimenticati nei documenti magisteriali post-concilio e dalla maggior parte dei circoli teologici”.
Di tale spinta ‘francescana’ sono pilastri l’esortazione Evangelii gaudium e l’enciclica Laudato si’, la creazione del gruppo di cardinali del C9, i tanti incontri ecumenici, il Sinodo in due tempi sulla famiglia, l’esortazione Amoris laetitia: tutto ciò è segno di “ripresa del quadro conciliare che prospetta prima di tutto una Chiesa tutta relativa al Regno e al mondo, segnata costitutivamente da una pluralità di soggetti e da una rete comunicativa pluridirezionale”, una Chiesa insomma “dalla Parola attestata e trasmessa, che vive della comunicazione della fede a chi non è credente e della comunicazione nella fede tra credenti”.
Si chiede poi Serena Noceti: ce la farà la Chiesa cattolica oggi ad accettare la logica della riforma? E avanza un dubbio pesante: come fa un ‘pachiderma’ statico – quasi un capodoglio spiaggiato – come talora la Chiesa cattolica a rimettersi in moto?
Certo è che papa Francesco ha “un’idea-forza che anima la sua proposta”, che si può riassumere così: “La Chiesa deve essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati, incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo”. Tale idea-forza si riflette in tanti ambiti fondamentali: i rapporti con Dio e con le realtà ecclesiali, i rapporti sociali, la politica e l’economia. La Chiesa diventa “Chiesa di popolo, inclusiva, fragile Chiesa povera e dei poveri, che abbandona la sicurezza di mura dottrinali e di codici del sacro per aprirsi all’agire di Dio”.
Diventa allora indispensabile che la Chiesa ripensi se stessa, “in un contesto di secolarizzazione avanzata”. Si tratta in primo luogo di “ripartire dalla Chiese locali e promuovere i processi di inculturazione del Vangelo e della forma ecclesiae”; il che si traduce in “nuovi linguaggi, nuove forme di organizzazione ecclesiale, nuove soggettualità ministeriali, molto probabilmente orientamenti giuridici (codici) differenziati per continenti e nazione”.
Non facile da concretizzare tale ‘spinta’, anche perché “i cinquant’anni che ci separano dal Concilio ci rimandano anche alla consapevolezza di quanto grandi e profonde siano le resistenze e le debolezze del corpo ecclesiale davanti alle riforme”. In particolare la resistenza affiora tra vescovi e sacerdoti. Ed è una resistenza “per tanti aspetti interiore e spirituale”, perché, “davanti all’ideale di una Chiesa inclusiva (…) sono molti che si sottraggono alla proposta e cercano di ridefinire i confini delle appartenenze, dichiarando ingenuo chiunque richiami al dono gratuito di un amore misericordioso per tutti”.
Chiude così Serena Noceti: “Sono passati vent’anni dall’ Appello dal popolo di Dio e Noi siamo Chiesa ha continuato ad alimentare pensieri e speranze di riforma per questa nostra Chiesa”. E qui ecco una citazione finale assai curiosa, quella del noto subcomandante Marcos che si è posto – sette anni dopo l’inizio della lotta pubblica (1994) – la domanda sui modi di conservare l’identità e la forza rivoluzionaria in una situazione mutata: “Sette anni fa la dignità indigena chiese a questa bandiera di avere un posto dentro di lei. (…) Per sette anni abbiamo resistito ad attacchi di tutti i tipi, però siamo qui, siamo la dignità ribelle, siamo il cuore dimenticato della patria ( NdR: qui Serena Noceti ha parafrasato: “Noi potremmo dire: della Chiesa”), siamo una memoria antica, siamo coloro che lottano, che vivono, che muoiono, ma soprattutto siamo coloro che parlano così: tutto per tutti, niente per noi!”