PABLO COLINO: IL CROCIFISSO DI ARRIBA – COME PAPA’ SALVO’ UNA VITA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 18 luglio 2021
L’Accademia Filarmonica Romana ha voluto onorare il 22 giugno, con un'oretta di ricordi e un concerto barocco, il servizio preziosissimo reso per 81 anni - come direttore della scuola di musica e dei cori - dal maestro monsignor Pablo Colino. Di ricordi, non certo banali, l'ottantasettenne sacerdote e musicista ne ha poi voluti regalare anche a noi nell'intervista fattagli a casa, nel Palazzo dei canonici vaticani...
Allora, Pablo, ci eravamo lasciati al momento della pubblicizzazione del tuo congedo dall’Accademia Filarmonica Romana (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/1000-intervista-pablo-colino-lascia-la-filarmonica-romana.html ). E poi cos’è successo?
Sono stato sommerso di telefonate, dalla profondità della mia vicenda personale sono rispuntati tanti volti, ho risentito tante voci… sono venuti a trovarmi tante ex-allieve ormai più che cresciute, tanti ex-allievi… perfino il grande giornalista Corrado Augias, che mi ha portato cinque suoi libri…
Insomma hai rivissuto tante storie belle… e la Filarmonica?
Martedì 22 giugno mi ha dedicato uno dei concerti del suo festival estivo presso i Giardini di via Flaminia: l’orchestra Furiosi Affetti ha eseguito musiche barocche di Manfredini, Telemann, Vivaldi (un pezzo molto singolare e delizioso con al centro il mandolino), Locatelli…
(Tradizionalmente il 28 giugno sera, alla vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo, ci si ritrovava nei Giardini della Filarmonica Romana per una sangria in versione Pamplona: scorreva a barili tra canti festosi, lieti conversari e assaggi di torte le più svariate. Chi era il festeggiato? Naturalmente lui, Pablo Colino, il sacerdote-maestro che anno dopo anno aveva nutrito e nutriva musicalmente migliaia di bambini, di giovani e meno giovani amanti del bel canto. Già l’anno scorso la tradizione si era interrotta per i noti motivi. Quest’anno è stata invece anticipata a martedì 22 giugno e ha assunto contenuti diversi, conseguenza del fatto che dopo 61 anni di servizio l’ottantasettenne Pablo Colino si è congedato dalla Filarmonica con la lettera di fine 2020 di cui abbiamo ampiamente riferito: infatti la Filarmonica ha voluto onorare il vulcanico musicista spagnolo dedicandogli un concerto barocco nell’ambito del suo festival estivo nei giardini di via Flaminia 118. Il concerto (orchestra ‘Furiosi affetti’, musiche – in parte eseguite alla corte monegasca - di Manfredini, Telemann, Vivaldi, Locatelli). Prima del concerto un’oretta in cui Pablo Colino, ringraziato ufficialmente dal presidente Paolo Baratta -“Lei ci ricorda le origini dell’Accademia Filarmonica Romana nel 1821, nata come coro di dilettanti appassionati di musica” - ha intrattenuto i tanti ex-allievi presenti ricordando alcuni episodi della sua vita musicale, dalla scelta di Roma ai metodi utilizzati per insegnare la musica, alla creazione successiva di diversi tipi di coro, da quello femminile al misto a quello da camera).
Pablo, ti ha fatto piacere questa iniziativa della Filarmonica?
Certo… è stata una serata piacevole con la quale la Filarmonica nel duecentesimo della sua fondazione ha voluto riconoscere che sono parte integrante della sua storia… perché i posteri sappiano che essa si occupava anche dell’educazione musicale dei piccoli e dei giovani e del desiderio di cantare insieme da parte dei dilettanti. Bisogna ricordare che l’Accademia fu fondata nel 1821 proprio da giovani nobili e alto-borghesi che intendevano far musica “per diletto” nei propri salotti… Ho apprezzato anche il ringraziamento ufficiale dell’attuale presidente, il professor Paolo Baratta durante l’oretta di ‘ricordi comunitari’ prima del concerto.
In sintesi: un revival molto partecipato da parte dei tanti presenti che hanno usufruito del tuo insegnamento…
Alla Filarmonica circa in quindicimila hanno ascoltato e praticato il mio motto: “Bambini, senza musica non si può vivere!”, scoprendo che la musica non è un’aggiunta posticcia, ma è un elemento fondamentale nella nostra vita. Alcuni hanno scelto proprio la musica professionalmente: oggi sono direttori d’orchestra, organisti, insegnanti, pianisti, arpisti, flautisti come Cristina Vinci…
Abbiamo constatato l’altra sera che non hanno dimenticato, quando per esempio dal giardino s’è levato coralmente - qual vento leggero - quel “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura”, testo di Dante, musica di Verdi…
Un momento molto suggestivo, bellissimo. Le ex-fanciulline cantavano come se il tempo si fosse fermato a qualche decennio fa… Ho anche raccontato qualche momento della mia vita, a partire dall’incontro da seminarista alla stazione di Santander con un filosofo che mi disse che sarei andato a Roma e lì avrei trovato una donna… Ma io sono un seminarista, ho scelto un’altra strada, ho una vocazione universale, non posso essere di una donna, ma di tutte le donne! …. Sì, ma quella donna favorirà lo sbocciare dei tuoi talenti musicali …
Detto a posteriori, non è che il filosofo veggente si riferisse a Adriana Panni?
Chissà…. Certo per me Adriana Panni - una vita dedicata con passione e competenza alla Filarmonica Romana - conosciuta tre anni dopo il mio trasferimento a Roma nel 1957, è stata per me come una madre adottiva. Adriana Panni, che divenne presidente della Filarmonica nel 1973 (ma da trent’anni era già una protagonista dell’Accademia), mi accolse con tanto entusiasmo. Non dimenticherò mai ciò che mi disse: Pablo, voglio che musicalmente la Filarmonica sia libera. Con la scuola, aperta il più possibile, potrai organizzarti come vuoi, così come con il coro. L’unica cosa che ti chiedo è di non bussare a soldi. Cerca tu una soluzione! Io la trovai facilmente, dato che grazie alla scuola potevo conoscere tante famiglie di buona disponibilità economica, anche spesso di alta levatura intellettuale… figurati che ad esempio ho avuto per allievi i figli di Goffredo Petrassi, di Roman Vlad, di tanti altri. Il risultato è che potevo permettermi di ridurre drasticamente la retta fissata dalla Filarmonica per chi invece era di condizioni finanziarie modeste…erano situazioni che mi segnalava il mio fedelissimo segretario Giuseppe Ferrara…
Nessuno scorda neanche i tuoi metodi di insegnamento…
Insegnavo dapprima la tecnica delle voci fondandomi sul metodo della scuola di Montserrat nata nel XII secolo, poi ho insegnato con il metodo ‘numerico’ di Justine Ward, imparato a Parigi..
Ci sono anche i cori da te diretti con incredibile talento, passione, fantasia: hai ricordato nell’ “oretta” come dapprima fu il coro femminile…
Ebbi un’ispirazione in tal senso ascoltando al festival di Arezzo il coro femminile “Elisabeth” di Budapest, che aveva cantato la Laude alla Vergine Maria, testo di Dante, musica di Verdi…. Poi costituii il coro misto, dei ‘dilettanti’ che agli inizi del Duemila ho riqualificato così da poter girare con esso il mondo, poi il coro da camera… Qualcosa di essenziale ci tenevo ancora ad evidenziare: anche da musicista, non ho mai dimenticato di essere un sacerdote… e dunque ho ad esempio tanto battezzato, celebrato messe, matrimoni, funerali… ho perfino avuto la gioia di indirizzare alla vita religiosa qualcuno tra i miei allievi e le mie allieve…
IL CROCIFISSO ESPOSTO DI NOTTE, NASCOSTO DI GIORNO. MA CON L’ALZAMIENTO DEL 18 LUGLIO 1936, 85 ANNI FA…
Nell’ “oretta” hai incominciato a riavvolgere il filo dei ricordi, evocando il filosofo che ti predisse l’avvenire romano. Cerchiamo di risalire ancora nella tua vicenda personale. Sei nato il 25 gennaio 1934 a Pamplona, in ospedale, figlio di Guadalupe e Francisco, fratello di Annamaria, Juan Miguel, Maria Carmen, Francisco-Xavier, Manuel, José Luis, Rosario Pilar… a quando risale il tuo primissimo ricordo?
Ai primi mesi del 1936… avevo due anni o poco più. Mio papà era stato musicista nella Banda della Guardia Civil a Madrid. Ma la Banda fu sciolta ai tempi della Repubblica rossa, perché le tensioni erano alte e c’era bisogno di un controllo rigoroso del territorio nazionale. Mio padre chiese di essere inviato al Nord e fu accontentato. dato che finì nel paesello di Arriba, nella Navarra. Vivevamo in caserma, dove mio padre era caporale. Io non lo sapevo ma il comandante, un fanatico rosso, aveva ordinato di “far sparire dalla caserma ogni oggetto che puzzasse di Chiesa” e questo dopo che si era imbestialito per aver notato in un appartamento un ritratto di bambino che aveva fatto la Prima Comunione.
E tu cosa di tutto questo che cosa avevi percepito?
Notavo con stupore che mamma di giorno nascondeva in un armadio il Crocifisso che avevamo sul comò e di notte lo riprendeva e lo rimetteva al suo posto. Io le dicevo: Mamma, che stai facendo? Lo vedi come è bello Gesù sul comò… sta soffrendo sulla croce, ma guarda in alto! E lei: Pablo, no no, devo farlo! E io: Ma perché? Ed è a quel punto che un giorno mi disse del comandante che non voleva sentire “puzza di Chiesa” in caserma…
Poi dal 18 luglio 1936 – 85 anni fa - con l’Alzamiento del Movimiento Nacional tutto cambiò…
Mamma disse subito: Adesso possiamo lasciare il Crocifisso tutto il giorno sul comò. Capisci che cosa significa per me nel profondo il Movimiento Nacional? Eravamo nella Navarra, zona subito ‘nazionale’, e potevamo dunque avere con noi il Crocifisso per l’intera giornata e in più rendere pubblicamente il culto a Gesù. Penso che l’origine della mia vocazione sacerdotale stia proprio nella vicenda del nostro Crocifisso, che del resto abbiamo sempre conservato con cura e venerazione…
I nostri lettori potranno ammirarlo nella breve galleria fotografica ( che comprende anche una foto della famiglia Colino nel novembre 1935) alla fine dell’intervista… (a proposito degli avvenimenti di quegli anni vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/85-pablo-colino-ricorda-l-alzamiento-del-1936.html ). Continua sulla tua vocazione…
Sono diventato prete a poco a poco, progressivamente. Pensa che in quarta elementare – ancora non ero in seminario – vinsi il primo premio diocesano in cultura religiosa. Papà intanto fu trasferito – e lui con noi – nella Guipúzcoa, a Vergara (o Bergara in basco), una cittadina fondata da Alfonso X il saggio nel 1268, storico snodo commerciale dove da tenente comandava la guarnigione.
QUANDO PAPA’ SALVO’ LA VITA AL MEDICO DI ARRIBA…
Torniamo indietro di qualche anno, ancora al 1936, dato che devi raccontarmi qualcosa di importante…
Quando eravamo ancora ad Arriba, negli ultimi mesi del 1936 papà fu mandato al fronte ‘caldo’ della Catalogna. Un giorno ricevette l’ordine di presentarsi al tribunale militare di San Sebastian. Raggiunse, penso tra mille difficoltà, la città e fu accolto dal comandante della guarnigione. Che gli disse: Colino, c’è uno che sta per essere giudicato dal tribunale militare, ma dice che non gli possono far niente perché è tuo amico…
E chi era?
Don Antonio Arrúe, il medico di Arriba, che abitava in una villa vicino alla caserma. La moglie si chiamava Agustina, avevano tre figli… spesso io scappavo da loro perché lei mi dava un secondo piatto da mangiare. E mia madre: Pablo, che vergogna! Replicava Agustina: Ma lascialo mangiare…per noi è come un quarto figlio e mio marito guadagna bene! Quando ci fu l’Alzamiento, papà ricevette una telefonata da Pamplona che glielo annunciava e confermava che in Navarra i militari insorti, agli ordini in questa zona del generale Emilio Mola, avevano assunto tutti i poteri, decretando conseguentemente lo scioglimento dei partiti politici. Mio papà allora chiamò in caserma i dirigenti dei partiti di Arriba, tra cui il medico, presidente del locale partito nazionalista basco. Papà li tranquillizzò: non si erano resi colpevoli di fatti di sangue in precedenza e avrebbero potuto continuare tranquillamente le loro attività eccetto che quelle politiche, data l’instaurazione temporanea dello stato d’eccezione. Il colloquio finì tra abbracci. Il medico Arrúe dopo qualche giorno si recò in caserma e consegnò a papà, di cui si fidava totalmente, la bandiera e la cassa del partito nazionalista basco.
Che cosa successe nell’aula del Tribunale militare di San Sebastian…
Mio papà fu accompagnato in aula, si sedette, aspettò… e chi ti vede entrare? Proprio don Antonio Arrúe. Si scambiarono un grande abbraccio. Papà testimoniò subito chi era il medico e aggiunse che si metteva a disposizione con il suo sidecar (l’unico veicolo nel paese), accompagnandolo spesso nei giri di controllo nella Navarra montuosa. Il giudice militare capì, osservò che sicuramente la denuncia contro il medico era frutto dell’invidia o della vendetta di qualcuno. E don Antonio Arrúe fu rimesso immediatamente in libertà. Dei tre figli del medico una vive ancora, ha 84 anni e ogni volta che ci telefoniamo conclude ricordando che “se non fosse stato per tuo padre, il mio sarebbe probabilmente stato fucilato nel 1936”. Ogni giorno io prego ancora per tutta la famiglia Arrúe.
A questo punto concludiamo… Pablo ancora ci dona le due foto riprodotte qui sotto e così lasciamo riconoscenti il suo appartamento da Canonico di San Pietro, grondante di testimonianze eloquenti, visive e canore, di una vita intensissima.