UN FILM-INCHIESTA SU PIO XII: BUONE LE INTENZIONI, MA… - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 3 marzo 2015
Per il doppio anniversario di Pio XII (nascita ed elezione a Papa) presentato in anteprima mondiale il film ‘Shades of Truth’ (Sfumature di verità) – Diretto da Liana Marabini, voleva essere un film-inchiesta per smuovere il processo di beatificazione: è lecito però nutrire forti dubbi sul conseguimento dell’obiettivo
Il 2 marzo ricorreva un doppio anniversario di Eugenio Pacelli: quello della nascita nel 1876 e l’altro del 1938, quando fu eletto Papa. E’ perciò con molta curiosità che quel giorno abbiamo salito la rampa delle suore di Maria Bambina (lato destro del Colonnato) per assistere all’anteprima mondiale di un film assai atteso, intitolato Shades of Truth (tradotto con Sfumature di verità) e incentrato proprio su Pio XII. Un Pontefice, come è noto, che è stato spesso ringraziato nei primi anni del Secondo dopoguerra per aver salvato dalle grinfie naziste un numero imprecisato ma sicuramente ingente di perseguitati, tra i quali numerosi ebrei. Ma contro il quale, soprattutto a partire dal 1963 - anno in cui Rolf Hochhut allestì l’opera teatrale Der Stellvertreter (Il Vicario) - si è scatenata una critica feroce che gli rimproverava una presunta acquiescenza, un silenzio colpevole nei confronti della politica nazista di sterminio. Sappiamo oggi che tale critica non tiene conto né della situazione molto delicata in cui veniva a trovarsi Pio XII - chiuso nella Città del Vaticano ed esposto a una facile cattura nel caso in cui i tedeschi l’avessero decisa – né di quanto in ogni caso fece il Papa per cercare di salvare nella discrezione il maggior numero possibile di perseguitati (dal moltiplicarsi degli immobili ‘extraterritoriali’ all’impiego di visti portoghesi falsi per l’espatrio, dall’asilo dato in conventi e anche a Castel Gandolfo a famiglie ebree alla messa a disposizione di parte del denaro richiesto da parte nazista per evitare razzie). Nella discrezione, poiché Pio XII aveva in ogni caso ben chiare le conseguenze pesantissime della coraggiosa dichiarazione anti-nazista del 20 luglio 1942 dei vescovi olandesi. Semmai si dovrebbero ancora approfondire i motivi di tanti ‘silenzi’ alleati e, ad esempio, indagare sul perché non furono bombardate – cosa che resta tanto incomprensibile quanto di inaudita gravità - le vie d’accesso ferroviario e stradale ai campi di concentramento e di sterminio, soprattutto a quelli situati nella Polonia occupata.
La controversia sorta, soprattutto dopo la rappresentazione de Il Vicario,attorno al comportamento di Pio XII in quegli anni ha de facto bloccato la causa di beatificazione avviata nel 1967. Ogni volta che si preannunciava un pur minimo progresso in materia partiva un fuoco di sbarramento da parte di ambienti diversi, con la diplomazia israeliana sempre vigile a scongiurare – con discrezione e nel contempo decisione – tale esito. Un atteggiamento comprensibile da una parte, ma dall’altra sostanzialmente chiuso a nuove scoperte in campo storiografico. Venne poi nel 2009 il riconoscimento delle virtù eroiche di Pio XII da parte di Benedetto XVI: nonostante ciò, da allora la causa sembra di nuovo bloccata.
Evidente allora l’intenzione della regista Liana Marabini di offrire un contributo valido a livello mondiale per cercare di forzare il blocco esistente. Da tali buoni propositi è nato Shades of Truth: dopo aver visto il film, è però lecito chiedersi se il prodotto sia all’altezza del desiderio iniziale.
In effetti alla fine della proiezione possono emergere due sensazioni. La prima rimanda ad alcuni fatti citati nell’indagine, comunque tutti già noti, che certificano – pur se in maniera affrettata - il coraggioso impegno pastorale e umano di Pio XII in favore dei perseguitati, in gran parte ebrei. Si accenna tra l’altro anche al rabbino-capo di Roma negli anni della guerra, Israel Zolli, che, convertitosi al cattolicesimo dopo un lungo travaglio interiore, assunse il nome di Eugenio in segno di ringraziamento per quanto fatto da Pacelli: nel film non c’è però un briciolo di approfondimento della vicenda.
La seconda sensazione rimanda invece alla fragilità di una trama che si sviluppa perdipiù dentro una cornice assai patinata, da high society. Un giornalista ebreo (non praticante), convinto dapprima che Pio XII fosse il ‘papa di Hitler’, viene lasciato dalla fidanzata (pure ebrea non praticante) che gli rimprovera la sua rigidità mentale; va in crisi e decide di dedicare un mese alla ricerca di testimonianze sull’atteggiamento di papa Pacelli. Parte dunque per la Città eterna e in pochi giorni ha modo di ricredersi, divorando interi dossiers e nel contempo spostandosi a velocità supersonica - tra una testimonianza e l’altra (come si è già notato, tutte frettolose) - da Roma a Gerusalemme, da Berlino a Lisbona. Poi di nuovo a Roma, dove viene raggiunto dalla fidanzata, che alloggia in un hotel cinque stelle e che gli porta una scatola consegnatale dalla zia deceduta: lì dentro ci sono passaporti con visti portoghesi, foto dei genitori del giornalista, una sua da piccolo, anche una foto di Pacelli e una rosa da deporre sulla sua tomba. In sintesi: il giornalista scopre che i genitori sono tra i salvati di Pio XII e lui stesso dunque gli deve la sua esistenza. Finale rosa in puro stile soap opera: pianto purificatore, baci, abbracci, consegna di un anello e promessa di matrimonio.
Si può ritenere che tutto ciò sia un po’ poco per un film-inchiesta con pretese (infondate) di una dignitosa storicità. Tantopiù che i personaggi di contorno sono della stessa pasta dei protagonisti, molta apparenza e poco spessore. Il cardinale che sorseggia la coca-cola light e parla - argomenti introdotti in modo posticcio - della situazione preocupante all'interno della Chiesa, del celibato sacerdotale e dello scandalo degli abusi sessuali (per il quale, se abbiamo capito bene, si sarebbe dimesso Benedetto XVI…un po’ tanto azzardata tale ipotesi, no?). Il sacerdote amico del giornalista, un belloccio che non pratica il pallone plebeo ma un’arte marziale assai distinta: e, quando dà la Comunione, vede sfilare le sue parrocchiane, giovani e ammiccanti. Per non parlare delle amiche e degli amici che si incontrano al di qua e al di là dell’Oceano: può capitare di pensare che alcuni escano direttamente da Beatiful. E gli ambienti? Il quasi centenario ex-diplomatico portoghese (che di sera negli anni bui ‘vistava’ i passaporti su incarico del Papa) riceve in un grande giardino durante un frequentatissimo cocktail; risiede invece a Berlino in un imponente monastero che sembra da fuori una reggia prussiana l’ex-ragazza hippy diventata monaca su impulso di suor Pascalina Lehnert, la suora bavarese che fu preziosa collaboratrice di Pio XI.
Insomma Shades of Truth è sembrata proprio un’occasione persa, al di là di ogni lodevole intenzione. E anche al di là del valore indubbio degli attori imbarcati nell'impresa. Veramente peccato.