INTERVISTA ALL'ATTRICE GIOVANNA MEZZOGIORNO - di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org 'IL CONSULENTE RE' DI MAGGIO 2007-
Guardando dalla terrazza s’ammirano Castel dell’Ovo, il rione dei Pescatori con le sue trattorie caratteristiche, a sinistra il mare –oggi incantevole specchio - e sullo sfondo il gran vulcano. Guardando sulla terrazza invece ecco l’inconfondibile silhouette di Giovanna Mezzogiorno, che è venuta qui, al Gran Hotel Vesuvio, per presiedere la terza edizione del Premio dedicato alla memoria di suo padre Vittorio.
Se l’anno scorso erano stati premiati Cristiana Capotondi (vedi intervista apparsa nel ‘Consulente RE’ 6/06) e Davide Enia, quest’anno il riconoscimento è andato a Federica Festa e Valerio Mastandrea, mentre a Michele Placido è stato assegnato un premio speciale.
Reduce da lunghi mesi di lavoro intenso (in Venezuela e a Londra) come protagonista della trasposizione cinematografica hollywoodiana del romanzo “L’amore ai tempi del colera” di Gabriel Garcia Marquez, Giovanna Mezzogiorno – di cui è stato ormai riconosciuto l’indubbio talento anche a livello internazionale, dalla Francia agli Stati Uniti – ha volentieri risposto ad alcune nostre domande riguardanti il suo modo di intendere l’arte, la sua doppia identità napoletano-milanese, i suoi rapporti con Parigi (città in cui ha vissuto da ragazza e adolescente, essendovi trasferita la famiglia) e la lavorazione de “L’amore ai tempi del colera”, dove interpreta il ruolo della protagonista Fermina Daza.
Giovanna, la premiata Federica Festa ha detto nella conferenza-stampa di poco fa: Voglio fare un teatro necessario, non un teatro dispersivo. Tu sei conosciuta perché quasi sempre nei tuoi film (e anche a teatro) hai recitato in ruoli assai consistenti nella loro serietà. Forse solo in “Asini” (film gradevolissimo e ricco di humour con Claudio Bisio) o ne “Il club delle promesse” (caratterizzato da uno humor tipicamente francese un po’ diverso dal nostro) ti sei incarnata in un ruolo più ‘leggero’ , da commedia. Allora… quel Voglio fare un teatro necessario vale anche per te nell’ambito soprattutto cinematografico?
Credo che gli artisti abbiano in ogni caso un grandissimo dovere, quello di diffondere un messaggio che corrisponda del resto a quello che è il loro pensiero. Attraverso le mie scelte, i film che faccio, io cerco di essere il più fedele possibile a ciò che sono io, alla mia personalità, al mio modo di vivere. Dicendo questo, non condanno le scelte degli altri: se qualcuno vuol fare un film-popcorn per ragazzini in cui si fanno vedere i primi amori, le prime cotte, va bene così. Comunque credo che non bisogna essere come foglie al vento, occorre avere una direzione ben salda verso cui andare. Non è un caso che i premiati del “Vittorio Mezzogiorno”, anche i due di di quest’anno, sono attori e attrici che hanno in qualche modo un ideale, quello di dare un senso anche etico, ideologico al loro modo di fare il mestiere dell’attore o dell’attrice. Il premio è dedicato a Vittorio Mezzogiorno, mio padre e noi cerchiamo, attraverso i premiati, di mantenere una certa coerenza di giudizio.
Tu hai lasciato cadere poco fa l’aggettivo etico. Ecco, sappiamo che tu sei una non credente, anche se (nell’intervista rilasciataci per il ‘Consulente RE’ 2/98) parlavi quasi con nostalgia dell’emozione della messa, della tua chiesetta… poi giunsero Parigi e i tragici eventi famigliari… Tuttavia, da quanto hai fatto fin qui, sembra di poter concludere – confermato anche da quanto hai appena detto – che tu obbedisca a una sorta di ‘codice etico’. Che contiene certo dei valori laici, che ti sono cari e che presumo universali…
Guarda…primo fra tutti il valore dell’onestà, del potersi presentare senza dover abbassare gli occhi davanti a me stessa, a chi mi vuol bene. Non è sempre facile essere onesti, coerenti, persone perbene. Credo che occorra andare sempre avanti, imparare, cercare di migliorarsi attraverso le proprie esperienze e anche sofferenze. Non bisogna mai concedersi alla vanità… lo dico sempre…trovo che gli attori italiani siano molto vanitosi, si lascino andare, siano tentati dall’esporsi, dal pavoneggiarsi, …. Poi non poche attrici si lasciano ammaliare dall’esporre anche in maniera gratuita il proprio corpo sui giornali… Credo che il mondo dello spettacolo italiano ceda un po’ troppo facilmente alla lusinga della copertina, del successo massmediatico. Io cerco di essere rigorosa in quest’ambito, di non cedere a tale lusinga…
Però è bello, è gratificante per un’attrice essere popolare…
Certo… e chi non è tentato di esserlo, chi non vuol essere riconosciuto da tutti, chi – uscendo in strada – non vorrebbe essere accolto dall’entusiasmo dei fans, con la gente che urla il tuo nome? Però, secondo me, per essere coerenti con un certo percorso, bisogna anche saper rinunciare ad alcune cose. Che magari si otterranno più avanti. E allora avranno forse un peso diverso.
Nella conferenza-stampa hai ricordato con piacere il tuo secondo film, “Del perduto amore”, una storia di forti passioni civiche nel Mezzogiorno degli Anni Cinquanta. Tu incarnavi una maestrina comunista e molto mazziniana, infervorata per il riscatto sociale del Sud. Di quella Giovanna del 1998 (e anche di quella del primo film, “Il viaggio della sposa” del 1997, in cui per molti sei stata una vera rivelazione) che cosa è restato?
E’ restata l’ossessione di far bene…
Quanto sei perfezionista?
Sono una secchionaccia maledetta. Non riesco a non esserlo. Siccome so di essere tendenzialmente pigra, ho sempre una gran paura di sedermi. Per non fermarmi, divento iperattiva. Negli anni del “Viaggio della sposa” e “Del perduto amore” ero preda di un terrore permanente di deludere, di sbagliare. Forse rispetto ad allora sono più sicura, non tanto perché mi senta migliore (nel senso di Oh, che brava sono!), ma perché ho accumulato esperienze e mi conosco di più. Adesso so dove devo star attenta a non sbagliare e dove invece posso andare più tranquilla. Ho più consapevolezza di me stessa, conosco meglio i miei difetti. La voglia di essere sempre la prima della classe…quella purtroppo mi è restata… lo so che è micidiale, ma è così…
Anche questa mattina, durante la conferenza-stampa, hai richiamato alcuni colleghi – più o meno scherzosamente - al silenzio…
Ma dovevano star zitti, ascoltare!
Terribile Giovanna, per ramo paterno sei napoletana. Eppure non si direbbe a prima vista…
Rivendico, grido la mia napoletanità. Lo sono per metà e sono nata in una città, dentro una storia, che ha accompagnato la mia vita da bambina e ragazza. E’ una città in cui io mi sento proprio totalmente a casa, molto più che non a Roma, in cui vivo.
E la tua metà milanese come emerge?
Di milanese ho la parte materna, di mia mamma Cecilia Sacchi. In me convivono due culture molto contrapposte: quella napoletana, così solare, popolare, tradizionale e quella milanese, in qualche modo più borghese, intellettuale, europea. Questa convivenza in me di due modi di vita diversi credo mi dia un vantaggio.. quello di star bene ovunque.. non ci sono ambienti in cui mi senta un’estranea…
Hai vissuto diversi anni anche a Parigi…hai respirato l’aria della Ville Lumière, di Saint-Germain-des-Prés… padroneggi benissimo la lingua, tanto è vero che hai fatto film anche in francese: a Parigi come ti sentivi?
Vi ho vissuto otto anni … sono stata molto bene, anche felice, vi ho vissuto anche da sola, ho incominciato a lavorare, vi ho guadagnato il mio primo stipendio… insomma Parigi è legata a molte emozioni… la ricordo con affetto. Però non la sento come casa mia… non ci tornerei a vivere…
Nei mesi scorsi hai girato “L’amore ai tempi del colera”, tratto dall’omonimo romanzo di Gabriel Garcìa Marquez; una produzione americana che ti potrebbe anche aprire le porte permanentemente le porte di Hollywood…
Dagli Stati Uniti non mi aspetto niente… mi conviene, perché sennò potrei rimanerci male (ride). Se avrò fatto un buon lavoro e mi meriterò qualcosa, mi aspetto quello che mi merito. Se invece avrò lavorato male, non mi aspetto niente.
Qual è stata la difficoltà maggiore incontrata nel girare il film?
Qui si potrebbe aprire un file gigantesco…
Sintetizza…
I personaggi in scena sono molto complessi. Il film si svolge su settant’anni di storia; nel mio ruolo sono dovuta essere diciassettenne e poi crescere via via fino a incarnarmi come settantaduenne. E’ difficile, veramente difficile mantenere poi sempre l’essenziale della tua identità interiore, pur mutando esternamente in modo radicale…
Come riuscire a far combaciare l’età e la mentalità su un arco di tempo di una vita?
A ogni età corrisponde non solo un volto fisico, ma una mentalità. Come ti dicevo prima, è arduo riuscire a essere sempre fondamentalmente la stessa, naturalmente arricchita con il passare del tempo da tremila gioie e tremila dolori. Non so se ci sono riuscita, se ci siamo riusciti. Non ho visto neanche un fotogramma del film. Quindi non ti posso dire nulla. Se ci sarò riuscita, sarà successo qualcosa di pazzesco, perché onestamente è stata dura, molto dura.