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    FONDAZIONE CRAXI: FUOCHI D'ARTIFICIO SUL SESSANTOTTO

    FONDAZIONE CRAXI: FUOCHI D’ARTIFICIO SUL SESSANTOTTO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 23 maggio 2018

     

    Un convegno sui ‘nemici’ del Sessantotto promosso a Roma dalla Fondazione Craxi. E’ stata l’occasione per ascoltare voci molto diverse tra loro, che in prevalenza hanno evidenziato i guasti prodotti da quei ‘Magnifici Anni’ e di cui ancora oggi patiamo le conseguenze. Tra i critici rievocati (ognuno a suo modo) nella mattinata Nicola Matteucci, Augusto Del Noce, don Giussani. Nel pomeriggio una tavola rotonda vulcanica con Stefania Craxi, Buttiglione, Vincino e Vittorio Sgarbi. 

    Il titolo del Convegno si presentava per noi molto accattivante: “Il Sessantotto e i suoi nemici”.  In effetti la giornata - promossa martedì 22 maggio dalla Fondazione Craxi presso la sede romana del Parlamento europeo - non ha deluso le attese e si è rivelata ricchissima di stimoli di riflessione, di cui cercheremo di dare qualche eco, certo non esaustiva.

    Quattordici gli interventi/relazioni previsti nel Convegno coordinato da Marco Gervasoni e Giovanni Orsina, più il gran finale della tavola rotonda su “Che cosa resta del Sessantotto?”, in cui si sono confrontate le opinioni anche diametralmente opposte di Stefania Craxi, Rocco Buttiglione, il vignettista marxista-libertario Vincino e Vittorio Sgarbi.

    Già nel saluto di apertura Margherita Boniver, da presidente della Fondazione intitolata a Bettino Craxi (segretario del Psi dal 1976 al 1993, presidente del Consiglio dal 1983 al 1987, travolto da Tangentopoli e morto a Hammamet nel 2000), ha evidenziato che i socialisti italiani guardarono da subito con occhio molto  critico alle manifestazioni sessantottine in Occidente, preferendo invece sostenere con forza quelle nell’Est europeo: “Da noi i figli della borghesia in piazza rischiavano poco o nulla, invece a Praga scendevano nelle strade a loro rischio e pericolo”. Praga insomma come antitesi al Maggio francese.

    I lavori sono stati introdotti da Marco Gervasoni (Università del Molise) che ha subito osservato come le celebrazioni del cinquantesimo del Sessantotto siano stati fin qui pervase (salvo le solite eccezioni, come Repubblica) da una retorica meno impudente del previsto. In effetti il “noi” sessantottino ha portato alla “dittatura dell’io”:  si è insomma “andati in California passando da Pechino”. Gervasoni ha poi ricordato come Bettino Craxi (allora consigliere comunale milanese) reagì quando i sessantottini annunciarono di voler impedire a Pietro Nenni (definito “fascista”) di parlare a un comizio: sono “una banda di pseudo rivoluzionari con la fuoriserie, giovani figli della Milano bene. Vengano e avranno quello che si meritano”.

    Nel corso della mattinata si sono rievocate le critiche al Sessantotto da parte di alcuni noti intellettuali.

     

    NICOLA MATTEUCCI.: IL SESSANTOTTO? L’INCONTRO DELLA MISTICA DELL’OPERAIO CON LA MISTICA DEL POVERO.

    Delle posizioni di Nicola Matteucci (1926-2006, filosofo e politologo liberale, co-fondatore de il Mulino di cui è stato direttore a tre riprese) ha parlato Roberto Pertici (Università di Bergamo). Matteucci inizialmente aveva considerato positivamente le proteste, “non infondate”, come “una risposta al fallimento del riformismo anche a livello universitario”. Tuttavia a breve termine sorgono in lui dubbi pesanti: “I contestatori si muovono spinti dal libertarismo: in che rapporto si pongono con il liberalismo?”. E Matteucci, da liberale, giunge alla conclusione che tra libertarismo e liberalismo “c’è uno iato incolmabile”. Nel maggio 1970 l’intellettuale bolognese per spiegare il Sessantotto ricorre alla categoria dell’ insorgenza populistica, riscontrando nel fenomeno elementi già caratteristici sia del movimento interventista del 1914-15 (che fa riferimento a “una cultura collettiva basata sull’attivismo e sul primato della prassi”) sia del ‘fascismo di sinistra’, di connotazioni originarie socialiste riconoscibili ad esempio nell’esaltazione “dell’Italia, nazione proletaria, contro le potenze demoplutocratiche”. Matteucci riteneva poi – ha evidenziato il relatore – che il Sessantotto avesse anche un “retroterra nuovo, quello cattolico”, così che esso si concretizzò come “incontro tra la mistica dell’operaio e la mistica del povero”. Qui il professor Pertici ha citato i giudizi negativi di Matteucci sulle opere di don Milani, “valide come testimonianza di una moderna cultura politica, ma assai povere sul piano culturale e prive di seri fondamenti nei giudizi sulla storia italiana”, una sorta di “condanna dell’intera storia d’Italia in nome delle masse dei diseredati”.

     

    AUGUSTO DEL NOCE: IL SESSANTOTTO ESTREMIZZA LA SCELTA DI UNA MODERNITA’ ATEA, SENZA TRASCENDENZA

    Non meno interessante la seconda relazione, in cui Giovanni Orsina (Università LUISS) ha ricostruito i rapporti tra Augusto Del Noce (1910-1989, filosofo e politologo cattolico) e il Sessantotto. Per Del Noce ciò che successe in quell’anno non è stata un’esplosione improvvisa, ma “un qualcosa che va spiegato storicamente, ha profonde radici nel passato e importanti conseguenze per il futuro”. Ecco allora che Del Noce richiama la scelta precedente al Sessantotto di una “modernità atea, non fondata sul dubbio, ma sulla certezza della non-esistenza di Dio”. Dal che consegue che “la società umana deve basarsi solo su stessa, su principi autoprodotti e dunque in continua evoluzione”. E il Sessantotto fu caratterizzato da una “deriva nichilistica”, che progressivamente porta, eliminati i principi naturali, allo “scientismo”. “Tutto quel che si può dire è fondato sulla scienza, ciò che conta è la vitalità dell’essere umano considerato come pura materia; regna la fiducia “nella capacità dell’uomo di vivere nella pace e nella giustizia una volta che gli istinti siano soddisfatti”. E’ insomma l’era del permissivismo: ognuno faccia quello che vuole.

    Del Noce – ha rilevato poi il relatore – riteneva il marxismo sconfitto dal diffondersi del benessere, il che impediva la realizzazione del secondo obiettivo che si era posto: dopo la distruzione dei valori tradizionali, la costruzione di valori rivoluzionari. In effetti il Sessantotto contesta la società del benessere, ma “estremizzandola e completando la distruzione dei valori tradizionali”. La  “molla rivoluzionaria sessantottina risiede nella vitalità in cui si liberano gli istinti libertari, esplode caoticamente la sessualità”, ciò che “è all’opposto dall’ordine, dalla disciplina richiesti in ogni movimento rivoluzionario”. Ha concluso Orsina: “Per Del Noce la rivoluzione del Sessantotto è perfettamente riuscita culturalmente, poiché ha trasformato radicalmente il mondo, ma è completamente fallita se guardiamo al suo ideale di liberazione universale”.

     

    DON LUIGI GIUSSANI: UN’ALTERNATIVA DI COMUNIONE AL SESSANTOTTO

    Direte… “Di carne al fuoco ce n’è già molta”, ma come ignorare la terza relazione, quella di Maria Bocci (Università Cattolica di Milano), che ha approfondito l’ “altra contestazione” sessantottina di don Luigi Giussani? Il fondatore prima di ‘Gioventù studentesca’, poi di ‘Comunione e Liberazione’ – ha rilevato la relatrice – “non ha mai avuto nulla del prete tradizionalista né ha mai appartenuto al dissenso ecclesiale né è mai stato un prodotto del Concilio”: “è sempre stato uno fuori dal coro, attentissimo alla cultura contemporanea e in particolare alla questione educativa, ben cosciente che stava per incominciare una stagione in cui il fatto religioso sarebbe stato solo di una minoranza”. Già nell’esperienza di ‘Gioventù studentesca” (fondata nel 1954 al liceo Berchet di Milano sulle ceneri di un’esperienza post-bellica fallita), si palesava la ricerca di un’alternativa alla società esistente. Tanto che Gioventù Studentesca guardò inizialmente con grande entusiasmo (Rocco Buttiglione dixit durante la tavola rotonda) alle contestazioni sessantottine (cui diede avvio in Italia nel novembre del 1967 proprio una parte degli studenti della Cattolica di Milano). Poi però, se non pochi giessini finirono in pianta stabile nel Movimento, don Giussani prese le distanze, sia perché a lui interessava maggiormente la ricaduta ecclesiale sia perché il Sessantotto sembrava aver imboccato la via “di un attivismo ispirato al marxismo”. Il prete brianzolo non concepiva che si potesse “ridurre la fede a sollecitazione derivata dai bisogni del mondo, una fede che stemperasse il Vangelo in un riduzionismo rivoluzionario”. Per don Giussani, ha ricordato Maria Bocci, due le istanze da concretizzare: dapprima una presa di autocoscienza (“La rivoluzione deve partire da se stessi”), poi le creazione di una realtà di comunione cristiana “informata alla carità solidale e da cui doveva essere bandito lo spirito capitalistico”. Fotografia ideale di ‘Comunione e Liberazione”.

     

    ALTRE RELAZIONI STIMOLANTI SULLA SINISTRA DEMOCRATICA; GLI INTELLETTUALI GOLLISTI, I CRITICI TEDESCHI

    Sono seguite le relazioni, ognuna a suo modo stimolante, di Danilo Breschi (Università degli studi internazionali di Roma) sulla “sinistra democratica e le critiche alla Contestazione”, di Gilles Le Beguec (Institut Pompidou) su “Les intellectuels gaullistes et le choc de mai 1968” (proveniendo da esperienze molto diverse, tali intellettuali non riuscirono a esprimere un giudizio univoco sugli avvenimenti del ‘Maggio’), di Sergio Berardinelli (Università di Bologna) su “La critica del Sessantotto nella cultura tedesca”. Nell’intervento di Belardinelli rievocati Habermas (“a suo modo, molto ambiguamente, anch’egli un critico del Sessantotto”) e soprattutto gli intellettuali di area liberal-conservatrice (come ad esempio Ernst Nolte e Hermann Lűbbe) che criticarono duramente il Movimento per la sua “esasperazione ideologica” e la sua contiguità al comunismo, fruendo di  “complicità politiche non irrilevanti”. Per Lűbbe il Sessantotto “è stato una tragedia senza compensazione, un fallimento sotto ogni punto di vista, una perdita secca per l’università”.

     

    SESSIONE POMERIDIANA TRA MUGHINI, MAGGIORANZA SILENZIOSA, BETTINO CRAXI

    La sessione pomeridiana, conclusasi con la tavola rotonda su “cosa resta del Sessantotto”, ha pure offerto molti spunti di informazione e di riflessione su quei “formidabili anni”. Con “cronache di uno psicodramma” ha fornito una testimonianza appassionata di prima mano il poliedrico opinionista e giornalista Giampiero Mughini (partecipò fisicamente al ‘Maggio’ francese, fu direttore responsabile del giornale di Lotta continua al tempo della campagna mortifera contro il commissario Calabresi,  si separò inequivocabilmente negli Anni Ottanta – con il pamphlet “Compagni addio” -da quella stagione politica e dalla “peggio gioventù” che la animò). Una analisi attenta e acuta della “maggioranza silenziosa” è invece venuta dalla relazione di Eugenio Capozzi (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli), mentre il Sessantotto di Bettino Craxi (nato nel 1934) è stata rievocato nei dettagli da Andrea Spiri (Università LUISS), che ha evidenziato tra l’altro come l’allora consigliere comunale di Milano già a partire dagli Anni Cinquanta avesse una notevole conoscenza del mondo universitario giovanile di sinistra.

     

    FRANCIA, GERMANIA, STATI UNITI

    Del ruolo decisivo assunto nel ‘Maggio francese’ da Georges Pompidou, primo ministro francese e della sua strategia vincente (ma non collimante con quella del presidente della Repubblica Charles De Gaulle) ha parlato Lucia Bonfreschi (Università Roma Tre). E’ vero che il mese si concluse con la enorme marcia convocata da De Gaulle sui Champs Elysées (la “maggioranza silenziosa” scese finalmente in piazza, con una reazione di popolo che decretò la fine delle grandi agitazioni operaie e l’indebolimento di quelle studentesche), ma il colpo vincente fu determinato dalla scelta di Pompidou di portare il Paese a nuove elezioni, che si svolsero il 23 e il 30 giugno e diedero quasi il 69% dei voti e tre quarti dei seggi dell’Assemblée nationale alla maggioranza gollista (alleati compresi). Il comportamento di “partiti e governo nella Repubblica federale tedesca di fronte al ’68 europeo” è stato analizzato da Federico Niglia (LUISS) e la serie delle relazioni è stata chiusa da Antonio Donno (Università di Lecce) che si è occupato del “neoconservatorismo americano come risposta della maggioranza silenziosa” alla contestazione statunitense degli Anni Sessanta (precedente dunque a quella europea). Qui il relatore ha evidenziato tra l’altro il successo della politica “pragmatica” di Richard Nixon, che aveva ben compreso l’esigenza della ‘maggioranza silenziosa’ di essere difesa dal governo federale: Nixon, che si era anche impegnato a chiudere la guerra nel Vietnam, fu così sostenuto in misura massiccia dal Sud prima democratico.

     

    SPUNTI DA UNA TAVOLA ROTONDA NON CERTO MONOCORDE, CON STEFANIA CRAXI, VINCINO, ROCCO BUTTIGLIONE E VITTORIO SGARBI

    Stefania Craxi/1 (figlia del leader socialista, nata nel 1960): “Se non tutto il Sessantotto può essere rottamato, non si può far finta di dimenticare che dal Sessantotto derivano gli ‘anni di piombo’ e un certo tipo di cultura”.

    Stefania Craxi/2: “Gli Anni Settanta furono i peggiori anni della nostra vita, imbarbariti dal terrorismo. Il lascito immediato di una parte del Sessantotto? La peggio gioventù, una minoranza agguerrita e ben organizzata che ha fatto carriera nel mondo accademico, politico, dell’informazione”

    Stefania Craxi/3: “Il Paese non ha ancora saputo superare la cultura sessantottina, che permea la politica italiana..Diceva Montanelli di aver visto nascere una bella torma di analfabeti che invasero la vita pubblica e privata, fieri della propria ignoranza”.

    Stefania Craxi/4. “Il Sessantotto ha anche schiuso le porte alla ‘turbofinanza’, fenomeno senza legge, un ‘vietato vietare’ applicato all’economia”.

    Il vignettista Vincino/1:  (nato nel 1946, con parole ancora pervase di passione) “Il Sessantotto è stato un periodo meraviglioso. L’establishment dell’epoca era terribile, insopportabile. Il tessuto istituzionale era pre-fascista, ma dentro continuava il fascismo”.

    Vincino/2: “Amsterdam nel Sessantotto era il paradiso”.

    Vincino/3: “Ero a Praga nell’agosto del 1068, con qualche centinaio di compagni a chiacchierare di Europa. La sera dell’invasione eravamo in un night-club. Ci dissero che sarebbero arrivati i carri armati sovietici. In quattro salimmo subito su una macchina, puntando verso la Germania. Alle 10.00 incontrammo i carri armati e vedemmo anche auto con cartelli per la libertà. Alle 14.00 arrivammo in Germania. E’ un ricordo bellissimo”.

    Rocco Buttiglione/1 (nato nel 1948): “Con il Sessantotto ci fu la scoperta di un movimento generazionale, condiviso da tanti. E noi, giovani cattolici di Gioventù Studentesca, partecipammo entusiasticamente. La società con cui ci confrontavamo aveva accantonato i vecchi valori fascisti, ma non li aveva sostituiti che con una visione materiale della vita”.

    Rocco Buttiglione/2: “Nel 1968 facevo il servizio di leva. Tornato a Roma in licenza, andai alla Sapienza. Si fronteggiavano gli studenti di sinistra asserragliati a Lettere e quelli missini nella fortezza di Giurisprudenza. Per evitare scontri noi di Gioventù Studentesca formammo una barriera umana. Che fu travolta dai missini intenzionati a espugnare Lettere. Io mi beccai una sprangata da Giulio Caradonna (NdR: missino focoso, deputato dell’Msi per otto legislature, morto nel 2009)”.

    Rocco Buttiglione/3 (si è definito come “democristiano atipico, discepolo di Helmut Kohl”): “Tra le conseguenze politiche del Sessantotto troviamo l’esplodere del debito pubblico (i politici infatti “contennero la domanda di Assoluto in terra concedendo quanto chiesto dai sindacati”), il dilagare del ritornello della “partecipazione” (ma, se è importante partecipare, in una democrazia è ancora più importante decidere”) e l’imporsi “della discoteca come tempio, in cui la risposta allo stesso desiderio di Assoluto in terra era l’allucinazione”.

    Vittorio Sgarbi /1 (nato nel 1952): “Dal Sessantotto in poi essere giovani è un valore assoluto. Noi abbiamo tolto la parola ai pofessori in aula e ce la siamo presa per parlare a centinaia di persone fuori. La parola era il potere”.

    Vittorio Sgarbi/2: “Il Sessantotto à stato un mondo di poesia, di libertà. Velleitario”.

    Vittorio Sgarbi/3: “Nel Sessantotto abbiamo vissuto una rivalutazione della giovinezza. Ho rieducato i miei genitori, li ho svecchiati radicalmente”

    Vittorio Sgarbi/4: “Pasolini nutriva una forte antipatia verso il Sessantotto e sosteneva già il 16 giugno di quell’anno di aver passato una vita a combattere i borghesi e di essere costretto a combattere anche i loro figli, ‘figli di papà che si rivoltano contro i papà’. Pasolini è qui tra noi, ancora oggi, nell’Italia politica e culturale”.

    P.S. Da qualche mese la Fondazione Craxi pubblica una rivista trimestrale, “Le sfide”, con il motto “Senza futuro non c’è memoria”. Direttore responsabile è Mario Barbi e del Comitato scientifico fanno parte Eugenio Capozzi, Lorenza Castellani, Marco Gervasoni, Federico Niglia, Giovanni Orsina e Andrea Spiri. Nel numero inaugurale ha scritto Stefania Craxi: “Troverete in questa nostra pubblicazione una voce fuori dal coro, speriamo mai stonata, composta da contributi originali di intellettuali e di protagonisti, di ieri e di oggi, sui temi più significativi della vita pubblica nazionale ed internazionale”. Il primo numero è stato dedicato a “Italia-Europa: cambiamo rotta”, il secondo alla XVIII Legislatura, incominciata il 23 marzo 2018 (“Alla ricerca delle riforme perdute”).

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