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    INTERVISTA A FRANCESCO TOTTI

    INTERVISTA A FRANCESCO TOTTI - di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org - IL CONSULENTE RE' DI GIUGNO 2009

     

    Intervista a un grande simbolo popolare della ‘Roma eterna’ – Sensibilità sociale? “Sono sensibile come lo sarebbe chiunque al posto mio, credo” – Attaccamento alla maglia? “Ho fatto una scelta di cuore, rimanendo a Roma per sempre”

    In questi giorni è uscito un volumetto accompagnato da dvd, dal titolo “Quando i bambini fanno Ahò”( Arnoldo Mondadori Editore). C’entra forse per qualcosa Francesco Totti? Spontaneo il pensarlo, ‘logica’ la conferma. Del resto l’autore osserva, riferendosi naturalmente a chi cresce all’ombra del Colosseo: “Tutti i bambini sono uguali e quando giocano a pallone tutti fanno: Ahò, passame la palla!”. L’uscita del libro (i cui proventi andranno a beneficio del progetto Diamo un calcio alla disabilità) ha rafforzato in noi l’idea di fare un’intervista a un giocatore di cui abbiamo sempre ammirato – oltre alle grandi doti calcistiche – anche la semplicità nel comportamento quotidiano e la disponibilità per le iniziative sociali. Ne è nata così l’intervista che segue, alla vigilia di una partita decisiva con il Milan (che il Nostro ha risolto da par suo dando alla Roma la certezza dell’Europa League-Coppa UEFA l’anno prossimo)

    D: Francesco Totti, Lei è un calciatore cui la natura ha donato grandi talenti. Gradualmente si è imposto come un personaggio pubblico. E molti – tanti bambini e ragazzi – guardano a Lei come a un modello da seguire (Che vuoi fare nella vita? Voglio diventare come Totti). Lei dunque ha anche una funzione sociale importante. Ne è consapevole? In che modo la assume?

    R: Questo è un argomento molto delicato. Noi tutti, calciatore, ma anche personaggi pubblici in generale, abbiamo questa responsabilità nei confronti dei bambini e ragazzi che guardano a noi come modelli. Io cerco di essere me stesso, di non montarmi, di rimanere semplice e disponibile. Per me i modelli a cui devono aspirare i giovani dovrebbero essere diversi: persone che dedicano la vita a fare del bene al prossimo. I calciatori in fin dei conti sono ragazzi normali, anche giovani nella media, e che sbagliano come tutti. 

    D: Però Lei in ogni caso non è considerato solo un calciatore, ma un modello: ciò implica per Lei anche delle conseguenze nello scorrere della Sua vita quotidiana? E poi: non si rischia a volte di pretendere troppo da Lei? Non si sente mai gravato di responsabilità troppo grandi?

    R: Sì. A volte sento le responsabilità e le pressioni. Anche Totti è un ragazzo normale, che a volte sbaglia. Però il rovescio della medaglia è il grande affetto della gente, che mi aiuta a superare stress e pressioni.

    D: Quanto è importante per Lei essere padre di due figli? Riesce a esserlo concretamente? Quanto riesce a godersi i Suoi figli?

    R: E’ importantissimo. Anzi fondamentale. A volte mi chiedo come facessi prima di diventare padre. Provo a stare con i miei figli tutto il tempo libero che ho. Spero di riuscirci bene, ma di sicuro provo a fare del mio meglio.

    D: E’ noto che Lei è molto sensibile tra l’altro al dolore dei bambini malati. Che cosa pensa quando li va ad incontrare?

    R: Io sono sensibile come lo sarebbe chiunque al posto mio, credo. Penso sia istruttivo fare una visita a un reparto pediatrico dove sono ricoverati bambini per malattie serie. E’ qualcosa che se sei umano non può che segnarti profondamente.

    D: Che cosa prova interiormente, quando prima delle partite in casa risuona allo stadio il Roma Roma Roma, core de ‘sta città... Ha ancora senso oggi – quando denaro e spregiudicatezza dominano anche il mondo del calcio – l’attaccamento a una maglia?

    R: Per me sì. Ha senso, perché io ho fatto una scelta di cuore rimanendo a Roma per sempre. Sentire l’inno mi dà ancora emozioni, dopo tanti anni.

    D: Infine: ai ragazzi delle curve, così appassionati e a volte così estremi, che cosa si sente di dire?

    R: I ragazzi delle curve sono ragazzi semplicissimi, con la passione viscerale per la loro squadra. Sono uno spaccato della nostra società, e secondo me non ha senso analizzarli come se fossero chissà che strano fenomeno. Conosco tante persone che vanno in curva e che sono dei tranquillissimi padri di famiglia.

     

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