A TU PER TU CON UMBERTO PIZZI: MEZZO SECOLO DI FOTO CHE PARLANO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 31 dicembre 2018
Un’intervista di fine anno molto particolare per www.rossoporpora.org. Siamo andati a Zagarolo per una chiacchierata con Umberto Pizzi, uno degli ultimi ‘paparazzi’ della ‘dolce vita’, sempre ancora sulla breccia a più di ottantun anni. Ne è uscita un’intervista assai curiosa, corredata da sedici foto d’autore, anche drammatiche o scanzonate…
Ricordate la casetta di Hänsel e Gretel, quella della fiaba dei fratelli Grimm? L’abbiamo ritrovata a Zagarolo… non era però di marzapane e dentro non c’era la strega cattiva, ma un mago… un mago della fotografia... meglio ancora: di una fotografia particolare, quella propria dei paparazzi. Paparazzi? Sì, quei fotografi che esprimono il loro talento riprendendo – quasi sempre con un pizzico di malizia incorporata - celebrità colte in atteggiamenti non ufficiali in occasioni diverse. L’appellativo ha conosciuto grande fortuna soprattutto grazie al film felliniano La dolce vita (1960), in cui l’attore Walter Santesso impersonava il fotografo Paparazzo.
Torniamo a Zagarolo. Dentro la casetta di Hänsel e Gretel (insieme con la moglie Nena, una nipote, tre cani, diverse galline, un gallo, una piscinetta, un bell’orto, alcuni ulivi, alberi da frutto e palme) troviamo uno degli ultimi paparazzi in circolazione in un tempo in cui la tecnologia avanzata e diffusa rende spesso problematica la loro attività, considerato come la celebrità possa essere immortalata anche da un modestissimo cellulare. Da ciò consegue che le ‘esclusive’ sono sempre più difficili e gli sforzi dei paparazzi superstiti sempre meno concretamente apprezzati.
Ha passato gli ottantuno ormai Umberto Pizzi da Zagarolo, ma non per questo si sente in pensione. Anzi… lo incontriamo spesso in occasioni pubbliche mentre, sempre vigile, scivola tra i corpi, macchina fotografica a tracolla pronta a inchiodare il vip vero o presunto di turno impegnato in un saluto, in sorrisi più o meno sinceri, in un assaggio più o meno famelico, magari in un pisolino mentre assiste a un convegno. Come dice Umberto, i momenti delle strette di mano e dell’assalto ai buffet sono tra i più eloquenti perché lasciano intuire pregi e difetti di una persona. E lui lì non manca mai, per inviare poi – in questi anni - gli scatti più significativi a Il Fatto quotidiano e a Formiche.net.
Umberto, in questa intervista a dir poco inconsueta di fine anno per www.rossoporpora.org raccontaci un po’ della tua vita…
Sono nato a Zagarolo il 7 ottobre 1937…
7 ottobre? Il giorno della battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), festa dunque della Madonna della Vittoria, poi del Rosario…
Ah sì? Che ne so...ma io non sono un credente…
Un bolscevico invece sì, mi dicono…
Certo…
Sai che a me i bolscevichi stanno come a Lucia i mandarini…
Ma che c’entrano i mandarini?
L’ho sentito a Palombara Sabina, curva nord…
Mhhh… Sono stato, sono e sarò sempre un ‘compagno’, perché gli ideali marxisti per me sono validi anche oggi. Sono nato in una famiglia proletaria, molto povera… erano tempi di guerra, tempi di fame. Eravamo sette figli (io ero quello di mezzo) ed era dura. Però i miei genitori (padre contadino, madre casalinga), verso i quali ho sempre nutrito e nutro una profonda venerazione… erano generosi, non rifiutavano mai di dividere il poco, qualche patata che avevano, anche con chi bussava alla nostra povera casa. A un certo momento il fronte si era molto avvicinato. Da una parte stavano gli alleati, dall’altra i tedeschi. Arrivarono a casa nostra anche due combattenti russi, Vasco e Sergio, il mitra un po’ arrugginito e da oliare.
I PRIMI SCATTI
Poi vi siete trasferiti a Roma…
Sì, dopo la fine della guerra, in un appartamento sulla Casilina, a Torre Maura. Ho frequentato le elementari, poi altri tre anni… sai che a quei tempi poteva studiare solo chi aveva i soldi. Già a dodici anni lavoricchiavo di qua e di là per portare a casa qualche soldo: ho fatto quel che capitava, dal lavapiatti al facchino. Poi la buona sorte mi fece trovare un lavoro molto redditizio: aiutare nella quotidianità il proprietario dell’Hotel Ambasciatori Palace a via Veneto e anche dell’Hotel delle Fonti a Fiuggi. Si chiamava Adelmo Della Casa e gli era stata amputata una gamba: lo portavo in giro ad esempio sulle sue Rolls-Royce…
Come hai intrapreso la via della fotografia?
Avevo letto un libro di tecnica fotografica di un americano e avevo comprato una macchina con cui fotografavo la natura. Un fisioterapista dell’albergatore vide le foto, le apprezzò e mi chiese se per caso non avessi l’intenzione di fare il fotografo. Risposi di sì e allora mi presentò a un photoeditor che lavorava alla Fao. E così mi mandarono in Medio Oriente, dove per tre anni – nell’ambito di una campagna contro la denutrizione - mi sono mosso tra beduini del deserto, bambini addestrati alla guerriglia, profughi curdi, minatori turchi e soprattutto tanta fame.
NEGLI ANNI DELLA ‘DOLCE VITA’
Quando tornasti a Roma… e così si compì il tuo destino?
Alla fine degli Anni Cinquanta e agli inizi degli Anni Sessanta l’Italia incominciò a conoscere il boom economico e Roma si rese famosa per la dolce vita in via Veneto e dintorni. Ebbi un’offerta dalla Picture Editor, americana, e così lasciai la Fao per via Veneto. Dapprima feci per così dire un periodo di apprendistato, seguendo e studiando il lavoro dei diversi paparazzi, ormai ben affermati, in azione. Ero giovane e dovevo imparare. Dopo l’apprendistato, mi misi in proprio perché ero affascinato dalle potenzialità fotografiche di un ambiente in cui si muovevano la Taylor e la Loren, Mastroianni e la Garland… personaggi mitici….Avevo anche seguito alcuni corsi di inglese all’ English School di via Lucullo e questo si rivelò molto utile per il mio mestiere.
In effetti in quegli anni hai lavorato per diverse riviste americane…
Sì, ad esempio per il National Enquirer , che vendeva cinque milioni di copie la settimana o per People Magazine, che aveva la copertina a colori e dentro era tutto in bianco e nero. Devo dire che venivo ingaggiato a suon di dollaroni, come quando mi chiesero di scovare Sofia Loren, temporaneamente innamorata di un endocrinologo francese: li scovai, lei e lui in macchina a Parigi. E quella foto, scattata dopo un mese di lacrime e sangue, mi fruttò anche un bonus di diecimila dollari. E poi c’erano da seguire Soraya, moglie dello Scià di Persia; Costantino di Grecia e Annamaria di Danimarca, successivamente anche Caroline di Monaco e i suoi innamoramenti…
Certo dovevi essere sempre ben vigile…
E come no? Una volta per fotografare a Capri Liz Taylor e Richard Burton dovetti salire su un pino; all’Argentario invece mi ero fatto una sorta di cuccia sopra le ville frequentate dai reali di tutta Europa.
Ma nessuno ti ha mai tirato giù a suon di scappellotti?
Ogni tanto è capitato a quel tempo che qualcuno reagisse male. Una volta con le guardie del corpo di Mick Jagger che mi buttarono contro un taxi, un’altra con quelle di John Wayne Bobbit, l’evirato dalla moglie Lorena. Con me si arrabbiarono Roman Polanski e Gérard Depardieu, ‘beccati’ tutti e due mentre flirtavano con le loro fiamme del momento. Una volta anche Walter Chiari. Di Gianni Agnelli scattai foto insieme con Monica Guerritore e Rossana Podestà e altre, mai pubblicate perché finite a un giornale di famiglia… Si deve dire che nel periodo della dolce vita anche le attrici più famose avevano solo l’autista, non i bodyguard…erano vere e proprie dive, non starlettes fatte e rifatte.
LA SVOLTA VERSO IL ‘CAFONAL’
Quando si concluse secondo te il periodo della ‘dolce vita’?
Il clou fu negli Anni Sessanta. La fine direi a fine Anni Ottanta, inizio Anni Novanta. Ci sono alcune mie foto emblematiche della conclusione di una stagione e dell’inizio di un’altra. Sono foto-spartiacque. La prima è quella scattata alle tre del mattino del 31 agosto 1990 a Venezia, nelle sale del palazzo dei conti Volpi di Misurata, durante la festa organizzata per i diciotto anni di Elisabetta, figlia di Maria Gabriella di Savoia. Verso le tre arrivò la contessa Francesca von Thyssen Bornemisza con un lungo strascico colorato che il fidanzato improvvisamente le sollevò….un gesto non più da ‘dolce vita’, ma da qualcosa di diverso: era cominciata l’era del ‘cafonal’, caratterizzata da una volgarità diffusa e praticata da neo-ricchi e nuove classi dirigenti. Quella foto-spartiacque, che mi fruttò una barca di dollari, fu citata perfino dal New York Times. Un’altra foto emblematica è quella scattata nel 1994 nel club privé del Gilda a Roma: vi si vede la festeggiata su un tavolo con una bottiglia di champagne incombente, mentre attorno ridono divertiti alcuni parlamentari della nuova maggioranza… E poi te ne do una terza, di grande effetto, scattata nel 2014, in occasione della premiazione del film “La grande bellezza” di Sorrentino, che tra l’altro si ispirò anche alle mie foto pubblicate nella rubrica Cafonal di Dagospia…”La grande bellezza”… in effetti descrizione de “La grande bruttezza”…
Spiegati…
Al tempo della ‘dolce vita’ oggetto delle mie foto era un ambiente certo particolare, però in qualche modo simbolo di una società in progresso, caratterizzata dallo slancio del boom economico… una società effervescente ed ottimista. Le dive e i divi, pur non scevri da eccessi, avevano comunque classe, eleganza. Il tempo del cafonal riguarda ancora una cerchia limitata, di vip veri o presunti e dunque non la Roma che si alza alle sei del mattino e si mette in fila sul Raccordo Anulare per andare al lavoro e torna a casa la sera stanca morta… Il fatto è che questa cerchia limitata rappresenta qualcosa di molto diverso rispetto a quella degli Anni Sessanta…è incolta, famelica, siliconata, di una volgarità senza pari, di un esibizionismo pacchiano. Non solo: aspira ad essere fotografata e pubblicizzata nei suoi eccessi. Insomma è il simbolo di una società vuota, grottesca, quella in cui ad esempio le mamme accompagnano i figli magari dodicenni al concerto di uno zozzone spinellato e poi succede quel che succede… Una vera rivoluzione antropologica rispetto agli Anni Sessanta…
Umberto Pizzi non è solo un paparazzo, ma anche un fotoreporter che ha colto con l’obiettivo momenti importanti della storia italiana degli ultimi cinquant’anni… ad esempio il rapimento di Aldo Moro quel 16 marzo 1978…
Fui tra i primi ad arrivare a via Fani. Come mio costume non mi intruppai con gli altri, ma riuscii a ridiscendere contromano via Fani. Camminavo tra i proiettili, la scena era terribile, come puoi vedere da queste foto… La rivista americana People Magazin mi chiese poi di seguire quotidianamente la famiglia Moro nei giorni del rapimento…
DA NON CREDENTE, LA CHIESA MI HA SEMPRE AFFASCINATO...
Più volte mi hai espresso la tua curiosità da ‘esterno’ verso il mondo della Chiesa…
Come sai, non sono un credente. Però il mondo della Chiesa mi ha sempre affascinato e mi affascina ancora oggi per la sua complessità ricca di toni, colori e anche misteri. Ad esempio mi è capitato in questi ultimi tempi di incontrare a presentazioni di libri il cardinale Angelo Giovanni Becciu, già Sostituto Segretario di Stato… ebbene… mi sembra così indecifrabile dietro quei suoi occhi penetranti…
Nessuno ti ha mai chiesto di fare qualche servizio sulla Chiesa?
Sì, è capitato ad esempio dopo l’elezione di Karol Wojtyla, quando People Magazin mi chiese di scattare dieci foto all’entourage del nuovo Papa. E’ così che con una giornalista americana capitai chissà come allo Ior, dentro il torrione; mi ricordo che fummo ricevuti subito dall’arcivescovo Paul Marcinkus, di cui mi colpirono l’aria da potente (cordialmente consapevole di esserlo) e il Rolex al polso sinistro. Molto disponibile poi anche il neo-segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli, che si mise in posa davanti al tavolone di una sala molto ben affrescata del Palazzo apostolico. Il mio obiettivo ha colto pure il Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, fra’ Andrew Bertie, dopo l’elezione nel 1988, ma mi intrufolai anche nei tre giorni dei suoi funerali nel 2008, presieduti dal cardinal Pio Laghi. Un ricordo divertente è quello del cardinale Giovanni Battista Re che assapora la porchetta a una festa organizzata a Campagnano nei primi anni Duemila da Mario D’Urso, finanziere allora molto in auge nella jet society.
Concludiamo con una domanda impegnativa, anche per uno come te che la Chiesa la osserva ogni tanto e dal di fuori: che mi dici di papa Francesco? Alcuni – non noi – lo ritengono un ‘compagno’…
Noooo, un ‘compagno’ no… non è di sinistra! Piuttosto mi sembra un descamisado peronista. Però non è facile inquadrarlo… non mi è antipatico, dice cose giuste, ha buone intenzioni…
E qui passiamo ad assaporare un piatto di ottimi maccheroni con ragù e piselli, mentre dalle pareti ci osservano Andreotti e signora (con un’odalisca impegnata nella danza del ventre sullo sfondo), Alberto Moravia e Claudia Cardinale, Franco Zeffirelli e Walter Chiari, Gina Lollobrigida, Sofia Loren e Marcello Mastroianni, Mina e Ornella Vanoni, Liz Taylor e Richard Burton, Massimo d’Alema (“uno che, a differenza di tanti altri ‘compagni’ di grido ridotti male, sta invecchiando bene”) e...e...e... e centinaia di faldoni con negativi tutti archiviati a dovere. Sulla porta ci scodinzolano ancora festosi Perla, Ciro e Camilla, i cani di casa. Ciao, casetta di Hãnsel e Gretel!
P.S. Segue una galleria di sedici foto, anche drammatiche o scanzonate - quattordici scattate da Umberto Pizzi e due da altri - dagli Anni Sessanta in poi. Auguri sinceri e calorosi per un Anno sereno e ricco di cose belle per tutti!