INTERVISTA A MONS. ELIO SGRECCIA - di GIUSEPPE RUSCONI - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI FEBBRAIO 2010
La sera del 9 febbraio 2009 moriva in una clinica di Udine, per fame e per sete, Eluana Englaro. La fine di Eluana colpì profondamente e divise tra loro molti italiani (sebbene quella sera stessa diversi milioni di telespettatori avessero preferito continuare – legittimamente certo… - ad abbeverarsi alla fonte prestigiosa del ‘Grande fratello’). A poco più di un anno di distanza, la ferita si è rimarginata oppure continua a sanguinare?
E la politica ha fatto passi avanti, dopo le promesse solenni di quei giorni? Il mondo cattolico, apparso non certo compatto nel difendere in quel frangente preciso il diritto alla vita (al di là dei continui, documentati, duri e meritori richiami di ‘Avvenire’), ha avviato una riflessione profonda sul tema? Tra poche settimane in gran parte d’Italia si voterà per le elezioni regionali: ci sono cattolici (o sedicenti tali) che presumibilmente opereranno scelte in contrasto con la difesa dei ‘valori irrinunciabili’. Per trovare una risposta di conoscenza e di esperienza a tali domande siamo saliti al quinto piano del Palazzo del Sant’Uffizio per incontrare monsignor Elio Sgreccia, fino a un anno e mezzo fa presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Ecco le sue considerazioni, espresse come d’abitudine senza troppi peli sulla lingua, in linea con la coerenza da sempre mostrata nella fedeltà al Magistero sui temi del diritto alla vita e della famiglia.
Monsignor Sgreccia, poco più di un anno fa si spegneva per fame e per sete in una clinica di Udine Eluana Englaro. La tragica fine di Eluana ha segnato la storia civile d’Italia, costringendo molti a riflettere profondamente sul tema del fine-vita e sulla possibilità concreta e nefasta che per sentenza o per legge qualcuno si sentisse autorizzato a porre fine alla vita di altri. Che cosa provò Lei quando apprese la notizia?
Paura e dolore per il modo con cui Eluana ci aveva lasciato. A un anno di distanza, considerando obiettivamente quel che accadde e avendo avuto anche il conforto di indagini scientifiche recenti sulle problematiche relative ai malati in stato cosiddetto vegetativo persistente, ci rendiamo ancora più chiaramente conto che si è trattato di una morte accelerata, inflitta. Dico questo pur avendo il massimo rispetto per i familiari coinvolti. La tragica fine di Eluana ha prodotto un trauma non solo in chi sente il dovere di rispettare i tempi e i modi della morte naturale, ma anche in campo giuridico: quella sentenza di tribunale ha aperto una ferita profonda nella coscienza civile e attende ancora di essere sanata.
Quel lunedì sera rientravo a casa in bus da piazza Cavour. Erano circa le nove. A un tratto una ragazza, che aveva un telefonino, dà ad alta voce la notizia che Eluana è morta. Dopo un momento di silenzio scoppia una mischia verbale furibonda tra buona parte della decina di passeggeri: alle accuse di ‘assassinio’, con una rabbia non trattenuta nei confronti del Presidente della Repubblica (che non aveva firmato il decreto governativo salva-Eluana), rispondono quelle di ‘oscurantismo’. Nel corso di quei minuti concitati si alza anche la voce di un sacerdote che dice di considerare la vicenda della morte di Eluana “un atto di pietà cristiana”. Secondo Lei è proprio stato così?
Se si fa appello alla ‘pietà cristiana’ per cambiare la verità dei fatti, questa ‘pietà’ è malintesa, è falsa. La verità nella storia di Eluana è che era una paziente viva, che chiedeva soltanto di essere aiutata a vivere e a non soffrire. E non poteva chiedere di essere soppressa.
Nel caso concreto si è evocata una sua presunta volontà precedente…
Si è pubblicizzato che, se fosse successo, Lei avrebbe detto di preferire la morte. Tale posizione non sarebbe conforme né alla dignità né al rispetto della vita umana. Nel caso di Eluana poi l’espressione in tal senso era del tutto supposta, non aveva alcuna vera certificazione; è stata evocata solo allo scopo di trovare una ragione soggettiva per anticipare la morte. Se vogliamo ragionare oggettivamente, dobbiamo confermare che non è questo il trattamento che si deve offrire a una persona in stato vegetativo. Sono state le suore misericordine di Lecco ad aver accompagnato per tanti anni con tanto amore (come si dovrebbe sempre fare) la vita di Eluana. In situazioni di tale genere non si sa mai che non ci possa essere una ripresa del paziente, non si sa esattamente quanto sia vigile la coscienza: perciò l’anticipazione della morte non ha nessuna ragione logica né tantomeno corrisponde alle esigenze di dignità della persona umana che non tollera che qualcuno metta mano nell’ucciderti.
Monsignor Sgreccia, a un anno di distanza come valuta l’atteggiamento tenuto in quei giorni dal mondo cattolico? Certo l’ Avvenire in prima linea, alcuni vescovi e movimenti pro-vita si sono espressi senza paura e secondo verità…. altri hanno privilegiato una linea più attenta alla salvaguardia della politica concordataria che alla difesa dei valori fondamentali, altri ancora (normalmente attentissimi ad esempio ai drammi dell’immigrazione) sono sembrati piuttosto assenti, come se il problema non li riguardasse…
Penso che nel mondo cattolico italiano non ci sia stata una vera unità, una consonanza…. Si è faticato a mantenere una linea omogenea. Forse anche per questo si è dato adito a una grande confusione in coloro che non hanno la nostra stessa visione. E’ auspicabile che sull’argomento si faccia una riflessione profonda e pacata in tutto il mondo cattolico, guidata dai documenti del Magistero. Così da evitare quegli ondeggiamenti che tale mondo ha mostrato in relazione alla vicenda di Eluana; la testimonianza di fede si deve dare con un’opinione chiara soprattutto nei momenti in cui è doverosa, se vogliamo dirci cattolici.
In questi mesi è emerso ancora più chiaramente il tentativo di trasformare Eluana in una sorta di simbolo della libertà di autodeterminazione…In nome di Eluana si vuole combattere la battaglia dell’eutanasia. Lei che cosa ne pensa?
L’appello al principio di autonomia è il coagulante di tutti coloro che militano più o meno scopertamente a favore dell’eutanasia. Tale posizione, come risulta anche dagli studi recenti di pensatori autorevoli, non ha nessun supporto razionalmente valido. Noi siamo autonomi poiché abbiamo una vita ricevuta che ce lo permette. L’autonomia vera, rettamente intesa, è nel compimento di un atto, non nel disporre della vita, che ci è stata data e che dobbiamo gestire e conservare nel miglior modo possibile. L’altra autonomia è quella intesa ideologicamente: presumiamo di essere padroni della nostra vita. In realtà non è così, tanto è vero che chiediamo alla società di difendere la nostra vita e quella degli altri, quando è il momento. E’ oggi indispensabile chiarire culturalmente questi concetti, così da far emergere inconfutabilmente e a beneficio di tutti la verità.
Nei giorni convulsi di un anno fa ci furono in successione l’intervento in extremis ma pur sempre potenzialmente efficace del Governo, la firma ‘non messa’ del presidente della Repubblica, la promessa di intervenire immediatamente in sede legislativa, l’inizio della discussione in Senato….poi sopraggiunsero il 26 marzo 2009 l’approvazione dell’aula e il passaggio alla Camera dei deputati. Presso la cui commissione degli Affari sociali il disegno di legge viene esaminato con molta lentezza…
In un primo momento mi è sembrata buona cosa fare una pausa di riflessione per stemperare le passioni e per legiferare il più possibile con mente serena, secondo ragione. Mi rendo conto che sono sopravvenute altre urgenze, dovute al terremoto dell’Aquila e a problemi di vario genere. Però a questo punto è ora di portare un chiarimento definitivo: se capitasse un altro ‘caso Eluana’, come si comporterebbero i giudici coinvolti? Bisogna porre termine all’incertezza legislativa. E’ chiaro che il mio auspicio è per la conferma di quei limiti invalicabili che in qualche modo sono stati fatti valere in prima lettura al Senato: no alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione per il paziente, sì alla cura della persona.
Chi frena il cammino del disegno di legge?
C’è una resistenza una volta ancora di lobbies, di ideologie che lottano contro il principio del diritto alla vita. Bisogna fare appello a tutti coloro che vogliono promuovere tale principio a difenderlo pubblicamente e con coraggio nell’ora delle decisioni.
Il disegno di legge non sarà certo approvato dalla Camera prima delle prossime elezioni regionali. Che in qualche regione hanno visto scendere in campo, a guida di importanti schieramenti politici, candidati e candidati che per la loro storia, il loro presente e presumibilmente il loro futuro sono portabandiera di idee zapateriche in materia di vita e di famiglia. Eppure sembra che costoro possano contare sul voto di diversi cattolici (o che tali si definiscono….). C’è anche chi, durante la conferenza-stampa del 5 febbraio a Roma sulla prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani, ha detto che il primo criterio – il principale - per la scelta del candidato alla guida della regione è quello della sua capacità di gestire i problemi locali. E l’ideologia allora conterebbe poco o nulla nella scelta. E’ vero che, dopo alcuni giorni, in un’intervista ad Avvenire, il tiro è stato (molto) aggiustato… Lei, monsignor Sgreccia, quali considerazioni fa sul tema?
E’ vero che le elezioni amministrative hanno di per sé una valenza locale. Ed è vero che a tale livello le alleanze si fanno in primo luogo su problemi concreti. Tuttavia un accordo politico tra partiti (in cui sono ben presenti cattolici) non può lasciare scoperte zone d’ombra su temi fondamentali per i cattolici, come quelli del diritto alla vita e della famiglia. Magari negli accordi non se ne parla… però poi non è difficile prefigurare che, a urne chiuse, tali ambiguità si dissolvano in senso negativo per chi difende la legge naturale…
Ci sono candidate che hanno già dichiarato – e, conoscendo la loro storia e la loro tenacia, ci si sarebbe meravigliati del contrario – di non voler rinunciare per nulla a concretizzare le loro idee zapateriche su vita e famiglia…
Qui si pone veramente una questione di coscienza per i cattolici: se si prevede che sulle questioni della vita e della famiglia la candidata, eletta, continuerà sulla strada fin qui intrapresa e dichiarata pubblicamente, non si può sottacere che incombe un problema di incompatibilità per il cattolico che mette in conto di votarla…
Ma in politica chi si stupisce se, per una poltrona, si mercanteggiano i ‘valori irrinunciabili’?
Può anche darsi che accada. Ma è sempre un danno. Ed è sempre anche una viltà.