INTERVISTA AL CARDINAL ZENON GROCHOLEWSKI - di GIUSEPPE RUSCONI - 'IL CONSULENTE RE' DI NOVEMBRE 2008
A colloquio con il cardinale Zenon Grocholewski sulle accresciute difficoltà dell’educare. Il ruolo di famiglia e scuola. La grave responsabilità dei massmedia. L’educazione cattolica come educazione integrale. L’identità della scuola cattolica: insegnanti, allievi, insegnamento della religione. Il finanziamento statale delle scuole cattoliche. Obiezione di coscienza doverosa quando si impone, come in Spagna, l’ora di educazione civica dai contenuti anticristiani.
Nominato da papa Giovanni Paolo II, il cardinale Zenon Grocholewski è da nove anni il prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica, successore alla testa del dicastero del cardinale Pio Laghi. Sessantanovenne polacco dell’arcidiocesi di Poznan, è stato ordinato sacerdote nel 1963 ed è venuto a Roma per gli studi di diritto canonico presso la Gregoriana nel 1966 (licenza nel 1968, dottorato nel 1972). Per ventisette anni ha lavorato alla Cancelleria, nel Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, diventandone segretario nel 1982 (consacrato vescovo da Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1983) e prefetto nel 1998. Dal 15 novembre del 1999 è il massimo responsabile del dicastero vaticano che più si occupa di educazione sul terreno, sovrintendendo non solo ai Seminari sparsi nel mondo (ad esclusione di quelli dipendenti dalla Congregazioni per le Chiese orientali e di Propaganda fide), ma a ogni tipo di scuola dipendente dall’autorità ecclesiastica (ivi incluse le Università). E’ parso utile incontrare il cardinale Grocholewski (porporato dal 2001) per sentire dapprima il suo pensiero in materia di educazione odierna dei giovani, poi di educazione cattolica in particolare. Nell’intervista – molto ampia - si è così parlato dell’importanza e delle difficoltà educative nella nostra società, del grande e delicato lavoro della famiglia confrontata con le nuove sfide della comunicazione tecnologica, dei significati propri dell’educazione cattolica nella scuola, con i tanti problemi connessi a tale tipo di attività/vocazione (scelta degli insegnanti, allievi non cattolici, finanziamento statale delle scuole). Infine con il presule polacco si è accennato al tema dell’imposizione di un’ora di educazione civica (nel senso di etica elaborata dall’autorità politica) in Paesi come la Spagna: per il cardinale Grocholewski – che rievoca i suoi anni nella Polonia comunista e le frizioni con il regime in materia di insegnamento della religione cattolica - in quel caso l’obiezione di coscienza non solo è opportuna, ma doverosa.
Eminenza, la parola educazione oggi per molti sembra fuori moda. Che cosa si sente di dire a tale proposito, fondandosi sulla Sua esperienza di quasi nove anni da prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica?
L’educazione è di estrema importanza per il futuro dell’umanità. È vero che ai tempi nostri c’è una tendenza a prescindere dall’educazione e a trasmettere alle nuove generazioni soprattutto il sapere e le capacità tecniche. Il mondo del lavoro richiede conoscenze e capacità tecniche sempre più qualificate, e quindi su queste ci si concentra. Tale realtà nasconde però una pericolosa insidia. Non basta trasmettere il sapere. Il sapere e le capacità tecniche, infatti, possono essere usate per il bene o per il male. L’esperienza a livello mondiale è eloquente a tale riguardo. Le stupende conquiste della scienza e della tecnica sono state, in realtà, abbondantemente sfruttate per le guerre rese così sempre più terribili per il terrorismo, per le oppressioni più perfide, per la violazione dei diritti fondamentali, ecc. Bisogna quindi educare le persone, perché sappiano e vogliano usare ciò che hanno imparato in favore del bene e non del male. Da tutto ciò emerge l’importanza vitale dell’educazione oggi, ancora di più che nel passato.
Per alcuni ‘educazione’ fa rima con ‘imposizione’ e dunque, dicono, violerebbe la libertà della persona umana…
La vera educazione, ancorata ai valori, non è contraria alla libertà, non è imposizione. Al contrario, essa mira proprio a formare persone libere, che non siano e non diventino schiavi dei propri vizi: dell’egoismo, della superbia, del sesso, dell’alcool, della droga, ecc. Questi vizi condizionano la persona, la schiavizzano, limitano la sua libertà di scegliere il bene. La buona educazione prepara a vivere nella libertà, aiuta ad acquisire un’autentica libertà.
Come riuscire oggi a educare le giovani generazioni? Spesso l’ ‘educazione’ in vga si fa sempre meno in famiglia e a scuola e sempre più attraverso i mezzi di comunicazione di massa e internet…
Non c’è alcun dubbio che oggi l’educazione è molto più difficile che nel passato. I fattori che Lei ha menzionato non favoriscono l’educazione. Anzi, sono controproducenti. L’educazione difficilmente può riuscire se non è sostenuta soprattutto nella vita famigliare. Il ruolo della famiglia è insostituibile. La scuola non può assumere su di sé interamente il compito di educare le giovani generazioni. Il suo ruolo è soltanto sussidiario, in confronto di quello della famiglia. Comunque, l’aiuto della scuola è doveroso e di grande importanza. Da essa, ossia dalla sua qualità, dal suo impegno e dalla giusta impostazione pedagogica dipende davvero molto, per quanto concerne la formazione delle nuove generazioni.
I diversi mass media poi sono certamente di aiuto, o piuttosto possono essere di aiuto, ma non spetta a loro svolgere il ruolo principale. Fondamentale, insostituibile per una sana educazione è il rapporto personale fra l’educatore e l’educato. Questo rapporto è tanto più costruttivo, nella prospettiva dell’educazione, quanto più è caratterizzato dalla reciproca stima, fiducia, dall’autentico amore.
La realtà odierna dice però che molti bambini si ‘nutrono’ di cartoni animati spesso pieni di violenza gratuita e sempre più trasgressivi. Per i ragazzi invece ecco certe trasmissioni televisive magari pomeridiane, certi talk show in cui si esalta il successo facile e si esibiscono sulla pubblica piazza le proprie intimità, certi sceneggiati detti in modo truffaldino ‘per famiglie’ che banalizzano i problemi dei rapporti tra i sessi e avvelenano le menti puntata dopo puntata; strizzano l’occhio ai facili istinti in diverse occasioni anche quelli che una volta erano telegiornali magari noiosi ma non postribolari… Insomma è in atto un grande livellamento, ma verso il basso…
La questione, da Lei menzionata, dei contenuti proposti dai massmedia dei quali si ‘nutrono’ bambini e ragazzi è al centro di tante riflessioni. Qui ci sarebbe tanto da chiedere. Non è possibile che le scene di violenza, di trasgressione e di sessualità non lascino traccia nella mente, nel cuore e, quindi, nel comportamento dei bambini e dei ragazzi. Essi sono sensibili e molto più vulnerabili degli adulti. È difficile non accorgersi che essi imitano ciò che vedono. Non c’è quindi da meravigliarsi che aumentino bullismo, criminalità, violenza e trasgressività dei minorenni e perfino dei bambini.
Qualche volta ho accompagnato i bambini nel guardare alla televisione i cartoni animati destinati proprio a loro, e ho visto le loro facce terrorizzate di fronte a scene assurde di guerre stellari. Tali scene provocano perfino incubi perturbando il sonno. Lasciano un senso di vuoto, paura. Sì, creano sensazioni, ma non formano persone capaci di affrontare in modo costruttivo la vita.
È ovvio che i bambini e ragazzi sono attratti da tali scene diciamo “piccanti”, ma non si possono chiudere gli occhi di fronte ai danni che esse provocano. In questa prospettiva ritengo che si presti particolarmente ai pericoli l’uso incontrollato, in cui si può trovare tutto.
Si può ben dire: ‘uso incontrollato’, anche perché in tante famiglie, i due genitori lavorano per necessità; e ‘tutto’, il buono e – particolarmente insidioso – il gramo…
La realtà è che - mentre esige di essere sostenuta nel rafforzare il proprio coraggio, la libertà dalla schiavitù dai vizi, l’altruismo, l’amore costruttivo – la giovane psiche purtroppo viene spesso bombardata da scene che seminano paura, sentimenti cattivi, odio, aggressività, diffidenza, che indeboliscono la padronanza della propria sessualità, affievoliscono la volontà.
Certamente bambini e ragazzi sono ricettivi anche di cose buone, di esempi costruttivi, sono generosi se attratti da ideali, sensibili al genuino amore che si offre loro, ai valori della vita. Per fortuna ci sono nei mass media anche programmi che vanno in questa direzione. Perciò è importante assistere i giovani nel far uso dei moderni mezzi di comunicazione.
Come non è indifferente per lo sviluppo fisico del bambino il cibo che riceve, così, ed anzi molto di più, non è indifferente per lo sviluppo psichico e morale, ossia per lo sviluppo propriamente umano, ciò che il giovane recepisce nella propria famiglia, nella scuola, nella comunità cristiana, nei mass media.
. Eminenza, passiamo a parlare dell’educazione cattolica…
L’educazione cattolica ha due dimensioni fondamentali, che in qualche misura sono descritte dal sostantivo “educazione” e dall’aggettivo “cattolica”.
Incominciamo con ‘educazione’…
Gli obiettivi sono quelli propri della sana educazione in genere: costruire una capacità critica, favorire un progetto di vita autenticamente umano e sostenere l’aspirazione ad un mondo migliore. L’educazione deve così sviluppare nell’uomo le sue disposizioni fondamentali, deve liberare le sue potenzialità ed indirizzarle verso il bene. In realtà, il compito principale dell’educazione è quello di formare l’uomo, o piuttosto di guidare lo sviluppo dinamico della persona, perché essa diventi sempre più uomo, perché si realizzi sempre di più come persona. Si tratta quindi di favorire lo sviluppo fisico, intellettuale e morale della persona umana, verso la piena coscienza e il pieno dominio di sé, l’assunzione di responsabilità, la partecipazione ai valori e il bene comune. In tale contesto ben si comprende il significato del termine stesso educazione, dal latino e-ducere, trarre fuori: un processo che aiuta a “trarre” dal ragazzo la persona adulta, l’uomo e lo accompagna anche per il resto della vita.
… e la qualifica di ‘cattolica’ che cosa aggiunge?
In quanto, poi, cattolica, l’educazione mira agli obiettivi riconducibili alla crescita e alla maturazione del cristiano. È ancorata nei valori del Vangelo che per natura tendono a determinare la vita personale e i rapporti con gli altri. Possiamo enucleare tre obiettivi specifici dell’educazione cattolica: l’annuncio efficace del Vangelo, l’iniziazione alla vita liturgica e di preghiera, la maturazione morale, spirituale e religiosa dell’educando.
In sintesi si tratta di una educazione che pone al centro la persona con i suoi bisogni nella loro globalità, ossia si fa carico della crescita integrale dell’educando, in tutte le sue dimensioni. Fra di esse quelle religiosa e spirituale svolgono un ruolo di particolare importanza, in quanto esse perfezionano anche tutte le altre dimensioni. Ciò significa agire secondo una concezione antropologica che concepisce l’educando come una vita da promuovere, vita di dimensione trascendente, come persona da suscitare e sostenere nel suo processo di maturazione umana affinché gli sia possibile raggiungere la pienezza delle sue potenzialità ed aspirazioni e che ha in Cristo, uomo perfetto, il modello da seguire. Il Santo Padre Benedetto XVI, che a più riprese ha parlato di emergenze educativa, in una Lettera alla diocesi di Roma (del 21 gennaio scorso) ha ricordato che “anima dell’educazione, come dell’intera vita può essere solo una speranza affidabile”. Questa speranza affidabile, ossia Cristo, è il tesoro dell’educazione cattolica, che la rende capace di efficacia e valido strumento per ridare significato e spessore anche al mondo dell’educazione, che francamente vive un momento di difficoltà o se vogliamo di crisi.
Qual è la caratteristica principale dell’educazione cattolica?
Penso che l’importanza dell’educazione cattolica stia proprio nell’integralità sopra delineata.
Fra le persone che vengono alla Congregazione da me presieduta vi sono anche non cattolici e non cristiani che si vantano di aver frequentato la scuola cattolica. In tali casi qualche volta domando per quale motivo abbiano scelto proprio la scuola cattolica. Nella risposta generalmente vengono indicate due ragioni: la scuola cattolica è migliore e non soltanto trasmette il sapere ma anche educa, forma la persona.
Non si può inoltre dimenticare che la motivazione religiosa, nella quale il fattore più importante è l’amore, spinge ad impegnarsi seriamente per arricchire culturalmente e spiritualmente gli educandi.
Può l’educazione cattolica essere uno strumento decisivo per contrastare il dilagare di relativismo e nichilismo?
L’educazione cattolica è inconciliabile con loro. Essa, come ho già notato, è ancorata nei valori, nei valori precisi e fermi, quelli del Vangelo. Penso che nessuna vera educazione sia possibile, accettando il relativismo morale e il relativismo circa i valori fondamentali della vita umana. Infatti, per l’educatore le domande cruciali sono: a che cosa educare? Secondo quale modello? A quali valori? Dalla mancata risposta a queste domande conseguono il disorientamento e la frustrazione degli insegnanti nonché un fiasco educativo. Il relativismo distrugge i fondamenti di ogni educazione. Ho letto recentemente da qualche parte citata la frase di Seneca: “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”.
Torniamo brevemente alla famiglia: come si realizza in essa concretamente l’educazione cattolica?
Già ho rilevato che soggetto primario per l’educazione è la famiglia. Per i genitori l’educazione dei figli è un diritto-dovere, universalmente riconosciuto. Purtroppo, l’azione educativa dei genitori e della famiglia è fortemente condizionata dall’attuale orizzonte socio-culturale. La famiglia è oggetto di un processo di marginalizzazione. Essa, infatti, appare tendenzialmente espropriata delle sue fondamentali competenze in ordine all’educazione ed alla trasmissione della cultura e della fede. A questo corrisponde anche non raramente la rinuncia dei genitori ad essere educatori dei figli.
E’ necessario quindi che le famiglie si riapproprino della funzione educativa che loro spetta. Vorrei sottolineare almeno tre fattori che rendono la famiglia luogo particolarmente adatto all’educazione. Prima di tutto, l’educazione è una naturale conseguenza dell’aver dato la vita fisica agli propri figli. Limitarsi a questo, ossia a dare la vita, sarebbe rimanere a metà strada. Secondo: l’educazione è richiesta e favorita dall’amore fra i genitori e figli. Il terzo fattore è che i sentimenti che si seminano nei più piccoli, e quindi principalmente nella famiglia, hanno una grande importanza nella prospettiva del futuro. Il vecchio albero è difficile piegare; invece la piccola pianta la si può indirizzare alla luce.
E’ noto come la Chiesa non cessi, anche di fronte a orientamenti culturali che cercano di offuscarne la centralità, di sostenere la famiglia fondata sul matrimonio, quale cellula fondamentale della società, che non solo corrisponde al progetto di Dio sull’uomo, ma anche al bene comune ed alla prosperità della comunità civile. La difesa della famiglia è nello stesso tempo difesa della corretta ed efficace educazione.
Eminenza, passiamo alla scuola cattolica: quale il suo valore oggi?
La scuola cattolica è uno strumento educativo fondamentale attraverso il quale si attua l’educazione cristiana. Essa si fa, quindi, portatrice di un’educazione integrale dai solidi fondamenti antropologici, ispirata dei valori del Vangelo, ossia di educazione cristiana di cui ho già parlato. Essa realizza i compiti di ogni scuola, ma ciò che la definisce è il suo riferirsi alla concezione cristiana della realtà. Essa dà vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dallo spirito evangelico di libertà e di carità; aiuta lo sviluppo della personalità degli allievi nell’integrare la loro cultura umana con il messaggio di salvezza.
In quanto cattolica, deve caratterizzarsi per il suo esplicito riferimento alla fede della Chiesa. Essa, infatti, è soggetto ecclesiale, inserito nell’opera dell’evangelizzazione, unendo nel suo progetto educativo armonicamente la fede, la cultura e la vita.
Per tali sue caratteristiche, essa è l’importante alleato dei genitori consapevoli della loro grave responsabilità di educare integralmente la prole.
Quali i requisiti fondamentali degli insegnanti delle scuole cattoliche?
Riguardo ai responsabili e docenti, evidentemente da loro si richiedono speciali doti di mente e di cuore. Oltre ad una solida formazione professionale, il che comprende un vasto ventaglio di competenze culturali, psicologiche e pedagogiche, ad essi è anche chiesta la testimonianza cristiana. Professionalità e testimonianza cristiana in un docente che vuole essere educatore devono stare insieme, perché di fronte all’alunno in formazione occupa un posto di particolare rilievo la preminenza che la testimonianza ha sempre sulla parola.
Fra gli educatori ed insegnanti nelle scuole cattoliche nel passato era maggioritaria la presenza di persone consacrate, oggi sono più numerosi i laici chiamati a vivere una tale missione. Ciò comporta indubbiamente anche una grande opportunità. La diminuzione dei membri degli Istituti di vita consacrata crea per loro talvolta una insidiosa tentazione di abbandonare la scuola cattolica, non potendo gestirla. Ciò comunque appare non soltanto inopportuno, ma anche dannoso nella prospettiva della missione della Chiesa. La corretta educazione dei bambini e dei giovani è, infatti, di estrema importanza per il bene della Chiesa e dell’umanità. Il carisma dei religiosi, la loro consacrazione a Dio e, quindi, la loro particolare testimonianza li predispongono ad essere educatori ai valori. Non bisogna rinunciare a tale attività. D’altra parte, i laici, pure essi chiamati all’apostolato, che vivono la quotidianità nelle famiglie e negli affanni della vita secolare, sono in grado di dare una prospettiva costruttiva nell’educazione.
Eminenza, come deve comportarsi la scuola cattolica con gli allievi non cattolici?
La scuola cattolica è aperta a tutti e non è riservata ai soli cattolici. Questo non è solo un dato di fatto, ma risponde alle esigenze ed alla natura stessa della scuola. La scuola cattolica, infatti, svolgendo un servizio di pubblica utilità, si apre a tutti coloro i quali mostrino di condividere una sua proposta educativa. Questa realtà risulta particolarmente evidente nei Paesi a maggioranza non cristiana ed in via di sviluppo, dove da sempre le scuole cattoliche sono, senza discriminazione alcuna, fautrici, oltre che di evangelizzazione e di educazione integrale, anche di progresso civile, di promozione della persona, di inculturazione, di dialogo fra i giovani di diverse religioni e ambienti sociali.
In questo contesto vanno conciliate due esigenze fondamentali. La prima è la tutela della libertà religiosa e di coscienza degli allievi e delle famiglie, il cui rispetto nella scuola cattolica è un principio irrinunciabile. E’ libertà fermamente tutelata dalla Chiesa. Nessuno può essere costretto a diventare cattolico.
La seconda è il diritto-dovere della Chiesa di proporre la visione cristiana del mondo e della storia. Quindi, la scuola cattolica non può rinunciare alla libertà di proporre il messaggio evangelico e di esporre i valori dell'educazione cristiana. Proporre, del resto, non significa imporre. Se la scuola cattolica non facesse questo non sarebbe più cattolica.
Dunque deve essere distinguibile da altre scuole proponendo un’identità chiara e non annacquata…
Come un cattolico, inviando liberamente i suoi figli ad una scuola ad esempio musulmana, non può pretendere che essa per questo cessi di essere musulmana, così anche un non cattolico, scegliendo per i suoi figli la scuola cattolica, non può pretendere che essa rinunci alla sua identità cattolica. Scegliendo liberamente, fra varie possibilità, un tipo di scuola, si deve ovviamente accettare il suo progetto educativo.
In ogni caso, la scuola non può dimostrarsi ipocrita, ossia dichiararsi cattolica e non trasmettere valori cristiani. Non può ingannare i genitori cristiani che si rivolgono ad essa per essere aiutati nell’assolvere il loro obbligo di educazione religiosa dei propri figli.
Ci racconti di qualche Sua esperienza in materia…
Per me è stato molto illuminante il viaggio all’inizio del 2003 a Taiwan, dove ero stato invitato da un governo in cui non siede nessun cattolico. Nella capitale Taipei c’è un’Università cattolica (“Fu-Jen”) con oltre ventimila studenti, solo per il 2% cattolici (i cattolici nel Paese sono l’1,3%) Con i professori dovevo discutere dell’identità cattolica dell’Università: ero un po’ a disagio di fronte ad una realtà per me nuova. Ho chiesto allora al viceministro che mi accompagnava di poter visitare prima un’altra Università, quella buddista, dato che i buddisti a Taiwan sono i più numerosi (circa il 23% della popolazione) e si distinguono per un alto livello culturale. Ho domandato al rettore, una signora gentilissima che parlava bene tedesco, come promuovesse il buddismo la sua Università: mi ha detto – e ho fatto tesoro della sua risposta - che tutti gli studenti dell’Università erano obbligati a seguire la lezione di buddismo per due ore settimanali, indipendentemente dalla loro religione e dal loro curriculum. Nessuno era costretto evidentemente a diventare buddista, ma era giusto che l’Università condividesse con chi l’aveva scelta la conoscenza dei valori che le stanno a cure. Lo stesso ragionamento per me vale anche per le Università cattoliche.
Allora è evidente che le ore di insegnamento della religione cattolica sono ineludibili in una scuola che si fregi della qualifica di ‘cattolica’…
Da quanto ho detto fin qui, penso sia chiaro che l’insegnamento della religione deve avere un posto essenziale nella scuola cattolica. La crescita del cristiano segue armonicamente il ritmo dello sviluppo scolastico. Col passare degli anni, nella scuola cattolica si impone, con esigenza crescente, il coordinamento tra cultura umana e fede. Nell’Esortazione Apostolica Catechesi tradendae, del 1979, Giovanni Paolo II pone una domanda retorica riguardo alla scuola cattolica: “Meriterebbe questa ancora un tale nome se, pur brillando per un livello d'insegnamento assai elevato nelle materie profane, le si potesse rimproverare, con fondati motivi, una negligenza o una deviazione nell'impartire l'educazione propriamente religiosa?”; e prosegue: “Né si dica che questa sarebbe sempre data implicitamente, o in maniera indiretta! Il carattere proprio e la ragione profonda della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici dovrebbero preferirla, consistono precisamente nella qualità dell'insegnamento religioso integrato nell'educazione degli alunni” ( n. 69).
Talvolta però si postula piuttosto un insegnamento delle religioni, soprattutto nelle scuole cattoliche frequentate da diversi studenti non cattolici…
Riguardo alle scuole cattoliche questo sarebbe proprio l’attuazione dell’’ipocrisia e dell’inganno di cui ho parlato. Tale proposta si riferisce piuttosto all’insegnamento della religione nelle scuole statali. Al riguardo sono da dire due cose. Prima di tutto, una tale impostazione costituirebbe una chiara violazione del diritto dei genitori alla educazione religiosa secondo i propri convincimenti. Anche nelle scuole statali i genitori hanno il sacrosanto diritto di essere sostenuti dell’esercizio di tale loro prerogativa. Seconda osservazione: tale insegnamento nelle scuole costituirebbe proprio un’educazione antireligiosa, ossia al sincretismo, indifferentismo e relativismo.
Eminenza, come ‘passa’ nei massmedia cattolici o ‘indipendenti’ l’educazione cattolica?
Le nuove tecnologie dell’informazione, i media, svolgono oggi un ruolo determinante nell’educare ad un certo stile di vita, a dei valori o a diseducare. Quindi è fuori di dubbio che, se i mezzi di comunicazione si possono definire neutri in quanto strumenti, non è neutro l’uso che se ne fa: pertanto chi lavora nell’ambito della comunicazione in qualche modo è sempre un educatore.
Non esiste nella Chiesa, come in altri campi e realtà, chi ha il compito esclusivo di formare e chi invece quello esclusivo di informare. Si può pertanto affermare che non esiste possibilità di formare e di educare se non informando. Possiamo altrettanto dire che non esiste possibilità di informare senza contestualmente formare ed anche, come accade, deformare, che è in fondo formare in direzione negativa.
Questa osservazione ha una valenza più ampia. Quindi, già il Concilio Vaticano II, dettando nel decreto Inter mirifica (1963) le norme per il retto uso dei mezzi di comunicazione sociale, metteva in guardia dal pericolo di una informazione che non tenesse conto della legge morale, dei diritti e della dignità dell’uomo (cf. nn 4-5). Paolo VI nella Lettera apostolica Octogesima adveniens, (1971) ha notato in questa prospettiva che il mondo dei mezzi di comunicazione costituiva un nuovo potere, dicendo: “Come allora non interrogarsi sui detentori reali di questo potere, sugli scopi che essi perseguono [...]. Gli uomini che detengono questo potere hanno una grave responsabilità morale in rapporto alla verità delle informazioni che essi devono diffondere, in rapporto ai bisogni che essi fanno sorgere e ai valori che propongono” (n 20). Il rapporto esistente tra informazione e formazione è un punto nodale che investe in prima persona chi opera nel mondo dell’informazione.
Sono coscienti del problema secondo Lei gli operatori dell’odierna informazione?
Purtroppo siamo spettatori e fruitori di una informazione che non sempre tiene conto delle conseguenze nel campo formativo. Nella valutazione dei programmi talvolta sembra che l’unico metro di giudizio, l’unico criterio di valutazione stia diventando sempre di più l’indice di gradimento massificato, quantitativo, senza alcuna valenza qualitativa e quindi culturale, sociale e spirituale. Nel contempo ogni strumento della comunicazione sembra voler carpire ai telespettatori, ascoltatori o lettori interesse o forse solo curiosità proponendo emozioni forti, molto spesso per fini commerciali e non nobili.
Occorre pertanto, in questo contesto così difficile, operare con discernimento, senza farsi allettare dalle sirene del successo, che non tiene conto della valenza formativa dell’informazione, ed allo stesso tempo senza scoraggiarsi quando i risultati del proprio lavoro si manifestano inferiori alle attese. Così la presenza dell’educazione cattolica nei media diventa una vera sfida da accogliere con competenza, professionalità e passione educativa. Penso che da parte nostra, cattolica, in questo campo c’è ancora molto da fare. Infatti, anche nei Paesi di stragrande maggioranza cattolica, il pensiero cattolico non è proporzionalmente rappresentato nei mass media.
A proposito di Stato e scuole cattoliche: quale tipo di rapporti postula?
Molto spesso, quando si parla di scuola cattolica la si definisce quale scuola privata. Credo che il parlare di scuola privata e di scuola pubblica sia già un modo non del tutto corretto di impostare i termini del problema. Si deve, invece più propriamente parlare di scuola pubblica statale e non statale, in quanto anche le istituzioni scolastiche non gestite dallo Stato offrono un servizio pubblico e devono trovare la loro giusta collocazione in un sistema scolastico integrato.
E’ sempre all’ordine del giorno il problema del riconoscimento del diploma e soprattutto quello del finanziamento delle scuole cattoliche…
Il problema dei finanziamenti e del riconoscimento delle scuole non gestite direttamente dallo Stato va inquadrato nell’ambito più vasto di una reale applicazione del principio della libertà di scelta educativa. E’ la famiglia, infatti, ad essere il soggetto primario di educazione. I genitori hanno il diritto fondamentale di educare i propri figli secondo i propri convincimenti morali e religiosi. Questo loro diritto deve essere sostenuto dallo Stato. I genitori quindi devono avere la libertà di scegliere l’indirizzo scolastico che più corrisponda all’educazione che essi intendono impartire ai propri figli. Proprio in armonia con il diritto di scelta dei genitori si sviluppa la visione moderna della libertà di educazione e di insegnamento, che fa dello Stato non l’educatore, ma il garante dell’accesso e del diritto all’educazione. A questo proposito vorrei ricordare che la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948), di cui quest’anno celebriamo il 60mo anniversario, all’articolo 26 afferma chiaramente il diritto dei genitori nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli e il dovere degli Stati di garantire a tutti l’accesso all’istruzione e la gratuità almeno di quella di base. Al livello dell’Unione Europea la quasi totalità delle legislazioni nazionali attua i principi della Risoluzione del parlamento europeo del marzo 1984, nella quale sono riconosciuti i diritti dei genitori e degli studenti in merito alla scelta della scuola (art. 7) e l’obbligo degli Stati membri di rendere possibile, anche sotto il profilo finanziario tale scelta, senza alcuna discriminazione nei confronti dei gestori, delle famiglie e degli studenti stessi (art. 9). Non si tratta, perciò, di rivendicare alcun trattamento di favore alla scuola cattolica, ma di vedere finalmente attuati dei principi di libertà e di uguaglianza. È semplicemente assurdo parlare di piena libertà di scelta, se scegliendo una scuola non si paga; scegliendone invece un’altra si deve pagare. È assurdo parlare di diritto di scelta, se non si rende possibile il suo esercizio effettivo.
C’è un modello da seguire per il finanziamento statale delle scuole cattoliche?
Sul tipo di finanziamento delle scuole non statali si hanno in Europa e nel mondo vari modelli; non sta a me entrare nel merito, e personalmente non ho preferenze, mi preme semplicemente sottolineare che diversi Paesi, anche di antica tradizione laica, come per esempio la Francia, il Belgio e i Paesi Bassi, hanno in maniera soddisfacente attuato dei sistemi scolastici integrati in cui è garantita una reale parità giuridica ed economica nel rispetto del progetto educativo di ciascuna scuola. Tutto ciò tradotto in numeri significa per la Francia circa il 20% di studenti iscritti a scuole cattoliche, mentre per i Paesi Bassi è oltre il 70% degli alunni a frequentare scuole non statali, in Belgio la percentuale è del 65%. Anche nei Paesi europei ex comunisti, sono rinati sistemi educativi cattolici nel quadro di un riconoscimento formale e sostanziale delle scuole cattoliche. In Italia, purtroppo, negli ultimi anni hanno chiuso per ragioni economiche centinaia di scuole cattoliche.
Veniamo, Eminenza, al problema sorto in Paesi – come la Spagna - in cui l’autorità statale vuole imporre nelle scuole un’ora di educazione civica nel senso di etica elaborata dall’autorità politica… Del resto, nella storia anche recente, esempi di regimi totalitari in tal senso non mancano…
Tutti i regimi dittatoriali cercano di guidare la scuola formando cittadini docili, in fondo schiavi che obbediscano e non pretendano che la loro volontà sia la fonte del potere del governo e che essa sia da rispettare. Io personalmente ho sperimentato tale realtà nel mio paese d’origine, in Polonia, dove il regime comunista dettava che cosa si dovesse insegnare e quali comportamenti presentare come buoni. Quindi le scuole cattoliche sono state chiuse e si voleva anche far tacere la Chiesa. Questo comportava una palese violazione del diritto fondamentale dei genitori ad educare i propri figli secondo i propri convincimenti; ed anche violazione dei fondamentali principi di democrazia.
In modo analogo si muove qualche corrente politica oggi al potere, perchè cerca di imporre la propria concezione relativista circa i comportamenti etico- morali a tutti, anche per non essere contestata nelle sue scelte, che vanno nella direzione di quella concezione. Non spetta allo Stato dettare quali contenuti etici devono essere insegnati a tutti: lo Stato - seguendo i sani principi di democrazia – deve soprattutto rispettare il diritto dei genitori di determinare l’educazione etico religiosa dei propri figli, ed anzi, deve aiutare i genitori nell’educare i propri figli secondo la loro coscienza.
A proposito di coscienza, è lecita secondo Lei in tali casi – come in Spagna – l’obiezione di coscienza di genitori e studenti verso un’educazione civica palesemente intesa a promuovere una società anticristiana?
Sì, certo, perché qui si ledono i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Qui l’obiezione di coscienza non solo è opportuna, ma doverosa. Voglio ricordare che, ai tempi del regime comunista polacco, abbiamo fatto obiezione di coscienza in ambito scolastico organizzando corsi di religione cattolica in modo contrario alla legge. Il regime poi voleva che noi comunicassimo il nome di tutti i bambini che frequentavano i nostri corsi: sostenuti dal cardinale Wyszynski ci rifiutammo, temendo rappresaglie sui genitori. Dovevamo anche indicare i luoghi: anche qui ci rifiutammo, perché – non potendo costruire altri immobili – eravamo costretti a organizzare i corsi anche nelle sacristie o in altri luoghi disponibili, che non rispondevano ai criteri richiesti per l’insegnamento scolastico. Come vede, l’obiezione di coscienza l’abbiamo praticata a ragione anche noi! Comunque prima di tutto si deve ricorrere all’impegno di persuasione onde evitare dette imposizioni indebite.