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    ANNALIA GUGLIELMI SU PADRE POPIELUSZKO

    INTERVISTA AD ANNALIA GUGLIELMI SU PADRE POPIELUSZKO - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI APRILE 2010

    Il 6 giugno la grande piazza Pilsudski di Varsavia accoglierà il rito di beatificazione di padre Jerzy Popieluszko. E' probabile che una grande folla parteciperà alla cerimonia con la quale il cappellano di Solidarnosc, riconosciuto martire, salirà all'onore degli altari. Nato il 14 settembre 1947 a Okopi (nella Polonia orientale), ordinato sacerdote dal cardinale Stefan Wyszyynski nel 1972, all'inizio degli Anni Ottanta simpatizza con l'appena fondata Solidarnosc e viene chiamato ad assistere spiritualmente gli operai delle acciaierie Huta Warszawa.

    Famoso per le "Messe per la patria" celebrate mensilmente nella parrocchia di san Stanislao Kostka davanti a migliaia di fedeli, viene più volte minacciato dal regime, fino a quando – il 19 ottobre 1984 – non viene rapito da funzionari del ministero dell'Interno. Undici giorni dopo il suo corpo viene ritrovato nelle acque di un lago vicino a Wroclawek. I suoi funerali furono grandiosi e la sua tomba è oggetto costante di un flusso importante di fedeli. Per illustrare meglio la figura del trentasettenne martire del regime abbiamo pensato di intervistare una testimone di quegli avvenimenti e una profonda conoscitrice della Polonia, Annalia Guglielmi. La cinquasettenne studiosa del dissenso nell'Est europeo è stata insignita nel 2002 della Croce di Cavaliere al merito e della Medaglia del Ministero della Cultura per il sostegno dato all'opposizione al totalitarismo e alla diffusione all'estero della cultura indipendente polacca. Tre anni dopo le è stata invece assegnata dalla Commissione nazionale di Solidarnosc, per i 25 anni del sindacato, la prestigiosa medaglia "Grazie". Annalia Guglielmi è la curatrice di "Popieluszko. Non si può uccidere la speranza" (Edizioni Itaca, in libreria in questi giorni), un volume che tra l'altro raccoglie una decina di omelie del cappellano di Solidarnosc, pronunciate in occasione delle 'Messe per la Patria'. Ricordiamo a questo proposito che da alcuni mesi è uscito anche in Italia il film dal titolo omonimo, del regista Rafal Wieczynski. Nell'ambito del processo di canonizzazione di Giovanni Paolo II Annalia Guglielmi ha tradotto trenta testimonianze polacche ( e su questo si chiuderà l'intervista).

    Annalia Guglielmi, con quali sentimenti ha accolto la notizia della beatificazione di padre Popiełuszko? E' un rito che cadrà non casualmente nell'annuale giornata polacca di ringraziamento per la libertà...

    Il sentimento prevalente è stata la gratitudine nel veder riconosciuta la santità di un uomo che ha dato la sua vita per Cristo e per gli uomini a lui affidati, accompagnata dalla gratitudine per averlo conosciuto. Credo che una delle grazie più grandi nella vita di una persona sia quella di potersi accostare ai santi, di poter beneficiare anche solo per un po' della loro presenza e dei frutti della loro opera. La coincidenza con la festa di ringraziamento per la libertà della Polonia, poi, mi sembra un'ulteriore sottolineatura del valore della sua opera per la libertà di tutti.

    Lei conosce la Polonia da più di trent'anni. Vi ha anche abitato per quasi venti, dal 1978 al 1982, come docente di italiano presso l'Università di Lublino e poi dal 1990 al 2004, a Varsavia. Ha avuto modo di conoscere padre Popiełuszko? In quali circostanze?

    Andai in Polonia perché collaboravo da anni con il Centro Studi Europa Orientale, fondato da don Francesco Ricci per intessere rapporti con gli ambienti del cosiddetto dissenso nei Paesi dell'Europa dell'Est, in realtà l'insegnamento era un pretesto per poter avere il visto. Quando andavo da Lublino a Varsavia, alloggiavo nella canonica della chiesa di sant'Anna, centro della pastorale universitaria, retta da un altro grande sacerdote, padre Uszyński, e punto di incontro di molti esponenti dell'opposizione. Fra i cappellani del rettore c'era padre Popiełuszko, che era allora giovanissimo ed era molto presente fra gli studenti. Mi colpirono di lui l'umiltà, la solarità, la semplicità e l'apertura a tutti.

    Di padre Popiełuszko sempre si ricordano le "Messe per la patria". Lei vi ha mai assistito? Che ricordi ne ha?

    Purtroppo non vi ho mai partecipato, perché, come le ho detto, ero a Lublino, ma ne sentii parlare molto. Erano considerate un punto di riferimento spirituale e culturale in anni molto difficili per la storia polacca. Non dimentichiamo che il 13 dicembre 1981 era stato introdotto lo Stato di Guerra, che molti erano ancora in campo di internamento e in prigione, che le strutture di Solidarność erano state distrutte. Quelle Messe erano l'occasione per riaccendere la speranza, per comprendere che la libertà, prima di essere una condizione esterna, è innanzitutto una dimensione interiore inalienabile, ed erano l'occasione per i Polacchi di sentirsi nuovamente popolo, di sperimentare l'unità con gli altri e con la propria tradizione, quando invece il potere faceva di tutto per dividere la società e per sradicare la coscienza dell'identità.

    Tali "Messe" disturbavano molto il regime comunista, che accusava don Jerzy di istigare all'odio politico, di aizzare le folle...

    Le "Messe per la Patria" erano un elemento di disturbo perché smascheravano la menzogna, perché contribuivano a sostenere la speranza di una nazione che, invece, si voleva senza certezze e senza speranza, ed inoltre perché erano un avvenimento di popolo. Padre Jerzy, e lo si può ben comprendere leggendo le omelie, non ha mai fatto "discorsi politici": la violenza e l'odio erano quanto di più estraneo si possa immaginare dalla sua persona. Ma quando un sistema si fonda sulla menzogna ogni parola di verità diventa "politica", quando un sistema si fonda sulla paura e sulla divisione, ogni gesto di coraggio e di solidarietà è un pericolo, perché dimostra che ci può essere una qualità della vita diversa.

    Padre Popiełuszko era conosciuto come 'cappellano di Solidarność'. Può darci qualche dettaglio sull'argomento?

    Negli Anni Novanta ho lavorato alla Huta Warszawa, l'enorme acciaieria di Varsavia, dove padre Jerzy fu mandato dal cardinal Wyszyński il primo giorno di sciopero nell'agosto 1980 perché gli operai avevano chiesto un sacerdote che dicesse la Messa per loro. La Huta era stata poi acquistata dal gruppo Lucchini di Brescia, e io mi occupavo in modo particolare dei rapporti con i sindacati, e quindi ho conosciuto i "suoi" operai, e ho potuto toccare con mano il legame che ancora li univa a padre Jerzy. Gli operai di Solidarność della Huta erano orgogliosi di essere stati suoi figli, e pretesero ogni anno la presenza di una delegazione italiana alla messa in suffragio del padre. Ricordo lo stupore con cui gli Italiani dovettero accogliere quella inusuale richiesta. Era impressionante vedere, a distanza di anni, quando ormai il regime era caduto, migliaia di persone provenienti da tutto il Paese che riempivano le strade intorno alla chiesa di san Stanislao, rimanendo al freddo per ore, portando fiori ed innalzando gli stendardi di Solidarność.

    Era in Polonia al momento del rapimento di padre Popiełusko da parte di agenti della polizia segreta? Come seppe del rapimento? Che cosa provò? Che cosa si ricorda delle reazioni popolari?

    Quando fu rapito ero a Lublino per una serie di lezioni all'Università. Ricordo lo sgomento di tutti. C'erano stati altri casi di "scomparse" misteriose di uomini mai più ritrovati, c'erano stati attacchi anche violenti contro esponenti dell'opposizione, ma c'era una certa prudenza nel trattare gli uomini di Chiesa, proprio per il profondo legame dei Polacchi con la Chiesa, che il regime in qualche modo temeva. Allo sgomento iniziale seguirono giorni di preghiera incessante: in tutte le chiese vennero organizzate veglie continue per chiedere che non gli fosse fatto alcun male, e ricordo anche la paterna presenza delle parole del Papa, del Primate e dei sacerdoti. I Polacchi hanno una caratteristica che mi ha sempre colpito molto: nei momenti più difficili sanno a chi rivolgersi, hanno l'"istinto" di correre dai loro pastori, di affollare le chiese, desiderano ascoltare chi può dare un giudizio di verità su quanto sta accadendo. E questo lo fanno anche i laici, non solo i cattolici. Lo abbiamo visto anche in occasione della tragedia di Smolensk. Forse anche noi cattolici italiani dovremmo guardare di più questa testimonianza del popolo polacco.

    Che cosa successe quando fu ritrovato il corpo martoriato di padre Popiełuszko? Lei come reagì?

    Era la mia ultima sera in Polonia: il giorno dopo avevo l'aereo per rientrare in Italia e quindi ero a Varsavia. Dormivo a casa di una delle più grandi attrici del teatro e del cinema polacchi: Maja Komorowska, grande amica di padre Jerzy e una delle animatrici delle "Messe". Corremmo subito alla chiesa di san Stanislao. C'erano già migliaia di persone in lacrime, fiori e candele ovunque. Era una folla commossa e composta circondata dai carri armati, dagli idranti e dalla polizia in assetto antisommossa. Due mondi uno di fronte all'altro. Rimanemmo a pregare tutta la notte, guidati dalla voce dei sacerdoti e degli attori che, come durante le "Messe", riproponevano brani della poesia polacca, accompagnati dai canti e dalla musica eseguiti dai più grandi artisti di Varsavia.

    Si può ritenere che i funerali di padre Popiełuszko, svoltisi a Varsavia presso la chiesa di San Stanislao Kostka il 3 novembre 1984, siano stati un primo, impressionante indizio della 'fama di santità' ora riconosciuta ufficialmente con la beatificazione del 6 giugno? Senta come ne scriveva l'insospettabile 'Repubblica' del 3 novembre 1384, riferendo dell'arrivo della bara la sera prima: Alle sei le automobili sono arrivate a Varsavia (NdR: da Białystock). Davanti e tutt'intorno alla chiesa di San Stanislao i fedeli erano andati aumentando di ora in ora. Quando otto operai dell'acciaieria di Varsavia, piangendo come bambini, hanno preso la bara per portarla dentro la chiesa, la folla era almeno di 20 mila persone. Popiełuszko, preceduto dal padre e dalla madre, è stato fatto avanzare con difficoltà tra la folla in lacrime, le mani levate nel segno della V, il saluto che Solidarność ha voluto far suo(...) La chiesa è diventata meta di un pellegrinaggio impressionante, per il numero delle persone ma anche per il dolore, per il misticismo con cui i cittadini polacchi accorrono per salutare il prete assassinato...

    Questa è la descrizione del funerale di un uomo che il popolo riconosce santo, se lo ha capito anche Repubblica non c'è molto da aggiungere. Un tempo i santi spesso venivano proclamati dal popolo. Nel caso di padre Popiełuszko questo riconoscimento non si è affievolito con il passare del tempo. Negli anni successivi, tutte le volte che andavo in Polonia, la prima cosa che facevo era andare sulla sua tomba dentro il cortile della Chiesa di san Stanislao. Era come entrare in un altro mondo: fuori dal cancello avvilimento, grigiore, sfiducia, dentro era come se ci fosse il cuore pulsante della Polonia: fiori, scritte, pellegrinaggi continui, e poi quegli uomini fantastici del servizio d'ordine che venivano da tutte le parti del Paese per vegliare e proteggere la tomba, ma anche per accogliere i pellegrini e parlare del padre. Facce dure di uomini abituati alla fatica e alla durezza della vita, che spendevano le loro ferie vegliando notte e giorno con il padre e per il padre.

    Che cosa faceva tanto amare padre Popiełuszko?

    L'uomo ha un'insopprimibile bisogno di verità e di libertà: quando incontra qualcuno che risponde a questo bisogno desidera stargli accanto. E poi credo ci fosse anche un altro aspetto: giudicava il male e la menzogna, ma era sempre pronto ad accogliere tutti. Accoglieva l'altro per quello che era e lo guidava per mano, senza mai condannarlo, in questo modo ha portato molti a ritrovarsi. Era il primo a vivere quello che amava ripetere: "vincere il male con il bene"

    Padre Popiełuszko era forse un po' scomodo, non solo per il regime, ma anche per alcune gerarchie della Chiesa, impegnate nel difficile, delicato compito di non compromettere i rapporti – di per sé precari – con lo stesso regime. Tant'è vero che, in un drammatico colloquio con il sacerdote (rievocato dal porporato stesso nel bel film di Rafal Wieczyński "Popiełuszko, non si può uccidere la speranza") il cardinale Glemp cerca di convincerlo a raggiungere Roma. Inutilmente...

    Lo stesso Primate ha detto che una delle sofferenze più grandi che si porta dentro è di non essere riuscito a salvarlo. Certo, da un lato c'era il problema dei rapporti con lo Stato, ma dall'altro c'erano i timori concreti per la sua sicurezza. Al Primate erano arrivate alcune lettere molto dure del ministro per gli affari religiosi Łopatka, in cui attaccava violentemente padre Popiełuszko: padre Jerzy stesso aveva ricevuto pesanti minacce, e gli avevano lanciato una bomba dentro la stanza, tanto che gli operai della Huta avevano deciso di darsi il turno per fargli da scorta. Il clima era molto pesante. Penso che dietro l'invito di andare a Roma non ci fossero solo valutazioni di opportunità politica, ma anche una reale preoccupazione per la sua incolumità. Certo, dentro l'episcopato c'era qualcuno che non ne apprezzava l'operato, ma erano voci marginali. Egli stesso era molto preoccupato di agire in sintonia con la Chiesa, tanto che faceva preventivamente leggere ogni omelia ad un rappresentante del Primate.

    Si può dire che, soprattutto negli ultimi mesi, lo stesso padre Popiełuszko presentisse una sua morte violenta ad opera di sicari del regime? Ha mai parlato di tale eventualità?

    Non lo so. Posso dire che mi è stato riferito che fosse preoccupato, ma pronto a tutto. Lo si può avvertire anche dal tono delle ultime omelie.

    A ventisei anni dal suo assassinio anche la Polonia è cambiata. Il regime comunista, già fortemente scosso dalla creazione e poi dal riconoscimento ufficiale di Solidarność, è caduto definitivamente nel 1989. Anche la Chiesa si ritrova con un Paese non poco secolarizzato, come denunciava già Giovanni Paolo II. Allora: che cosa significa, può significare oggi per la Polonia e per la Chiesa l'onore degli altari per il martire Jerzy Popiełuszko?

    Non mi stupisce che la Chiesa polacca abbia attraversato un momento difficile, in cui ha come dovuto rimettere a fuoco il proprio compito e la propria missione, perché negli anni del regime si era in qualche modo dovuta sostituire alla società civile, il più delle volte proteggendola e parlando a nome suo. Non è che con la caduta del comunismo siano venuti meno i pericoli per la Chiesa e per la fede, anzi, proprio perché sono forse meno evidenti, oggi questi pericoli sono più insidiosi. Non credo che oggi abbiamo meno bisogno di ieri, anche in Polonia, di lottare per la verità del cuore umano. Rileggendo le omelie di padre Jerzy mi ha colpito la loro attualità e credo possano essere un buon testo di riflessione anche oggi. La lotta tra la verità e la menzogna può assumere connotati e forme molto diverse, ma non avrà mai fine. Oggi, forse con ancora più urgenza di ieri, c'è bisogno di un giudizio chiaro su quanto accade. Inoltre, penso che oggi in Polonia, ma non solo, sia importante mantenere viva la memoria di testimoni come padre Popiełuszko, che si sono coinvolti fino in fondo con il destino degli uomini affidati loro, senza paura di sporcarsi le mani, certi della loro vocazione di battezzati e di sacerdoti e capaci di suscitare un popolo attorno a sé.

    Si può ritenere che la beatificazione di padre Popieluszko sia indirettamente anche un segno di speranza per gli oltre duecento milioni di cristiani perseguitati nel mondo? E un incoraggiamento pure per i cristiani d'Europa, spesso ormai irrisi per la loro fede da pulpiti vari (politici, massmediatici, di lobbies storicamente laureate in anticattolicesimo e sempre pronte a colpire il 'nemico' appena se ne offra l'occasione)?

    Credo proprio di sì. Tra l'altro penso che sia scandaloso che in Italia si parli così poco delle persecuzioni di milioni di cristiani. In una società che difende i diritti di tutti, sembra che solo i cristiani non abbiano diritto ad una difesa. Frequentando i Paesi dell'Est, e non solo la Polonia, ho capito bene come la persecuzione contro i cristiani e in particolare contro la Chiesa di Roma sia il primo strumento di repressione dell'uomo: non si tratta della negazione di un'idea che si vuole combattere, ma della negazione di ciò che costituisce l'uomo, del suo desiderio di infinito, perché un uomo privato di questo non è più un uomo e quindi lo si può rendere strumento dei propri calcoli politici o ideologici. Per questo il primo punto all'ordine del giorno di ogni sistema totalitario, di qualunque colore o fede esso sia, è mettere a tacere i cristiani. Ma questo lo vediamo spesso anche nelle cosiddette società liberali, lo stiamo vedendo in questi giorni negli attacchi a Benedetto XVI. La persecuzione non è, fortunatamente, solo quella che porta al martirio di sangue, è persecuzione anche impedire al Papa, ai vescovi, ai laici, di dire ciò in cui credono, di dare un giudizio a partire dalla loro esperienza. Forse questa beatificazione potrà risvegliare un po' di coscienze anche dentro la Chiesa, potrà dare un po' di coraggio in più per non adeguarsi alla mentalità del mondo, per ritrovare un sano orgoglio di essere cristiani.

    Chiudiamo questa intervista con un riferimento a papa Giovanni Paolo II. Lei, nell'ambito del processo di canonizzazione, ha tradotto le testimonianze polacche per la Congregazione delle Cause dei Santi. Può dirci qualcosa di più? Che tipo di esperienza è stata per Lei? Può citare qualche momento di emozione?

    Potrei parlarne per ore. Per me è stato un grande privilegio, un grande dono che mi ha permesso di conoscere Giovanni Paolo II a fondo. Lo avevo incontrato a Cracovia quando era cardinale, e poi ho avuto modo di incontrarlo qualche volta in Vaticano e durante un pellegrinaggio in Polonia. Potergli rendere questo servizio è stato un modo per dirgli il mio grazie per quanto ha dato al mondo e alla sua patria. Le trenta testimonianze che ho tradotto sono molto ampie, articolate, approfondite e scandagliano tutti gli aspetti della sua vita. In particolare mi ha colpito la sua vita di preghiera, quanto e come pregava. Tutti ricordiamo la sua energia, la profondità delle sue parole, la sua simpatia, il suo uscire dagli schemi, ma pochi forse sanno che era in realtà un mistico, che viveva in un dialogo continuo con il Mistero. E poi, mi hanno commosso molto sia le parole dell'ex presidente polacco Kwaśniewski, che del generale Jaruzelski. Posso parlarne senza tradire il segreto della causa di beatificazione, perché hanno ribadito le stesse cose pubblicamente. Dalle loro testimonianze si capisce l'enorme rispetto che Giovanni Paolo II aveva per ogni persona, anche la più lontana, e si comprende il segno lasciato in loro dagli incontri con il Papa. Forse è anche per quegli incontri che Kwaśniewski dopo la fine del suo mandato ha deciso di sposarsi in chiesa. E il generale parla del "perdono che cambia più di ogni rimprovero", ricordando il suo ultimo incontro con il Papa già molto malato.


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