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    INTERVISTA A PAOLO ARULLANI

    INTERVISTA AL PRESIDENTE DEl 'CAMPUS BIOMEDICO' DI ROMA PAOLO ARULLANI - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI OTTOBRE 2010 

     

    Nell’intervista gli sviluppi dell’Università Campus Biomedico a Trigoria, la sua filosofia, gli investimenti, le iniziative nuove, la razionalizzazione aziendale, i rapporti con la Regione Lazio e con il territorio, il ruolo avuto da Alberto Sordi

     

    Era una giornata uggiosa quella del 30 novembre 2004: ce la ricordiamo bene, poiché per la posa della prima pietra del nuovo Policlinico erano convenuti tra gli altri nel fango di Trigoria Gianni Letta, Gerolamo Sirchia (allora Ministro della Sanità), Francesco Storace (allora ‘governatore’ del Lazio), il cardinale Giovanni Battista Re. A fare gli onori di casa il professor Paolo Arullani, da tre anni presidente dell’Università Campus Biomedico di Roma dopo esserne stato l’anima tecnico-organizzativa fin dal 1989 (il Campus – nato da un’idea di monsignor Alvaro del Portillo - fu inaugurato nel 1994 nel quartiere Prenestino a via Longoni). Tre anni e mezzo dopo, il 14 marzo 2008, ecco un’altra giornata storica, quell’inaugurazione ufficiale del nuovo Campus a Trigoria, presenti il prelato dell’Opus Dei monsignor Javier Echevarria, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, l’allora vicepresidente del Consiglio Francesco Rutelli. A fare gli onori di casa sempre il professor Paolo Arullani, laureato in Medicina e Chirurgia alla Sapienza e a Catania, specializzato in gastroenterologia e in medicina interna. Il settantaduenne presidente ci ha rilasciato volentieri l’intervista che segue, da cui emerge la filosofia dell’istituzione, gli sviluppi avuti negli ultimi anni, i modi utilizzati per fronteggiare la crisi economica generale, i rapporti con la Regione Lazio e con il territorio, le nuove iniziative e i nuovi investimenti. L’intervista si conclude con il ricordo di Alberto Sordi, che nella crescita del Campus ha avuto un ruolo stimolante in particolare per la crescita dell’attenzione verso le condizioni degli anziani.

     

     

    Professor Arullani, il 2 dicembre 2004 – nel discorso per l’Inaugurazione dell’Anno Accademico 2004/05 – rilevava, citando quel che San Josèmaria Escrivà aveva detto dell’Università di Navarra, che il Campus Biomedico di Roma si poteva definire “un’aquila piccola”. A distanza di sei anni secondo Lei il Campus è restato un’ “aquila piccola”, si è trasformato in un robusto aquilotto, o è già un’aquila che vola sovrana nel cielo?

     

    Penso che il termine giusto oggi sia quello di “aquilotto”, poiché l’aquilotto che vola deve ancora crescere. La crescita poi è necessaria, ma non basta, se con tale parola si intende solo un potenziamento numerico, che al limite potrebbe anche comportare conseguenze nefaste. Se invece per crescita si intende la crescita armonica di tutto un corpo, preferiamo parlare di sviluppo, di sviluppo qualitativo e innovativo, nel nostro caso negli ambiti della didattica, della ricerca e dell’assistenza sanitaria.

     

    Richiamiamo subito questi tre ambiti ponendoli in sinergia. Sempre il 2 dicembre 2004 Lei aveva detto a tale proposito: “Senza avere alle spalle una ricerca di qualità, non si può offrire un’educazione di qualità né ci si può proporre un costante miglioramento dell’assistenza”. Come vengono concretizzate le sinergie tra i tre elementi fondamentali qui al Campus?

     

    L’idea citata è uno dei principi di fondo del Campus Biomedico: mettere in sinergia le nostre attività, le varie aree, i corsi di laurea, i gruppi di lavoro. E’ fondamentale che le varie aree si parlino. Mi sembra scontato che la ricerca significhi innovazione, motivazione, formazione di giovani, che poi abbiano maggiori capacità nell’assistenza e migliori qualità didattiche. Noi dobbiamo insegnare a continuare a studiare e a ricercare nella vita. Penso che la nostra maggiore novità sia di avere una ricerca non solo in ambito clinico, ma anche biomedico: una ricerca applicativa che porta a risultati concreti nei processi tecnologici riguardanti l’ambito sanitario, come è stato fatto ad esempio per la mano bionica.  

     

    Restiamo al Polo di Ricerca avanzata in biomedicina e in bioingegneria (PRABB): costruito per 300 ricercatori, ospita anche parte delle Facoltà universitarie. Come si è sviluppato?

     

    Fondamentale è che siamo riusciti – e non era facile – a creare un centro integrato di ricerca, un unico grande dipartimento di ricerca, cui fanno capo tutti i ricercatori del Campus operanti nelle varie facoltà e nell’Istituto umanistico di filosofia dell’agire scientifico e tecnologico. Il che significa un accresciuto scambio di idee, di esperienze e di collaborazione che confluiscono in 9 filoni di ricerca, in cui vengono valorizzate le idee innovative e la loro applicazione. Se nel 2004 avevamo una settantina di ricercatori, ora il loro numero è raddoppiato.

     

    E’ sufficiente oggi lo spazio del PRABB per le vostre esigenze?

     

    Sì, potremmo ancora raddoppiare senza problemi di spazio il numero dei ricercatori. Invece, per quanto riguarda l’esigenza di nuove aule per le Facoltà (fin qui ospitate in parte al PRABB e in parte al Policlinico), sorgerà nei prossimi anni il nuovo Centro di area didattica integrata.

     

    Sorgerà vicino al PRABB?

     

    Sicuramente vicino al PRABB, pur avendo a disposizione spazi nella seconda zona di terreno, di 40 ettari, che abbiamo acquisito dopo i primi 27. Ci vorrebbe però troppo tempo per le pratiche amministrative necessarie e dunque preferiamo incominciare la costruzione del nuovo Centro nella prima zona.

     

    Grazie a quali investimenti si potrà fare, in tempi problematici come i nostri, il nuovo Centro?

     

    Non temo gli investimenti e penso che il denaro necessario si trovi sempre, se si dà una dimostrazione costante di efficienza. Quello che temo semmai è la gestione sia della parte dell’assistenza sanitaria che di quella universitaria. Gli investimenti li possiamo trovare grazie ai nostri azionisti, che si fidano di noi, ma speriamo anche attraverso fondi pubblici, qualora ce ne fossero a disposizione.

     

    Professor Arullani, il nuovo Policlinico è stato inaugurato ufficialmente il 14 marzo 2008, presenti il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il prelato dell’ Opus Dei Monsignor Javier Echevarria, oltre a numerose autorità civili. E’ in grado di ospitare 400 posti-letto: raggiunta tale quota?

     

    Oggi non ci sono ancora i 400 posti-letto. La quota pattuita non è stata ancora del tutto raggiunta, perché la Regione Lazio ci ha chiesto di procrastinarne l’accreditamento diluendolo negli anni e impegnandosi (speriamo che sia veramente così) a renderlo completo nel 2012.

     

    E’ per questo che il Piano di riordino della sanità laziale, presentato recentemente dalla ‘governatrice’ Renata Polverini, prevede per il prossimo anno venti posti-letto in più per il Campus, mentre la metà dei grandi ospedali di Roma invece ne perde?

     

    Sì. Quello che persone inesperte potrebbero pensare essere un gentile privilegio concesso al Campus rispetto ad altre strutture, costituisce in realtà ancora una penalizzazione del Campus stesso rispetto agli impegni assunti dalla Regione nei nostri confronti. Comunque siamo grati ugualmente alla Regione per lo sforzo che ha fatto.

     

    Come vive il Campus la difficile situazione economica generale, in cui il termine ‘tagli’ è molto più frequente di altri con valenza positiva?

     

    In questo momento stiamo cercando di migliorare l’efficienza senza ridurre la qualità del lavoro. Ciò mi riporta a un altro concetto, quello della ‘razionalizzazione aziendale’…

     

    … che è diverso dall’’aziendalizzazione’…

     

    Il concetto di aziendalizzazione non ci appartiene, poiché non può essere applicato a una realtà tanto complessa e delicata come quella dell’assistenza. Noi preferiamo parlare di ‘razionalizzazione aziendale’, per sottolineare che il prodotto di un policlinico universitario non è solo un bene materiale, ma fondamentalmente immateriale dato che prioritaria è la cura della persona umana in tutte le sue esigenze. Certo anche noi puntiamo con la nostra organizzazione al minore spreco e al maggior rendimento; e questo non solo per il bene della struttura stessa, ma della società. Una sanità sostenibile è un vantaggio per tutti.

     

    In questa ‘razionalizzazione aziendale’, impostavi dalla precarietà della situazione sanitaria nazionale e in particolare, nel vostro caso, da quella della Regione Lazio, quali linee direttrici avete seguito?

     

    Noi non ci lamentiamo per l’attuale situazione. L’unica cosa che chiediamo alla Regione Lazio è che vengano rispettati i tempi previsti e venga incoraggiato il lavoro ben fatto di una struttura innovativa che è nella prima fase di avviamento. Per molti versi possiamo essere una struttura-pilota ben collegata al territorio, possiamo provare che è possibile fare un lavoro di qualità pure in tempi di riduzione dei costi. E fare anche cose innovative che associno miglioramento della sanità e risparmio.

     

    Professor Arullani, ci può fare un esempio di ‘innovazione’?

     

    Sono reduce da una conferenza-stampa con il ministro della Salute Ferruccio Fazio e con il presidente del Consiglio Universitario Nazionale Andrea Lenzi in cui è stata illustrata la nostra iniziativa di creare un master per medici di base. Un master universitario che viene a completare il triennio di competenza regionale per i medici di base, dando loro la possibilità per due anni di approfondire ulteriormente le loro conoscenze specifiche. I medici di base agiscono sul territorio, sono i medici di famiglia, i medici di comunità, a stretto contatto con la popolazione: possono essere di grande aiuto per ridurre i costi della sanità. Oggi infatti l’assistenza al paziente non è più demandata solamente agli ospedali, ma è mista tra territorio e ospedale. Potenziando le sinergie tra territorio e ospedale, decrescono anche fortemente i costi della sanità.

     

    Il master per i medici di base è una riprova del vostro essere servizio pubblico non statale…

     

    Per me tale definizione è ormai acquisita, scontata. Spero che lo sia per tutti. Un servizio pubblico non statale contribuisce a una migliore dinamicità di tutto il sistema, anche nel trovare nuove strade. Posso pensare che la nostra forza derivi anche dal non esserci mai isolati, ma dall’aver sempre lavorato gomito a gomito con le altre strutture ospedaliere e con il territorio.

     

    Sempre in tale contesto ritarda la creazione del Pronto Soccorso…

     

    Il Pronto Soccorso è una struttura assolutamente necessaria per l’Università, anche per motivi didattici, tanto è vero che per ottenere l’autorizzazione ad avviare le scuole di specializzazione bisogna poter usufruire di un Pronto Soccorso. Noi ci dobbiamo appoggiare oggi al Santo Spirito. Allestire un Pronto Soccorso comporta dei costi per la Regione e anche per la struttura. Attendiamo allora che il Policlinico raggiunga il numero di letti pattuito per essere a regime dal punto di vista economico e poi, insieme con la Regione, appronteremo un Pronto Soccorso che dovrà anch’esso essere innovativo. Proprio per preparare l’avvio del Pronto Soccorso abbiamo già inserito nel nostro Policlinico la figura del medico di base con presenza giornaliera che deve filtrare e smistare le richieste dei pazienti del territorio.

     

    Per tornare brevemente alle misure di razionalizzazione adottate recentemente dal Comitato Esecutivo per far fronte ai minori introiti, Lei ne ha citate tre nel Suo discorso del 15 ottobre per l’apertura dell’Anno Accademico 2010/2011…

     

    Sono tre misure la cui applicazione ha mostrato il grande senso di responsabilità e di servizio di chi, a qualsiasi titolo, lavora nel Campus. La prima riguarda le figure di vertice che temporaneamente e consensualmente hanno accettato una riduzione dello stipendio che verrà loro sostituita con interessi a pregio di bilancio. La seconda è la richiesta di una maggior presenza fisica del personale medico al fine di giungere a un rapporto di esclusività. La terza è l’applicazione del principio del merito per promuovere l’efficienza, naturalmente sempre salvaguardando la centralità del paziente.   

     

    Passiamo al Polo oncologico del Campus, che è restato a via Longoni nel quartiere Prenestino…

     

    Il Polo oncologico di via Longoni è stata una grande invenzione; adesso si è specializzato nell’ambito della radioterapia, fatta insieme con la chemioterapia. Il Polo serve un territorio di circa 700mila abitanti, privo di altri Poli oncologici. Certo abbiamo bisogno di rafforzare l’oncologia in questa zona, che, pur essendo vicina al Regina Elena, necessita enormemente di un nuovo centro di radioterapia, che nei prossimi due anni vorremmo allestire nel Polo oncologico. Anch’esso avrà un costo, ma potrà essere di servizio a un’area in crescita di popolazione.

     

    A Trigoria, oltre al Policlinico e al PRABB, c’è anche il Centro per la salute dell’anziano (CESA), che comprende anche un importante Centro di Riabilitazione, annesso al Policlinico, con 25 posti-letto. Qui dei degenti si prendono cura, oltre a medici, infermieri, ausiliari, cuochi (tutti cortesi ed efficienti),  anche fisioterapisti ben collaudati per le loro esigenze di riattivazione motoria. E qui c’è anche una frequentatissima fisioterapia ambulatoriale…

     

    Per noi il Centro di Riabilitazione è molto importante, tanto che in questo momento stiamo cercando di convincere le autorità regionali a non ridurre i posti-letto secondo certe proposte avanzate, ma ad accrescerli. Il Centro di riabilitazione corrisponde in pieno al nostro concetto di centralità della persona: il paziente va accompagnato con attenzione anche dopo l’operazione all’anca o al ginocchio o a un’altra articolazione nobile. E’ un altro servizio che rendiamo al territorio; per me del resto oggi il vero Campus è sempre di più tutta Trigoria, dati anche i collegamenti culturali derivati dalla presenza dell’Università.

     

    Veniamo da ultimo al Centro per la Salute dell’Anziano (CESA), la cui palazzina ospita il Centro di Riabilitazione, gli ambulatori di fisioterapia e anche l’asilo nido per una ventina di figli di dipendenti. Il CESA richiama subito la figura di Alberto Sordi: che ruolo ha avuto nell’avvio del Campus?

     

    Forse un ruolo maggiore di quello che lui pensava. E’ intervenuto quando noi avevamo già acquisito i primi terreni, 18 ettari, da un suo fratello. Questi terreni avevano una caratteristica, in particolare gli ultimi otto: erano frutto dei primi guadagni di Alberto Sordi e per lui avevano un valore affettivo molto elevato. L’attore decise di donarli per qualcosa che potesse aiutare gli anziani. Insieme studiammo la creazione di una Fondazione, di cui lui era presidente, così che noi con i soldi nostri avremmo costruito sul terreno da lui donato – ormai parte del Campus - un Centro per la salute dell’anziano. Alberto Sordi ha stimolato grandemente il nostro interesse per l’anziano, che è diventato per noi una figura importante tanto è che è nostra intenzione creare un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico proprio sulle patologie dell’invecchiamento. Credo che Alberto Sordi ne potrebbe essere contento!                                

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