IL RETTORE NAAMO: L’ARMENIA CHE FRANCESCO TROVERA’ – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 18 giugno 2016
Ampia intervista a padre Lwis Naamo, rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma – Un popolo europeo che ha vissuto per millenni nel cuore dell’Asia minore – I rapporti tra la minoranza cattolica e la maggioranza armena apostolica – L’identità armena nel monastero di Khor Vorap e nel monte Ararat, oggi in territorio turco – L’impegno sociale dei cattolici
Inizialmente doveva essere una visita unica in Armenia e in due degli Stati confinanti: Georgia e Arzebajgian. Poi, dopo il ‘no’ governativo, il viaggio apostolico di Francesco nel Caucaso è stato frazionato: dal 24 al 26 giugno il Papa sarà nel “primo Paese cristiano”, dal 30 settembre al 2 ottobre in Georgia e in Azerbajgian. In quell’Azerbajgian che dalla dissoluzione dell’Unione sovietica conosce la secessione del Nagorno Karabakh, terra di etnia armena, autocostituitosi in Repubblica indipendente. L’Armenia poi confina anche con la Turchia (oltre che con l’Iran), con la quale la frontiera è ufficialmente chiusa: desiderio del Papa è di ‘riaprirla’ almeno simbolicamente… e non si può escludere che, giungendo a pochi chilometri dal confine (e dal monte Ararat), voglia stravolgere il programma prestabilito e ci riesca. L’Armenia poi è sì massicciamente cristiana, ma i cattolici vi sono in netta minoranza: la visita del Papa (conseguente anche all’eco avuta dall’uso pubblico il 12 aprile 2015 della parola ‘genocidio’ in riferimento ai massacri turchi iniziati nel 1915 e sulla scia di Giovanni Paolo II) suscita in qualche ambiente della Chiesa armena apostolica il timore che dia ‘troppa’ spinta alla minoranza cattolica. Della visita parliamo con padre Lwis Naamo, che ha avuto un ruolo importante nella preparazione e ne avrà uno altrettanto importante nel bilancio: il rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma è comprensibilmente molto attento alla delicatezza dell’argomento. Con lui, nella sala del bel palazzo adiacente alla chiesa di San Nicola da Tolentino, partiamo da lontano…
Prima di tutto, padre Naamo: chi sono gli armeni?
E’ una domanda molto bella, perché la risposta è ricca. Gli armeni sono un popolo indoeuropeo, che ha più di cinquemila anni di vita, di storia, di tradizioni. La data per noi più importante è quella del 301 d.C., quando il nostro santo padre Gregorio l’Illuminatore battezzò il re Tiridate III e l’Armenia adottò così il Cristianesimo come religione di Stato…
… dodici anni prima dell’Editto di Costantino che pose fine alle persecuzioni anti-cristiane nell’Impero Romano e settantanove anni prima che con l’Editto di Tessalonica da parte di Teodosio il cristianesimo fosse riconosciuto quale religione ufficiale dello stesso Impero…
Proprio così, un popolo antico con un’identità nazionale saldamente radicata nell’identità religiosa. Del resto il motto del prossimo viaggio del Santo Padre in Armenia è proprio questo: “Visita al primo Paese cristiano”. Infatti, mi viene naturale ricordare e collegare questo viaggio con quello di san Giovanni Paolo II che visitò l’Armenia nel 2001, proprio nell’anno del millesettecento anniversario del suo battesimo cristiano.
Quello armeno è un popolo europeo o asiatico?
Il nostro popolo appartiene al ceppo indoeuropeo, è un popolo europeo che per millenni ha vissuto nel cuore dell’Asia minore, costituendo così un crocevia tra l’Asia e l’Europa. E’ un popolo che ha sofferto tanto, ha versato tanto sangue, dato tanti martiri... è un popolo che ha pagato cara la sua sequela a Cristo, cui è rimasto fedele e fiero testimone.
Padre Lwis, quanti sono gli armeni oggi e dove sono?
La nazione armena nel mondo comprende più o meno 10 milioni di persone, di cui circa 3 risiedono nella Repubblica di Armenia, resasi indipendente nel 1991 dall’ex-Unione sovietica. Sono particolarmente consistenti le comunità armene della diaspora, in Russia, negli Stati Uniti, in Francia, Georgia, Iran, Libano, Siria, e anche nell’Argentina di papa Francesco che, da arcivescovo di Buenos Aires, ha sempre avuto ottimi rapporti con gli armeni. In Italia troviamo presenze armene lungo tutta la Penisola, da Milano alla laguna di Venezia, da Genova a Roma, fino in Sardegna e Sicilia. Vi sono comunità armene anche in Svizzera, dove gli armeni sono oltre cinquemila, in particolare a Ginevra; poi c’è una presenza storica in Terra Santa, e naturalmente nella Repubblica del Nagorno Karabakh…
…territorio armeno, che, assegnato negli Anni Venti dai bolscevichi all’Azerbaigian, al momento della dissoluzione dell’Unione sovietica si autoproclamò Repubblica indipendente dallo stesso Azerbaigian. Ne nacque una guerra che tra il 1992 e il 1994 provocò almeno 30mila morti. E’ stata instaurata poi una tregua assai fragile, rotta anche recentemente da scontri militari alla frontiera azera. Torniamo all’identità armena, marcata dal Cristianesimo: a tale proposito è un fatto che il cristianesimo di gran lunga maggioritario in Armenia non è quello cattolico, ma quello della Chiesa apostolica armena. Ci spieghi un po’…
La scissione risale al Concilio di Calcedonia (451) che discusse sulla natura di Cristo. Gli armeni non poterono partecipare in quanto impegnati nella guerra contro i persiani per difendere il Cristianesimo e la Nazione armena dal mazdeismo, religione dell’antica Persia che prendeva il nome dal suo dio unico. Da allora incominciò la spaccatura tra Chiesa cattolica e Chiesa apostolica armena, che non è di natura dogmatica ma impedisce la piena comunione. E’ bene, tuttavia, ricordare che oggi la chiesa armena apostolica è considerata una delle chiese sorelle più vicine alla Chiesa di Roma.
Del resto le due Chiese si ri-unirono tra il XV e il XVIII secolo, fino al 1728… e poi si ri-separarono.
Gesù ci voleva uniti. Tuttavia, se guardiamo alla storia e anche al presente il Corpo ecclesiale è diviso in tante parti. Lo sforzo verso l’unità c’è. Noi constatiamo con soddisfazione che nel suo viaggio papa Francesco sarà ospite del Catholicos (Patriarca) Karekin II, con il quale ha già dimostrato di essere in un rapporto di fraternità e stima profonda. Il secondo giorno del viaggio papale, sabato 25 giugno, è prevista la firma di una dichiarazione congiunta, che indubbiamente avrà un grande impatto ecumenico.
L’agognata unità è realisticamente prevedibile?
Domanda molto difficile. Certo è che oggi l’unità, almeno quella d’azione, non solo a livello armeno ma di tutto il Cristianesimo, è particolarmente urgente per far fronte alle gravi e molteplici minacce contro la persona umana, la vita, la famiglia, la nostra fede, l’identità cristiana.
La questione principale che ancora divide Chiesa cattolica e Chiesa apostolica armena è quella del Primato del vescovo di Roma. E’ superabile? Oggi abbiamo Francesco che all’esterno si presenta, almeno per quello che appare, soprattutto come vescovo di Roma e non tanto come Papa…
Il nostro Santo Padre è innanzitutto un Padre, che con il suo atteggiamento cerca di andare al cuore dei problemi dell’essere umano. Porta dentro di sé le gioie e i dolori della vita quotidiana, l’amore per l’altro, il soffio dell’ecumenismo. Va sì come vescovo di Roma, ma anche come rappresentante di tutti i cattolici del mondo. Per noi è un grande onore averlo in Armenia.
E’ vero che, almeno fino a poco tempo fa, gli armeni cattolici in Armenia – oggi circa 160mila di cui la metà a Erevan e il resto soprattutto nella zona nord - erano considerati un po’ come degli stranieri, tacciati di essere dei ‘Frank’ (discendenti dei ‘francesi’,‘latini’) dagli armeni apostolici?
Penso che questo atteggiamento risalga al periodo comunista, decenni in cui la Chiesa armena apostolica, per mantenere la fede tra la gente, è restata molto osservante delle sue tradizioni, le ha valorizzate al massimo. In tale situazione sorgevano in alcuni dei dubbi sugli armeni cattolici: chi sono veramente? Non era un atteggiamento ostile, ma derivato dalle grandi preoccupazioni del momento. Però oggi si parla piuttosto, da parte dei vertici armeni apostolici, di un’unica Chiesa armena. E’ importante che tale sensibilità si trasmetta al popolo, così che tutti insieme possiamo vivere con tranquillità e fiducia nell’avvenire.
Quali effetti sulla fede popolare hanno avuto settant’anni di comunismo?
Non è stato un periodo breve. Da una parte si deve dire che gli armeni si adattano con facilità alla situazione storica in cui vivono. Per esperienza personale – sono vissuto tre anni a Parigi – ho potuto constatare che tanti armeni si sono francesizzati, credono nella laicité in senso negativo. D’altra parte chi ha vissuto in Armenia ha cercato di difendere con tenacia, spesso rischiando vita e carriera, la propria libertà religiosa e la sua pratica.
I giovani armeni in Armenia oggi credono ancora come i loro padri e i loro nonni?
L’Armenia è indipendente da non molti anni, e ci tiene molto alla sua identità, dalla quale non è separabile la fede cristiana. In ogni casa non mancano la Croce e le immagini votive. Certo il mondo globalizzato passa anche il confine armeno, pure con i suoi difetti come il relativismo e la scristianizzazione. Stiamo lavorando molto con la gioventù, perché conservi o riacquisti la fede.
Perché il Papa ha scelto l’Armenia come meta di un suo viaggio apostolico, che inizialmente si prevedeva potesse comprendere negli stessi giorni anche i confinanti Azerbajgian e Georgia (Francesco li visiterà dal 30 settembre al 2 ottobre)?
Certamente è stata grande l’eco delle parole del Santo Padre, che il 12 aprile 2015, nel saluto iniziale della santa messa “per il centenario” in San Pietro, ha citato esplicitamente – sulle orme di san Giovanni Paolo II – il genocidio armeno come il primo dei genocidi del Novecento. La visita del 24-26 giugno avviene come logica conseguenza e come culmine del riconoscimento pubblico di papa Francesco e degli inviti al più alto livello politico e religioso connessi (e già inoltrati a partire dal 2014). Il Santo Padre a Erevan renderà omaggio alle vittime del genocidio incominciato nel 1915 recandosi il 25 giugno al memoriale del Metz Yeghern (Il Grande Male).
Un momento importante, conclusivo, della visita del Papa in Armenia sarà presso il monastero di Khor Virap, che significa “pozzo profondo”…
Come dice la nostra storia, lì è rimasto recluso per tredici anni il nostro santo padre Gregorio I Illuminatore, lo stesso che poi convertì al Cristianesimo nel 301 il re Tiridate III. Ogni giorno una donna cristiana gli portava di nascosto acqua e pane. Da Khor Virap nasce la luce del Cristianesimo: e dunque è molto importante per l’identità e l’unità armena…
Non è lontano Khor Vorap del monte Ararat, oggi appena al di là da quella frontiera armeno-turca, ufficialmente chiusa (anche se quotidianamente vi transitano persone e merci) che il Papa – vedi ad esempio la risposta data a una domanda ad hoc posta sul volo di ritorno da Istanbul il 30 novembre 2014 - avrebbe voluto ‘riaprire’ come segno di riconciliazione tra Armenia e Turchia…
L’ Ararat per noi è un grande simbolo di vita, già citato nell’antico Testamento per l’Arca di Noè che lì si arena. Una vita che continua, nella memoria di un’Armenia storica molto più estesa dell’odierna Repubblica e che comprendeva dunque anche l’Ararat, che oggi si trova purtroppo in Turchia.
Tra i momenti più significativi del viaggio apostolico si sono già ricordati l’incontro con il Catholicos della Chiesa apostolica armena Karekin II (di cui Francesco sarà ospite) e la dichiarazione ecumenica congiunta prevista per sabato 25, l’omaggio al memoriale del genocidio, la visita al monastero ‘storico’ di Khor Virap. In programma inoltre una visita di grande rilievo alla seconda città armena, Gyumri, situata a circa 120 chilometri a nord di Erevan, dove il Papa celebrerà anche una santa messa…
Gyumri è una città in cui c’è una presenza consistente di cattolici e una bella collaborazione ecumenica. E’ situata nella zona che fu scossa da un tremendo terremoto nel 1988: venticinquemila i morti. Per molti anni tanti tra i superstiti hanno vissuto (e in parte ancora vivono) in container. Per riprendere un’espressione abituale del Santo Padre, è sicuramente una ‘periferia’. Francesco con la sua visita darà conforto e speranza alla popolazione.
A poco più di mezz’ora da Gyumri sorge l’ospedale Redemptoris Mater …
Il Redemptoris Mater è l’ospedale donato dopo il sisma da Giovanni Paolo II, realizzato con i fondi della Caritas italiana. Inaugurato ad Ashotsk nel 1990, vicino al confine con la Georgia (molti sono i pazienti georgiani), quello che è conosciuto come “l’ospedale del Papa” ha un centinaio di posti-letto ed è collegato con 25 unità sanitarie in altrettanti villaggi zone circostanti, gestite dai padri camilliani.
Come si manifesta ancora socialmente la presenza cattolica in Armenia?
Abbiamo le Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta: e il nome dice già tutto. Sono venute dopo il terremoto del 1988. Poi le Suore Armene dell’Immacolata Concezione, una congregazione che si è occupata dell’educazione di ragazze povere, ha molto aiutato la popolazione negli anni del genocidio (tra l’altro è stata all’origine dell’accoglienza di 400 bambini orfani nelle Ville Pontificie di Castelgandolfo nei primi Anni Venti) e, dopo l’indipendenza dell’Armenia, è attiva nel Paese in particolare ancora per i giovani orfani. Penso che il Santo Padre visiterà il loro centro. I monaci mechitaristi invece hanno dato e danno soprattutto un contributo culturale di grande importanza alla riscoperta e al mantenimento dell’identità armena; a Erevan hanno una scuola e un seminario.
L’Armenia e il Medio Oriente… in Siria ad esempio la comunità armena è messa anch’essa a dura prova…
Io ho vissuto per qualche tempo in Siria, a 400 chilometri da Aleppo, vicino ai confini iracheno e turco; sempre con il sogno di andare in Armenia per ritrovare di persona le nostre origini. Con lo scoppio della guerra in Siria, tanti armeni si sono trasferiti in Armenia, trovando un cuore aperto sia da parte dello Stato che della Chiesa. Nella nostra diocesi di Erevan l’arcivescovo ospita nella Casa diocesana, tramite la Caritas, una quindicina di famiglie provenienti dalla Siria, che hanno perso tutto. Il ministero armeno per la diaspora aiuta i profughi, i bambini vanno a scuola gratis, sono parte di programmi speciali di reinserimento. E’ evidente però che anche l’Armenia oggi attraversa un periodo di difficoltà economiche. Si sta facendo quello che si può.
P.S. L’intervista appare integralmente su www.rossoporpora.org; in forma lievemente ridotta nelle pagine di ‘Catholica’ del ‘Giornale del Popolo’ di Lugano di sabato 18 giugno 2016. Per una riproduzione dell’intervista o di parti consistenti di essa si prega di chiedere l’autorizzazione a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..