INTERVISTA SUI MARONITI A MONS. HANNA ALWAN - 'Il CONSULENTE RE' DI APRILE 2008
A colloquio con monsignor Hanna Alwan, rettore del Pontificio Collegio Maronita di Roma, su passato e presente della Chiesa orientale che ha contribuito i misura determinante a plasmare l’identità del Libano – Le origini dei maroniti – I rapporti con
Monsignor Alwan, come sono nati i maroniti? Le pongo questa domanda poiché c’è chi li fa risalire all’eremita san Marone del IV secolo e chi al vescovo san Giovanni Marone del VII secolo…
Possiamo dire che ambedue hanno ragione. Storicamente erano chiamati maroniti coloro che si rifacevano all’eremita san Marone (morto nel 410), che viveva su una montagna presso Apamea nell’attuale Siria. Erano cristiani come tutti, fedeli ai sette Concili ecumenici convocati fino ad allora: erano indicati come maroniti poiché vivevano secondo la spiritualità di san Marone e dei suoi discepoli. Invece
Proseguiamo nella vicenda maronita. C’è chi dice che mai i maroniti si staccarono dalla Chiesa di Roma e chi invece annota che ciò avvenne: lo ‘strappo’ sarebbe stato ricucito grazie ai Crociati. Mi spieghi Lei…
Per rispondere bene alla domanda è necessario conoscere più che la storia la geografia dei maroniti. I maroniti, in parte fuggiti dalla Siria a causa dell’espansione musulmana, risiedevano in gran parte nella montagna del Libano. Lì erano quasi isolati dal resto della Cristianità; certo i loro vescovi partecipavano ai concili e ai sinodi della Chiesa universale, ma i fedeli vivevano proprio per ragioni geografiche ai margini della stessa. Teologicamente non c’è nessuna prova che si siano mai staccati dalla fede comune a tutti i cristiani; alcuni teologi e storici hanno accusato di ‘deviazioni’
Del resto nel 1744 Benedetto XIV ha riconosciuto in un documento ufficiale l’ortodossia della Chiesa maronita…
Addirittura verso la fine del Seicento un alunno del Collegio maronita – poi divenuto patriarca – ha scritto diversi volumi apologetici del pensiero maronita, rispondendo alle accuse formulate. Oggi il patriarca Stefano Douaihy è considerato uno dei patriarchi più grandi della Chiesa maronita ed è in corso la sua causa di beatificazione.
E per quanto riguarda i contatti con i Crociati?
I maroniti stavano sulla montagna del Libano già prima dello scisma fra le Chiese d’Oriente e Roma; avevano solo un passaggio verso il mare. E’ vero che, con l’arrivo dei Crociati, hanno ripreso i contatti con l’Occidente. Però, lo ribadisco, mai si sono allontanati dalla Chiesa. Il maronita dice che la sua fede è quella di Pietro e magari nella storia non sempre ha saputo il nome del Pietro regnante. Il maronita crede fermamente al primato dei successori di Pietro.
Monsignor Alwan,
E’ opportuno prima evidenziare che
Per quanto riguarda i rami femminili?
La congregazione della santa famiglia maronita è stata fondata da un patriarca. Analogamente a quanto successo in campo maschile, le religiose sparse in diversi monasteri si sono raggruppate nell’ordine delle monache maronite e quello delle antoniane. Oggi esistono ancora nella montagna libanese alcuni conventi di monache ‘autonome’ da ogni ordine o congregazione, con i loro propri statuti e costituzioni monacali.
In tale contesto qual è la funzione del Patriarca?
E’ il capo della Chiesa maronita. Il titolo di patriarca non è sostanzialmente simbolico o solo onorifico, come può essere quello della Chiesa latina di Gerusalemme o di Venezia. Il patriarca maronita è come tutti i patriarchi orientali capi di chiese, ha una vera giurisdizione sui fedeli maroniti compresi tutti i vescovi e gli istituti religiosi nel mondo. Il Sinodo dei vescovi maroniti, convocato e presieduto dal patriarca, esercita il potere supremo legislativo e giudiziario sulla Chiesa maronita Il potere amministrativo è del patriarca con il Sinodo permanente, un piccolo Sinodo formato da quattro vescovi.
Quali sono i rapporti con il Papa?
Quali le differenze principali nella liturgia tra Chiesa maronita e Chiesa latina?
Molti i segni di croce, gli incensi…
L’atmosfera è più mistica, più orientale, più spirituale. Abbiamo un forte senso del sacro nella divina Eucaristia: durante la celebrazione bisogna far sentire la presenza del sacro con i segni di croce, l’incenso, le processioni, i canti…
Come si pone
Come le Chiese orientali, quella maronita da sempre ha un clero anche di coniugati. Il seminarista, prima di accedere all’ordinazione diagonale e presbiterale, deve decidere se sposarsi oppure non. Se opta per la prima ipotesi, si sposa e solo successivamente verrà ordinato. Fino a qualche tempo fa i nostri vescovi attendevano che la famiglia fosse solida, con qualche figlio, prima di ordinare il nuovo sacerdote. Oggi si attende un minimo di cinque anni dopo il matrimonio.
Il sacerdote sposato con figli dovrà occuparsi anche della propria famiglia, oltre che del proprio gregge… non è uno svantaggio pratico sotto diversi aspetti?
Certo il sacerdote che ha una famiglia di tre, quattro, cinque figli deve occuparsi di essa e del suo mantenimento: dunque ha meno tempo per dedicarsi alla pastorale e allo studio. E’ logico che in genere il clero celibe è più preparato, anche perché è più libero e ha più tempo per farlo.
Qual è la percentuale oggi di preti sposati in Libano?
Poco più di un terzo è sposato e generalmente si cura di parrocchie rurali, di montagna. Alcuni si dimostrano comunque molto attivi.
Il sacerdote sposato può diventare vescovo?
Né vescovo né vicario generale. I vescovi prima erano scelti tutti tra i monaci.
Quali sono i rapporti nella storia tra
Però è l’identità del Libano che i maroniti hanno plasmato…
Fino alla prima guerra mondiale il Libano era quasi identificato con i maroniti. L’Impero ottomano aveva lasciato un’ ampia autonomia di governo ai patriarchi maroniti e al Libano, ‘protetto’ dalle cinque potenze occidentali. I cristiani nel 1932 erano ancora il 62% della popolazione. E’ per opera dei patriarchi maroniti e per merito delle loro politiche ed amicizie con l’Occidente che il Libano ha ottenuto l’indipendenza nel 1943: nel “Patto nazionale” ai cristiani viene garantita la presidenza della Repubblica, ai sunniti quella del governo, agli sciiti quella del parlamento. Il parlamento è diviso per metà tra cristiani e musulmani. L’accordo allora fu solo verbale ed è stato messo per iscritto solo con gli accordi di Taif del 1990.
Nel 1975 è incominciata una lunga guerra libanese…
E’ iniziata come guerra tra palestinesi e libanesi, in particolare tra palestinesi e cristiano maroniti. In effetti i profughi palestinesi avevano i loro campi in posizione strategica fin dentro Beirut, così da controllare l’intera città. A un certo momento la popolazione, pur con tutta la comprensione possibile per il dramma dei profughi, non poteva più accettare tale situazione di subalternità libanese. Sono stati diciassette anni di scontri continui, in cui si sono affrontati tutti contro tutti, passando gli anni anche all’interno dello schieramento cristiano. Ne hanno approfittato diversi altri Stati, intervenendo pesantemente nella guerra per ragioni geopolitiche e per ambizioni territoriali.
Quello che fa impressione sono ad esempio gli scontri tra cristiani. Dipende forse anche dal fatto che in Libano ogni grande famiglia aveva una sorta di suo feudo?
Purtroppo questo dramma ha alla sua origine un residuo dell’eredità turca, che ha creato una mentalità feudale per dividere e comandare (come del resto è capitato anche in altre parti del mondo, ivi compreso l’Occidente). Le divisioni interne convenivano a tutti coloro che avevano mire strategiche sul Libano. Certo sarebbe stato e sarebbe opportuno che tale tipo di divisione interna sparisse!
Le divisioni tra i cristiani si registrano ancora oggi, nonostante gli appelli incessanti del patriarca. Pensi a tutto quanto si riferisce all’elezione del presidente della Repubblica: una parte dei cristiani è alleato con Hezbollah, un’altra parte con i sunniti…
Il Libano è un Paese cui molti guardano con attenzione, interessati a lasciarlo diviso per poterlo meglio utilizzare per obiettivi politici. Non è facile uscire da tale situazione. Può darsi che molti cristiani (e anche sunniti e anche sciiti) in cuor loro desiderino l’unità nazionale: ma per loro è difficile rompere le alleanze attuali, svincolarsi da chi dà loro i mezzi per vivere e per governare o dominare. In tale contesto è difficile essere ottimisti a breve termine sul futuro del Libano.
<p�� s="��" ���="" xt="">Ero stato appena nominato ausiliare e l’arcivescovo, il cardinale Michele Giordano, mi affidò l’incarico di coordinare la preparazione della visita del Papa a Napoli. Lavorammo intensamente per un anno e mezzo: dal maggio dell’89 al novembre 1990. Volevamo che la visita del Papa fosse preparata da un cammino spirituale e pastorale, che impegnasse tutte le realtà della diocesi. Quattordici furono gli incontri del Papa con le diverse categorie di persone e per ognuno di essi ci fu un itinerario specifico di preparazione, con sussidi appropriati. Con un gruppo di valenti collaboratori si riuscì a coinvolgere con la comunità ecclesiale anche la società civile, il mondo della cultura, del lavoro e le stesse istituzioni. Ricordo con particolare gioia l’incontro del Papa con i giovani. Al termine della visita, che durò tre giorni, dal 9 all’11 novembre del 1990, il Papa fu molto contento e il ricco patrimonio del suo magistero è ancora oggi un punto di riferimento pastorale per l’arcidiocesi partenopea.
Adesso Lei è chiamato ad occuparsi di altri problemi. Quanto il servizio che svolge attualmente fa parte della Chiesa “viva” e non “burocratica” ?
Certo nel campo di lavoro in cui sono inserito oggi mi occupo di altri problemi. Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica tratta questioni molto delicate, che toccano la vita delle persone dal punto di vista delle relazioni giuridiche, che nella Chiesa comunque hanno sempre una finalità pastorale: dunque non è e non può essere considerato un lavoro soltanto burocratico.
Eminenza, può precisare gli ambiti del Suo servizio?
La Segnatura Apostolica provvede alla retta amministrazione della giustizia nella Chiesa. A tal fine esercita una triplice competenza: giudiziaria, contenzioso-amministrativa e amministrativa disciplinare. I compiti di Supremo Tribunale sono abbastanza ristretti: giudica le querele di nullità e le istanze di “restituito in integrum” contro le sentenze rotali, i ricorsi nelle cause sullo stato delle persone che la Rota Romana abbia negato di ammettere a nuovo esame e altri ricorsi. Attraverso la cosiddetta “sectio altera”, introdotta da Paolo VI «per una più conveniente tutela dei diritti dei fedeli», giudica i ricorsi contro gli atti amministrativi singolari emanati o approvati da un dicastero della Curia Romana, tutte le volte che si discuta se l’atto impugnato abbia o meno violato la legge. Come pure giudica le controversie deferite dal Papa o dai dicasteri e sui conflitti di competenza tra i diversi dicasteri della Curia. Infine vigila sulla retta amministrazione della giustizia nei tribunali di tutta la Chiesa. Come vede, si tratta di un servizio ecclesiale complesso e di grande responsabilità.