HAITI, UN ANNO DOPO: INTERVISTA AL NUNZIO APOSTOLICO BERNARDITO AUZA - di GIUSEPPE RUSCONI - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI APRILE 2011
Nell’intervista gli enormi problemi legati alla ricostruzione non solo fisica del Paese. La catastrofe educativa, gli aiuti della Chiesa, il progetto ProCHE, la fede che non tramonta, la pazienza degli haitiani che non è rassegnazione, la tratta di bambini e giovani donne, gli aiuti possibili
Il 12 gennaio 2010 Haiti (in specie la capitale Port-au-Prince e i suoi dintorni) era sconvolta da un gravissimo terremoto, che ha provocato circa 230mila morti, milioni di senzatetto, danni incommensurabili. Ne “Il Consulente RE” online di marzo 2010 abbiamo dato la parola al Nunzio apostolico Bernardito Auza, che ci ha rievocato il momento della grande scossa e quelli, drammatici, successivi. A poco più di un anno dalla tragedia abbiamo ricontattato il cinquantunenne presule filippino perché ci desse notizie di prima mano sulla situazione odierna nel Paese più povero dell’America latina, che da poco – dopo un percorso tormentato – ha scelto un nuovo presidente, l’ex-rapper Michel Martelly, uscito vincitore (non senza contestazioni) dal ballottaggio del 20 marzo con l’ex-first lady Mirlande Manigat. Su quest’ultimo argomento il Nunzio apostolico nel rispetto delle ‘regole’ della diplomazia, non ha voluto esprimersi. Dall’intervista emerge la gravità persistente della situazione di un Paese colpito nel corso dell’ultimo anno anche da un’epidemia di colera (oltre 5mila i morti) e da un uragano…
Monsignor Auza, nell’intervista rilasciataci poco più di un anno fa, due mesi dopo il terremoto, Lei diceva: “Ora è un dovere costruire un’Haiti migliore che quella prima del terremoto”. L’Haiti di oggi è migliore di quella di un anno fa?
Premetto che dopo una distruzione quasi totale delle zone vaste e densamente abitate di Port-au-Prince e dintorni, e nel quadro di una ricostruzione a lungo termine, sarebbe temerario che io esprimessi una valutazione in risposta alla Sua domanda. Lascerei passare ancora un paio di anni per farmi un giudizio più oggettivo al riguardo. Ciononostante, posso costatare che mentre da una parte non si vedono ancora i cantieri dei grandi progetti di ricostruzione, tanti progetti cosiddetti “quick impact” nel gergo delle organizzazioni internazionali - e cioè piccoli progetti realizzati in tempi rapidi con impatti diretti sulla vita quotidiana della gente che ne ha bisogno-, sono stati realizzati. Direi che vi sono stati progressi, anche se non sono sempre visibili e forse non interessano molto ai massmedia internazionali. Si legge nella stampa internazionale che gli aiuti promessi per la ricostruzione tardano ad arrivare, ma occorre anche aggiungere che i grandi progetti non sono ancora pronti per essere avviati.
Restiamo sull’argomento. Le notizie che fluiscono da Haiti lasciano prefigurare una situazione di grave e persistente precarietà: oltre un milione di persone vive nelle tendopoli in condizioni igieniche insufficienti, le macerie sono ancora lì, il sistema scolastico (con gravissime conseguenze educative) e quello sanitario sono in condizioni inaccettabili, la corruzione e la speculazione dilagano, la ricostruzione in sostanza non si è ancora avviata. Gli aiuti promessi da molti Paesi sono però stati tanti…
Ripeto che vi sono stati progressi nella situazione delle vittime del terremoto, anche se resta moltissimo da fare. Secondo le ultimissime statistiche sui circa 1,3 milioni di sfollati che si sono ammassati nei campi di emergenza dopo il terremoto, ne rimarrebbero ora circa 600.000. Con l’aiuto internazionale, delle case distrutte sono state riparate, degli alloggi sono stati resi disponibili, con premi “cash” delle famiglie si sono spostate altrove, ma soprattutto delle piccole case provvisorie sono state costruite. E’ vero che gran parte delle macerie è sempre lì. Vi sono quartieri interi che sembrano gli stessi dell’immediato dopo-terremoto. Ma almeno le macerie, quelle buttate per le strade da privati che le tolgono dalle proprie proprietà, sono ora più o meno regolarmente raccolte. L’anno scorso a tale proposito si era in una situazione di crisi profonda: numerose, anche quelle importanti, erano bloccate dalle macerie.
Veniamo al sistema educativo…
Dopo alcuni mesi del mio arrivo in Haiti nel 2008, mi ero già convinto che il sistema educativo in Haiti costituisse uno dei problemi più gravi. Lo Stato possiede solo circa il 10% delle scuole obbligatorie; il resto è nelle mani dei privati, con la Chiesa Cattolica che è di gran lunga la più importante educatrice nel Paese. Circa un terzo degli allievi frequenta le scuole cattoliche, alcune delle quali sono indubbiamente tra le migliori e le più prestigiose nel Paese. Esiste una proposta di riforma del sistema educativo, commissionata dalla Banca Interamericana di Sviluppo e dalla Banca Mondiale, secondo la quale la riforma del sistema educativo haitiano dovrebbe costare cinque miliardi di dollari statunitensi, moltissimo per un Paese piccolo e povero come Haiti.
E gli aiuti internazionali?
Direi che gli aiuti internazionali sono stati e sono “solo relativamente” tanti, quando li confrontiamo con i problemi di fondo da risolvere. La sfida più grande in Haiti non è nemmeno la ricostruzione delle strutture distrutte dal terremoto, bensì la rifondazione del Paese. Si tratta dunque di una sfida più complessa e ampia. I problemi di fondo esistevano prima del terremoto, come la mancanza di energia elettrica (che raramente arriva alla Nunziatura), del sistema telefonico fisso, della distribuzione d’acqua, della costruzione di strade, di piano urbanistico, di catasto, di produzione nazionale ecc. V’erano e vi sono, poi, i sistemi da riformare, come quelli educativo, giudiziario e sanitario. In tale contesto ogni settore pretende d’essere prioritario, e le risorse non bastano mai. Aggiungerei anche che le spese amministrative dei progetti sono molto alte, perché gli esperti ed i tecnici vengono dall’estero, ed i prezzi dei materiali di costruzione sono elevatissimi, giacché tutto è importato, perfino le sabbie.
Che cosa ha fatto la Chiesa cattolica in questi mesi per attenuare l’emergenza ed aiutare la ricostruzione? Quali i progetti principali? Si sta incominciando ad attuarli?
Sarebbe superfluo elencare qui tutte le attività umanitarie che le agenzie ecclesiali svolgono. All’inizio ci siamo concentrati nella distribuzione degli aiuti di prima necessità. Ora ci troviamo in un periodo di transizione tra l’emergenza e la ricostruzione. Le agenzie cattoliche, in primo luogo “Catholic Relief Services”, continuano a cercare di reintegrare le famiglie e le persone nelle loro comunità d’origine, aiutandole a costruire delle case provvisorie.
Proprio negli ultimi giorni di marzo scorso ha cominciato a funzionare, sebbene ancora parzialmente, la Commissione creata dalla Chiesa per la ricostruzione e per tutte le costruzioni. Si chiama ProCHE (Proximité Catholique à Haiti et à son Eglise). Si è deciso di avvalerci di tale commissione tecnica per assicurarci che i lavori siano ben fatti. In questi prossimi due mesi saranno lanciati progetti “quick impact”, piccoli e tecnicamente meno esigenti, ma con effetti positivi immediati. Nel contempo abbiamo già progetti di alcune chiese. Ho fiducia che possiamo andare avanti, sempre con l’aiuto della Chiesa universale, in particolare di quelle Chiese locali che hanno più risorse.
Un terremoto catastrofico, un uragano estivo disastroso, un’epidemia di colera (che secondo alcuni esperti francesi è stata importata da caschi blu nepalesi dell’Onu), elezioni presidenziali contrastate e contestate (tanto che il ballottaggio previsto per il 16 gennaio è stato rinviato al 20 marzo, vinto poi dall’ outsider, il rapper Martelly): i guai per Haiti sembrano non finire mai. Già gliel’avevo chiesto nell’intervista del marzo 2010: la fede degli haitiani in Dio ne ha sofferto?
La mia risposta non cambia: la fede degli haitiani, grazie anche ad un accompagnamento pastorale, resta solida di fronte alle sofferenze causate dal terremoto e dalla litania di disastri. La pratica religiosa non ha sofferto, anzi alcuni dei nostri parroci dicono che il numero dei fedeli che partecipano alle Messe domenicali è aumentato, nonostante il fatto che tante parrocchie celebrino le Liturgie sempre sotto le tende ed altre strutture provvisorie. Ho celebrato la Festa di San Giuseppe nella parrocchia dedicata al Santo sotto un’enorme struttura provvisoria, presenti non meno di 2.000 fedeli . Mi è gradito credere che la coscienza collettiva di “una chiesa non fatta di pietre” ma di fedeli discepoli del Signore sia stata rafforzata dalla perdita delle strutture fisiche. Ma, ovviamente, occorre ricostruirle, e bene, non appena ci sarà possibile, perché le attività pastorali ne soffrono la mancanza.
C’è una volontà, nonostante tutto, di ricominciare una vita nuova nel popolo haitiano oppure domina la rassegnazione?
Tra le caratteristiche degli haitiani che più colpiscono lo straniero c’è la pazienza, più precisamente la perseveranza in mezzo alle enormi e persistenti difficoltà. Ad alcuni ciò potrebbe sembrare rassegnazione, ma la realtà è che il popolo haitiano vuole ricominciare per un avvenire migliore. Una spia di questa voglia di cambiare e ricominciare sono i risultati delle elezioni presidenziali e legislative, che indicano una certa delusione di fronte alla classe politica, sia di quella al potere che di quella all’opposizione. Gli haitiani hanno scelto un Presidente non politico e che non ha mai avuto esperienza dil governo.
In questi mesi, come ha denunciato ripetutamente anche il quotidiano cattolico italiano ‘Avvenire’, si è manifestato un fenomeno molto preoccupante: la tratta di bambini, che vengono portati oltre confine e venduti a trafficanti senza scrupoli. Si può fare oggi qualcosa di concreto per contrastarlo?
La tratta dei bambini che vengono portati oltre confine era già un problema anche prima del terremoto. Dopo il terremoto, secondo gli esperti il traffico è aumentato, ma mi pare che anche il monitoraggio sia più assiduo. E non solo si parla di tratta dei bambini, ma anche d giovani donne. Vi sono organizzazioni che lottano contro questo fenomeno, tra cui il “Jesuit Refugee Service”, alcune Congregazioni religiose femminili ed agenzie internazionali come l’UNICEF. Sono state allestite “safehouses” (case di rifugio) nei punti più caldi lungo la frontiera haitiano-domenicana, dove i bambini e le donne strappati ai trafficanti vengono ospitati, identificati ed aiutati.
Certo, prima ancora di dover intervenire nei momenti più critici, occorrerebbe un grande lavoro di fondo, come il rafforzamento delle famiglie haitiane, la promozione delle iniziative per aiutare i numerosi bambini di strada, la promozione dell’adozione a distanza, ecc.
Lei mi chiede se si può fare qualcosa di concreto per contrastarle il fenomeno. Certamente. Ad esempio, un Nunzio Apostolico, che vuole rimanere anonimo, mi ha messo a disposizione US$ 65.000 di propria tasca per far costruire sei aule di clesse per l’educazione tecnica dei ragazzi di strada, e cofinanziare una clinica per donne incinte e per fanciulli, che sarà costruita in una zona di altissimo tasso di povere giovani madri. Un altro esempio è l’adozione a distanza, anche se solo per pagare la tassa scolastica. Quest’anno ho affidato a parenti ed amici il pagamento delle tasse scolastiche di centinaia di bambini, tasse scolastiche che variano tra 25 e 100 euro l’anno. Queste sono alcune iniziative per aiutare a salvare bambini dai trafficanti. Uno che desidera aiutare deve mettersi in contatto con partner locali affidabili, come le nostre Congregazioni religiose che tanto fanno in questo campo.
Monsignor Auza, un appello finale?
Sostenete con le vostre preghiere e con le vostre offerte di solidarietà i nostri sforzi per risollevare le nostre comunità di fede e per ricostruire le strutture distrutte dal terremoto. Il mio appello viene accompagnato da una richiesta di avere ancora un po’ di pazienza per il fatto che finora non si vedono ancora chiese e cattedrali in cantiere. Abbiamo già numerosi progetti sulla carta, ma devono essere ancora esaminati da tecnici prima di presentarli per il finanziamento e l’esecuzione. Sono molti gli ostacoli ad una rapida ricostruzione, ma facciamo del nostro meglio per affrontarli con serenità.