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    FRANCESCO, PAROLIN, POI ZUPPI A L'OSSERVATORE ROMANO

    FRANCESCO, PAROLIN,  POI ZUPPI A L’OSSERVATORE ROMANO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 8 settembre 2022

    Qualche passo tratto da recenti interventi di papa Francesco - Il card. Parolin, Giovanni Paolo I, la pace, le armi – Un’intervista interessante e, diremmo, programmatica del presidente della Cei a L’Osservatore Romano: per i cattolici c’è di che essere inquieti…

     

    LA BEATIFICAZIONE DI PAPA GIOVANNI PAOLO I: IL PAPA PUNGE…

    Dall’omelia per la beatificazione di Albino Luciani, papa Giovanni Paolo I (4 settembre 2022, piazza San Pietro): (…) “Si può andare dietro al Signore, infatti, per varie ragioni e alcune, dobbiamo riconoscerlo, sono mondane: dietro una perfetta apparenza religiosa si può nascondere la mera soddisfazione dei propri bisogni, la ricerca del prestigio personale, il desiderio di avere un ruolo, di tenere le cose sotto controllo, la brama di occupare spazi e di ottenere privilegi, l’aspirazione a ricevere riconoscimenti e altro ancora. Questo succede oggi fra i cristiani. Ma questo non è lo stile di Gesù. E non può essere lo stile del discepolo e della Chiesa. Se qualcuno segue Gesù con questi interessi personali, ha sbagliato strada.

    Con il sorriso Papa Luciani è riuscito a trasmettere la bontà del Signore. È bella una Chiesa con il volto lieto, il volto sereno, il volto sorridente, una Chiesa che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova risentimento, non è arrabbiata, non è insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato cadendo nell’indietrismo”.

    Ascoltando con attenzione l’omelia è venuto spontaneo ricollegare alcune delle considerazioni sopra riportate a quanto successo mercoledì 31 agosto nel duomo di Como per la festa del patrono sant’Abbondio, occasione per festeggiare il neo-cardinale Oscar Cantoni. Si ricorderà che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha infiorato il suo saluto ufficiale lombardo di battute ironiche contro il porporato e contro chi l’ha nominato, con gran diletto di diversi altri vescovi (salvo il cardinale Coccopalmerio, rimasto qual statua di sale) e di buona parte dei fedeli presenti, che hanno riso e applaudito fino a una sorta di ovazione finale. A mente fredda non è stato certo un bel momento per la chiesa lombarda, che ha offerto di sé un’immagine non proprio edificante, prescindendo da qualche scheletro ingombrante presente nell’armadio sia dell’arcivescovo di Milano (quand’era vicario episcopale) che dell’odierno vescovo di Como (quand’era vescovo di Crema, in relazione alla trista e triste vicenda dell’allora presidente della Fondazione del Banco Alimentare, e anche successivamente). Che papa Francesco (da parte sua non certo di carattere angelico) abbia voluto intenzionalmente ricordare (a beneficio di mons. Delpini) che covare risentimento – perdipiù pubblico - per un cardinalato  negato non è il miglior modo per seguire Cristo e servire la Chiesa?

     

    LA BEATIFICAZIONE DI PAPA GIOVANNI PAOLO I: IL CARD. PAROLIN, LA PACE, LE ARMI

    La beatificazione di papa Luciani è stata accompagnata da una partecipazione di popolo numericamente assai modesta in piazza San Pietro (è vero che pioveva e anche forte, ma la sensazione è che in ogni caso non ci sarebbe stata grande folla); tuttavia nell’editoria l’avvenimento ha trovato un bel riscontro con diversi libri e articoli che hanno approfondito la figura del figlio di Canale d’Agordo.

    Troviamo interessante citare qui un passo dell’editoriale a firma del cardinale Pietro Parolin che introduce un numero speciale monografico di Luoghi dell’Infinito, mensile allegato ad Avvenire. Il Segretario di Stato vaticano a proposito del tema Chiesa e pace - “di stringente attualità” - in Giovanni Paolo I rievoca brani dell’Angelus del 10 settembre 1978 in favore della pace nel Medio Oriente, una lettera al presidente americano Jimmy Carter, già il discorso al Corpo diplomatico del 31 agosto 1978: “Giovanni Paolo I si muove nel solco della grande diplomazia, che molti frutti ha dato alla Chiesa alimentandosi con la carità”. E’ noto – ha continuato il cardinale – che “in questa prospettiva ciò che si fa a San Pietro interessa il mondo intero. Anzi, quel mondo che non si attende programmi politici dalla Chiesa, né una scelta di blocchi e frontiere (NdR: interessante l’insistenza di Parolin su tali atteggiamenti…), ma il coraggio della prudenza, la parresia di parlare ai potenti con la forza della fede, della santità, della preghiera”. (NdR: insomma… niente “Vade retro” rivolto a leader politici). Ha proseguito il capo della diplomazia d’Oltretevere: “(fede, santità e preghiera sono) le armi che più contano! Le sole armi efficaci in un’epoca travagliata: anche oggi, sotto i deliri di potenza, sotto l’aridità, sotto l’indifferenza si nasconde una sete illimitata di giustizia, di pace, di spiritualità. E di queste armi ci ha reso incancellabile testimonianza il governo pastorale di Albino Luciani-Giovanni Paolo I”. Fede, santità e preghiera… mentre prosegue tra le altre la guerra scellerata in Ucraina (di cui sono corresponsabili gli Stati Uniti e la loro propaggine Nato), si continua ad inviare armi mortifere (coprendole ipocritamente con il segreto di Stato), si intensifica – ormai è ben noto - l’addestramento militare nei Paesi Nato. Intanto soffrono gli ucraini, soffrono i russi, soffrono i popoli europei che la guerra mai avrebbero voluto, ma i cui leader hanno obbedito agli ordini ricevuti. Ridono invece per i profitti incassati i mercanti di armi, tante industrie dell’energia, i Paesi estrattori di gas (vedi anche Stati Uniti, Norvegia, Olanda).

     

    IL PAPA ALLE CANOSSIANE: LE VIRTU’ DELL’ETA’, CANI E GATTI, IL CHIACCHIERICCIO

    Dal discorso alle partecipanti al Capitolo generale delle Figlie della carità canossiane, Palazzo Apostolico, Sala del Concistoro, 26 agosto 2022

    . “Guardando a lei (NdR: a Maria) e anche dialogando con lei nella preghiera, potete imparare sempre nuovamente che cosa significa essere ‘donne della Parola’. Che non ha niente a che vedere con ‘donne del chiacchiericcio’! per favore, questo non lo confondete, non ci sia il chiacchiericcio tra voi! Le anziane possono testimoniare alle giovani uno stupore che non viene meno, una riconoscenza che cresce con l’età, un’accoglienza della Parola che si fa sempre più piena, più concreta, più incarnata nella vita. E le giovani possono testimoniare alle anziane l’entusiasmo delle scoperte, gli slanci del cuore che, nel silenzio, impara a risuonare con la Parola, a lasciarsi sorprendere, anche mettere in discussione, per crescere alla scuola del Maestro. E quelle di mezza età, cosa fanno? Sono più a rischio – state attente! –, sia perché quella è un’età di passaggio, con alcune insidie – le crisi dei 40, 45, voi le conoscete –; ma soprattutto perché è la fase delle maggiori responsabilità ed è facile scivolare nell’attivismo, anche senza accorgersi. E allora non si è più donne della Parola, ma donne del computer, donne del telefono, donne dell’agenda, e così via. Dunque, ben venga questo motto per tutte!

    . Mi è piaciuto il numero di novizie che avete: questo indica fecondità, fecondità della congregazione. È un numero della fecondità. Peccato che qui in Europa sia poca gente, ma è l’inverno demografico europeo: invece dei figli preferiscono avere cani, gatti, che è un po’ l’affetto programmato: io programmo l’affetto, mi danno l’affetto senza problemi. E se c’è dolore? Beh, c’è il medico veterinario che interviene, punto. E questa è una cosa brutta. Per favore, aiutate le famiglie ad avere dei figli. È un problema umano, e anche un problema patriottico. (NdR: tema non nuovo in Francesco. Da notare il patriottico)

    . Nella diocesi di prima [Buenos Aires] c’era una suora che aveva questo vizio di lamentarsi, e tutti la chiamavano ‘suor Lamentela’. Nessuna di voi è ‘suor lamentela’, ma la tentazione di lamentarsi, di criticare… questo fa male al corpo, fa male. ‘Ma, Padre, a me viene!’. E tu vai, dillo alla persona: ‘Tu hai questo difetto’; o se no dillo a chi può porre rimedio. Ma cosa guadagni tu ad andare dalle sorelle e dire: ‘Ma guarda questo, questo, questo…’! Questo è chiacchiericcio, che fa tanto male e fa morire la Parola di Dio. ‘È difficile, Padre, risolvere il problema del chiacchiericcio, perché ti viene, il commento…’. Sì, è come il dolce, che ti viene… Ma c’è un bel rimedio, contro il chiacchiericcio, ed è molto semplice: se tu hai la tentazione di chiacchierare delle altre, morditi la lingua, così si gonfia bene e non potrai parlare. Capito? Per favore, niente chiacchiericcio, questo uccide la vita comunitaria. (NdR: un tema che non tramonta mai, è sempre lì come ostrica attaccata allo scoglio…. Da notare quel “morditi la lingua, così si gonfia bene e non potrai parlare”)

     

    MATTEO MARIA ZUPPI: UNA CONTROVERSA INTERVISTA PROGRAMMATICA A L’OSSERVATORE ROMANO

    Sabato 3 settembre 2022 L’Osservatore Romano ha offerto ai lettori la possibilità di inoltrarsi in una lunga intervista – definibile programmatica - al presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, condotta dal direttore Andrea Monda e da Roberto Cetera (tutti e tre gli attori sono stati insegnanti di religione cattolica). Lecito pensare che la sua lettura inquieti assai i cattolici italiani – dato che alimenta in loro la confusione sull’identità ecclesiale -  al contrario dei cattofluidi che avranno brindato, sentendosi confortati nel loro compiaciuto sciogliersi nel mare magnum del politicamente corretto.

    Dell’ampia intervista (apparsa sotto il titolo già rivelatore "La Chiesa che conversa con gli uomini del suo tempo") riproduciamo alcuni passi indubbiamente interessanti, a partire dalla constatazione di una partecipazione modesta al cammino sinodale, un dato che Zuppi conferma, riflettendo poi sulla situazione particolare dei tempi, anche per la Chiesa. In altri passi dell’intervista si toccano poi temi molto scivolosi per chi, accogliendo senza criterio, rischia de facto di legittimare qualsiasi comportamento. Anche quelli che contrastano gravemente con la dottrina sociale della Chiesa (per il momento pare non sia stata ancora abolita).

    . Cominciamo dal Sinodo: si può dire che la partecipazione e i risultati della fase dell’ascolto diocesano siano stati inferiori alle aspettative? In un Sinodo chiamato a discutere di sinodalità, cioè dell’essere Chiesa, spesso è prevalso tra i laici un atteggiamento ancora delegante e tra i preti una qualche diffusa diffidenza.

    Sì, è vero. Ma penso anche che proprio questa fatica del cammino sinodale sia paradossalmente segno della necessità e urgenza della prassi sinodale. Perché ci si mette in cammino quando se ne avverte l’esigenza, quella di Cristo che non aspetta, chiama e invia. Questo appuntamento avviene in un momento particolare nella vita della Chiesa e del mondo, cioè nello scorcio finale (si spera) di una pandemia che ha sconvolto le nostre vite, ha cambiato le nostre abitudini, anche religiose, ha svuotato le chiese, ha inciso profondamente sul nostro sentimento religioso, sul nostro essere comunità, e financo sul nostro modo di pregare. Non scordiamoci che nelle nostre intenzioni iniziali questo cammino prevedeva anche dei compagni di viaggio esterni al nostro mondo abituale; non il solito 5 per cento ma quel 95 per cento che ci guarda ma non cammina con noi, e il tempo recente che abbiamo vissuto non c’è stato certo d’aiuto nel progetto.

    . Dai tempi del Concilio a oggi è intervenuto un cambiamento epocale, che non è solo culturale, non è solo la globalizzazione, la digitalizzazione o la psicologizzazione delle relazioni. Ma è il cambiamento antropologico. L’essere umano non si sottrae all’evoluzione. L’uomo e la donna di oggi sono molto diversi da quelli su cui abbiamo costruito buona parte del pensiero teologico. Ontologicamente, se si può dire, diversi.

    Questa è una questione importantissima che dobbiamo urgentemente affrontare. Senza rimpianti per il passato e senza fughe in avanti. Dobbiamo allora con coraggio comprendere l’antropologia, i cambiamenti già intervenuti e quelli che una rapidità vanno prospettandosi. E poi, con altrettanto coraggio, porci la domanda sul perché la bellezza umana dell’essere cristiani non attrae e quella sul “che fare?”. Tanti si sentono giudicati e non amati, così non facciamo né l’uno né l’altro. L’interferenza di questi cambiamenti con la sfera della morale fin qui proposta è evidente. Si pensi per esempio a come le scoperte delle neuroscienze incidono sulla nostra tradizionale idea di volere, e di libero arbitrio. O pensate alle questioni riguardanti i generi e la loro fluidità. Temi sui quali fatichiamo perché ci troviamo innanzi non più un’alterità di pensiero, una contrapposizione, ma un comune sentire, e una conseguente pratica (NdR: ma che dice il card. Zuppi… comune sentire?). È saltata completamente l’idea del limite, l’idea che non ti evolvi se non moltiplicando le esperienze, sperimentando tutto e cambiando a piacimento le interpretazioni del reale. Lo stesso vale per le modifiche antropologiche derivate all’uomo digitale. Ma non possiamo certo limitarci a una sfilza di “no”(NdR: com’è che dice il Vangelo? Matteo 5, 37). Dobbiamo piuttosto impegnarci a costruire il profilo attuale del cristiano, cioè dell’uomo evangelico, che è quello di sempre ma che deve parlare all’uomo di oggi (NdR: che facciamo? Aderiamo alla neolingua della nota lobby? Ci abboniamo a ‘Repubblica’, a ‘Vanity Fair’ e alla Mostra del Cinema di Venezia?)

    . Il nostro sistema di pensiero, filosofico e teologico, difetta spesso di una certa “fissità” del concetto di uomo. E di donna. Che invece sono esseri sempre dinamici, in continua evoluzione.

    Assolutamente sì. Non c’è dubbio (Ndr: ma allora…viva la fluidità!).

    . La Chiesa italiana, per dirla con Giuseppe De Rita, ha un problema di “postura”. Come anche voi scrivete nel documento di sintesi del percorso sinodale, di fronte ai tanti temi su cui è chiamata a dire la sua - povertà, cultura dello scarto, pace, giustizia sociale, lavoro, giovani ed educazione - appare come afona, balbettante. Come si fa allora a conversare?

    Abbiamo fatto la nostra scelta di conversare e quindi innanzitutto abbiamo deciso di ascoltare. Abbiamo impegnato questi due anni all’ascolto. Gli esiti certamente sono controversi, probabilmente perché noi preti siamo più abituati a rispondere che a domandare, più propensi a definire, circoscrivere, dare certezze, spiegare chi siamo, a parlare sopra che ascoltare (NdR: dobbiamo laurearci tutti in psicologia e psichiatria?). (…) Troppo spesso abbiamo un’ossessione a giudicare, perché sentiamo che se non lo facessimo non adempiremmo al nostro ruolo. C’è dentro di noi uno zelo che ci porta a difendere la trincea della verità. Pensiamo che questo sia il nostro essenziale compito e che questo significhi seguire il Vangelo. Ma non è così. Perché certo il Vangelo è la verità ma è ben diverso dall’atteggiamento farisaico (NdR: eh… questi farisei quanto continuano a essere diffamati come legulei dal cuore di pietra!), il quale comunica la Legge, mentre a noi il Vangelo chiede di comunicare l’Amore. Dirti la legge è condannarti (NdR: sembra un po’ tanto drastico e sloganistico qui il card. Zuppi...). Non possiamo usare il Vangelo come una clava. La misericordia, l’ascolto non giudicante, l’attenzione pastorale non sono cedevolezze (NdR: sono solo alla fin fine legittimazione di certi comportamenti…). Poi certo sono consapevole che c’è anche il rischio di inseguire le filosofie del mondo (NdR: rischio? No, vera e propria realtà!). Ma con queste il discrimine è molto netto: loro esaltano l’Io, noi ragioniamo solo in termini di Noi (NdR: bello e facile a dirsi, meno a concretizzare…).

    . Il Noi si sostanzia innanzitutto nell’impegno politico. La Chiesa italiana nei primi quarant’anni della storia repubblicana ha fatto politica. Politica con la p maiuscola ovviamente, non la politique politicienne. E l’efficacia è stata notevole, soprattutto per la funzione di collante tra spinte diverse, di mediazione culturale. Poi con la fine della prima Repubblica e la scomparsa del partito dei cattolici si disse che il ruolo dei cattolici sarebbe stato quello, in entrambi i poli, di influenzare la politica sui valori cristiani. Oggi sembrerebbe essere accaduto il contrario: è la politica che influenza i cattolici. La divisione politica precede ogni altra distinzione tra cattolici.

    Intanto c’è da dire che la polarizzazione (NdR: ormai è una parolaccia…) è oggi la cifra di tutta la società. E i cristiani non sono estranei alla società. La polarizzazione regna sovrana su tutti i temi, grandi e piccoli. Credo che questa sia la risposta istintiva e semplificante alla complessità del mondo in cui viviamo. Aderisci, ma non pensi. Schierandoti non hai bisogno di farti molte domande. Noi dobbiamo invece affrontare la complessità senza timore, porci domande, soprattutto quelle che riguardano il ‘chi’, cioè ponendo al centro la persona. Questa è la via della semplicità e non della semplificazione. L’altra cosa, che giustamente rilevate, è guai ad avvelenare con la logica politica le relazioni ecclesiali! Non è un fenomeno solo italiano; penso per esempio alla forte polarizzazione politica rappresentata nella Chiesa americana (NdR: cattivoni quei cattolici conservatori che insistono sulla dottrina sociale cattolica!). Ma laddove la politica ha usato categorie pseudo-teologiche o spirituali per inquinare la vita ecclesiale alla fine hanno perso tutti. Dobbiamo fare molta attenzione su questo aspetto. E non solo per le strumentalizzazioni esterne quanto per le divisioni interne. Guai a cadere nelle trappole a esempio delle finte contrapposizioni tra sociale e spirituale, o alle divisioni, spesso artificiose, sui temi etici (NdR: spesso artificiose? Ma il card. Zuppi ha saputo per esempio di quel che è successo sul ddl antropologicamente sovversivo e liberticida Zan? Non è contento che sia stato bocciato? Oppure avrebbe preferito passasse con qualche ininfluente correzione?)  Sui temi etici non possiamo limitarci a ripetere le lezioncine del passato, ma dobbiamo trovare nuove parole per nuove domande. (NdR: lezioncine del passato? Quale rispetto mostra l’odierno presidente della Cei per tanti militanti cattolici che hanno pagato la loro fedeltà alla dottrina con l’emarginazione?) Con molta franchezza: se sui temi etici il mondo va da un’altra parte vuol dire certo che non dobbiamo omologarci o dire quello che il mondo vuole sentirsi dire ma sapere dire le verità di sempre nella cultura o nelle categorie di oggi. Questa è la sfida ed è tutt’altro che cedevolezza ma responsabilità, altrimenti ripetiamo una verità diventata dura da accettare. (NdR: verità diventata dura da accettare? E allora c’è bisogno di un ammorbidente… aggiungiamo al ‘no’ un ‘ma anche’, così che le chiese si svuotino ancora di più e i 25mila di domenica 4 settembre in piazza San Pietro divengano un record positivo…)

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