ZUPPI/MIHAJLOVIC – MANTOVANO/DROGA: I MEDIA NON SIANO LASSISTI- di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 20 dicembre 2022
I funerali a Roma (nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri) dell’ex-calciatore e allenatore Siniŝa Mihajlovic sono stati molto toccanti. Il rito è stato presieduto dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, della cui omelia riportiamo alcuni passi. In materia di lotta alla droga parole importanti (e su cui meditare) ha detto il 13 dicembre a Lisbona il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano: alcuni estratti.
A chi ci legge gli auguri più vivi per un Natale che, nonostante le difficoltà che sta vivendo il mondo, permetta di guardare al futuro con il conforto della Luce di Betlemme. Con fiducia, con perseveranza, ma anche con lo stupore e l’allegria dei pastori convocati alla Grotta.
DALL’OMELIA DEL CARDINALE MATTEO ZUPPI AI FUNERALI DI SINISA MIHAJLOVIC
Profonda emozione – non solo tra i tifosi di calcio - ha suscitato la morte il 16 dicembre dell’ex-calciatore e allenatore Siniŝa Mihajlovic, nato a Vukovar 53 anni fa da padre serbo e madre croata. Dal luglio 2019, contratta una forma di leucemia mieloide acuta, ha combattuto pubblicamente e coraggiosamente contro la malattia, pur restando allenatore del Bologna fino al settembre 2022. Aveva sei figli, di cui cinque dall’attuale moglie, che l’ha accompagnato dal 1995. E’ stato calciatore di grande cuore, di forte temperamento e di tiro potente dapprima nel Vojvodina e nella Stella Rossa di Belgrado (con cui vinse una Coppa dei Campioni) e nella nazionale serba, poi in diverse squadre italiane, dalla Roma alla Sampdoria, dalla Lazio (di cui era grande tifoso e in cui ha giocato per sei indimenticabili stagioni, conquistando tra l’altro uno scudetto, la Coppa delle Coppe, due Coppe Italia) all’Inter (anche tra i neroazzurri vinse uno scudetto e due Coppe Italia). Fu allenatore di Bologna, Catania, Fiorentina, Sampdoria, Milan, Torino, di nuovo Bologna, oltre che della nazionale serba.
Figura controversa per le sue opinioni politiche – in relazione soprattutto alle vicende ex-jugoslave – era molto amato dai tifosi, in particolare da quelli della Lazio e del Bologna, che insieme (pur non essendo tradizionalmente particolarmente amiche per ragioni extra-calcistiche) nel 2019 salirono alla bolognese Madonna di San Luca, chiedendole di intercedere per la sua guarigione. La conferma è venuta dai funerali, svoltisi ieri, lunedì 19 dicembre 2022, a Roma nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a piazza della Repubblica. Oltre ai duemila dentro la chiesa, altre migliaia hanno atteso fuori in un silenzio impressionante, rotto solo dagli applausi all’arrivo della bara e all’uscita della basilica, quando si sono alzati possenti anche i cori consueti dedicatigli dalla curva Nord della Lazio.
Dentro la chiesa la messa è stata presieduta dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana. Funzione sobria e nel contempo toccante, con l’organo e la voce solista a stimolare il raccoglimento (Eccomi, Benedici il Signore anima mia, Chi ci separerà, Ti seguirò). Non poche le Comunioni. Presente anche il rappresentante del Patriarca di Serbia, la salma è stata benedetta sia con rito cattolico che ortodosso.
Intensa l’omelia, in cui il cardinale Zuppi ha rievocato la figura di Siniŝa Mihajlovic attraverso i suoi ricordi personali. Ne citiamo qualche passo.
. Oggi per il calendario serbo è San Nicola che è il santo proprio della famiglia Mihajlović. Questo saluto doloroso ci lascia quasi increduli e ci fa provare l’ingiustizia e la forza del male che spegne la vita di un uomo nella pienezza della sua vita e con tanti programmi per il futuro (si immaginava diventare vecchio con tanti nipoti perché Siniša ha sempre volute una famiglia piena di vita).
. I discepoli discutono tra loro su chi fosse il più grande (NdR: riferimento al Vangelo di Luca, 9, 46-50). E così iniziano a litigare, a dividersi, a fare classifiche, confronti, recriminazioni, punteggi. (…) Grande per loro è chi sta bene e scappa dai problemi degli altri, cerca il suo benessere, la prestanza fisica, il successo, il potere tanto che diventano un impedimento, un inganno perché ci fanno sentire grandi quando non lo siamo. La malattia, come tante circostanze in cui diveniamo improvvisamente piccoli, ci apre un’altra strada e ci fa pellegrini alla scoperta di sé. La piccolezza è via per conoscere sé stessi, gli altri e Dio. Siniša fece questa esperienza già negli anni terribili della guerra nei Balcani ,quella che, come diceva lui, aveva un unico colore, il rosso del sangue delle vittime perché la guerra rende tutti cattivi ed è ingiusta per tutti.
. Grande è chi accoglie l’altro, come fanno i piccoli, come amico e fratello oppure, chi fa giocare bene tutti, e ce la mette tutta per i suoi. Oggi siete tanti di tante squadre (…) ma oggi capiamo che poi alla fine il vero combattimento è con l’unica squadra che conta, che è quella dei Fratelli Tutti, dell’unica umanità, che deve combattere la difficile partita della vita perché contro il vero e grande nemico, insidioso, furbo, disonesto, ingiusto che è il male e i suoi tanti alleati. Ecco Siniša dava tutta la sua forza alla squadra. La famiglia di Siniša era la sua squadra del cuore, da cui ha avuto il gioco più bello, e dalla quale e stato amato e protetto fino alla fine da loro che non hanno mai mollato, proprio come era e ha fatto lui.
. Guai a scappare da chi sta male! Quando succede umilia chi è malato e fa sentire la malattia una colpa! Fino alla fine, con la presenza instancabile di Arianna e di tutti. Poche ore prima di andare in ospedale giocava con Violante, la nipotina, che è stata luce e senso della vita che va oltre di sé e per questo gioia infinita e diceva: “mi sento felice”. E per la sua squadra dava tutto, non si tirava indietro, pagava di persona. Siniša è stato un uomo di sport, da sempre, sin da quando correva senza stancarsi o da bambino, calciando contro la serranda del vicino di casa, si allenava a battere le punizioni. Ha imparato bene!
. È rimasto lo stesso uomo ruvido, schietto, audace, diretto, generoso e allo stesso tempo dolce, tenero. Le sue parole erano i fatti e gli occhi. I difetti e i pregi si abbracciano sempre, per lui senza nessuna ipocrisia, anzi con fastidio verso le falsità, scegliendo l’autenticità che spesso lo ha portato ad essere al limite, come quando entrava duro su un avversario di gioco. A Medjugorje ci andò da solo nel 2008, quando allenava per la prima volta il Bologna e disse: “Ho cominciato a piangere come un bambino, non riuscivo a trattenermi. E mi sono sentito più forte e più uomo quel giorno che in tutto il resto della mia vita”. Ecco chi è davvero grande. “Su quella panchina è come se mi fossi ripulito, come se avessi tolto una pietra dal cuore. Da lì ho iniziato a pregare. Sono andato un po’ in conflitto, a volte Dio mi aiutava, a volte no. Poi ho capito che bisogna pregare sempre, da prima della malattia prego due volte al giorno. Ma non bisogna dire ‘voglio, voglio...’, ma ‘grazie, grazie’”. “Mi sono sentito totalmente appagato, pulito, libero, come se mi fossi tolto di dosso tutti i pesi dell’esistenza. Puro, come un bambino appena nato”. “Con Dio le fragilità non sono ostacoli, ma opportunità”.
. Non scappava Siniša, come non è scappato davanti alla malattia. L’ha affrontata con coraggio, ma questa volta diverso: parlandone, piangendo davanti a tutti, condividendo la commozione, la speranza, le difficoltà quel passaggio da invulnerabile a fragile che è sempre una scoperta amara e difficile per tutti. E qui ha dimostrato di essere un uomo vero. “Il guerriero”, l’orso, ha vinto con la dolcezza della fragilità, insegnando che la vera forza non sta nel sentirsi invincibili, ma nel provare sempre a rialzarsi e nel rialzare chi è caduto. (…)
. Ricordo l’incontro con Siniša nei primi giorni del suo combattimento nel reparto dell’ematologia del S. Orsola di Bologna; e permettetemi di ringraziare questa squadra che anche lo ha accompagnato con competenza e passione, protetto e difeso con fermezza e dolcezza. E in diverse occasioni aveva ammesso che la malattia gli aveva fatto comprendere meglio la vita. “La malattia non è una colpa, succede, e basta. Ti cade il mondo addosso. Cerchi di reagire. Ognuno lo fa a suo modo. La verità è che non sono un eroe, e neppure Superman. Sono uno che quando parlava così, si faceva coraggio. Perché aveva paura, e piangeva, e si chiedeva perché, e implorava aiuto a Dio, come tutti. Pensavo solo a darmi forza nell’unico modo che conosco. Combatti, non mollare mai”. Piccolo era diventato grande tanto che “Mi godo ogni momento. Prima non lo facevo, davo tutto per scontato. La malattia mi ha reso un uomo migliore”. “Sono un uomo controverso e divisivo, si dice così? E ci ho messo anche io del mio. Facevo il macho, dicevo cose che potevo tenere per me. Mi prendo le mie responsabilità. Altrimenti sarei un ipocrita”. “Volevo dire a tutte le persone nel mio stato, ai malati che ho conosciuto in ospedale di non abbattersi, di provare a vivere una vita normale, fossero anche i nostri ultimi momenti”.
. Grazie, Dio, che nasci nel mondo per farci nascere in cielo. Oggi Siniša vive con te e con te, amore pieno, è in mezzo a noi, dentro di noi, perché tu nasco per farci vivere per sempre nella tua casa del cielo. Amen.
ALFREDO MANTOVANO: PAROLE IMPORTANTI SUL FLAGELLO DELLA DROGA (SPESSO COLPEVOLMENTE SOTTOVALUTATO)
Un problema drammatico che non cessa di inquinare la vita sociale – ma spesso è banalizzato da un atteggiamento a dir poco superficiale (e che finisce per diventare irresponsabilmente complice) da parte della cultura dominante de facto ancora sessantottina – è quello dello spaccio e del consumo di droga, con tutte le conseguenze dirompenti connesse sulla vita delle persone. Perciò non è inutile richiamare a tutti alcune delle riflessioni – che riteniamo fondamentali – proposte dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il 13 dicembre scorso a Lisbona, durante la diciottesima Conferenza ministeriale del Gruppo Pompidou (contro droghe e dipendenze).
. (messaggi comunicativi deboli e fuorvianti) La necessaria complessità della questione dipendenze rende prioritaria l’attività di prevenzione, cui è funzionale una sempre più adeguata informazione, anzitutto fra i più giovani, accompagnata dall’attenzione al trattamento e al recupero delle persone dipendenti. Le politiche di prevenzione vanno rivolte specialmente agli adolescenti, e non possono tollerare incertezze sul piano della comunicazione: nella gran parte delle Nazioni europee si sono conseguiti risultati importanti in termini di abbattimento del consumo di tabacco, grazie a sanzioni mirate e a grandi campagne di informazione; se analoghi traguardi non si sono raggiunti per il consumo di droga è anche perché circolano con troppa insistenza messaggi fuorvianti, relativi alla presunta innocuità o leggerezza di talune sostanze. Alcuni ordinamenti, per esempio, qualificano ‘leggero’ il GHB, l'acido γ-idrossibutirrico: somministrato in maniera controllata e a dosaggi definiti, esso può avere effetti positivi in pazienti con disturbi del sonno e può aiutare nel trattamento dell’alcolismo. Il problema è il suo uso non sotto prescrizione medica, bensì arbitrario, al di fuori di ogni prescrizione e verifica professionale, dopo l’acquisto avvenuto sul web o per strada: è la ragione, ahimè tragica, della qualifica mediatica assunta di "droga dello stupro”.
. (la droga non è una calamità naturale, è sostenuta finanziariamente e propagandata) Siamo ben consapevoli che, pur essendo la dipendenza da droga una emergenza, pochi ne parlano. La droga fa vittime, ma - tranne che nell’immediatezza di ciascuna singola tragedia - la si ignora quale causa di esse. Non è una calamità naturale: è voluta, sostenuta finanziariamente, e propagandata, e in più favorita da leggi non sempre razionali. In Paesi nei quali la legalizzazione è diventata legge l’emergenza ha consistenza drammatica: “Le droghe legali - spiega Pino Arlacchi, già direttore dal 1997 al 2002 dell'UNDCCP-Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine - hanno generato negli Stati Uniti una platea di 10 milioni di consumatori, e un numero di morti per overdose che ha raggiunto il mese scorso la cifra di 100.000 all’anno (in Europa 7 mila). La libertà di drogarsi è così diventata la prima causa di morte (pre-Covid) dei cittadini degli Usa di età inferiore ai 50 anni”.
. (luoghi comuni pericolosi e irresponsabili) Siamo chiamati ad affrontare questa emergenza con campagne di prevenzione, anzitutto nelle scuole. Nel dialogo coi media, dovremmo intenderci su quanto sia dannosa la promozione in talk o fiction di sostanze con troppa leggerezza definite “leggere”. E siamo chiamati a farlo vincendo tanti luoghi comuni, primo fra tutti quello secondo cui vi sarebbero droghe che non fanno male: sappiamo bene invece, per fare un esempio, che lo ‘spinello’ oggi in circolazione, cui tanti conferiscono o un effetto di contenimento del dolore, o comunque un innocente sapore di giovanilistica trasgressione, ha spesso effetti negativi, che possono diventare non reversibili nei confronti degli adolescenti, quando ha elevate percentuali di principio attivo. Il principio attivo della cannabis, il THC, è rintracciabile nella pianta non trattata in una percentuale massima del 2,5%. In Italia - ma immagino che sia così anche negli altri Paesi - mentre nei sequestri di tale sostanza operati dalle forze di polizia trent’anni fa il THC aveva una percentuale media fra l’1 e il 2%, nei sequestri effettuati nel 2020 ha raggiunto la media del 25% quanto all’hascisc, con punte del 78%, e del 10% quanto alla marijuana, con punte del 39%: ciò è reso possibile grazie alla coltivazione intensiva e alle manipolazioni fito-produttive che concentrano il principio attivo e alterano le caratteristiche della pianta. È veramente arduo qualificare ‘leggero’ un derivato della cannabis col 25% di principio attivo, per non dire del 39% o del 78%.
. (incidenti d’auto, furti, omicidi) Oggi circolano più stupefacenti rispetto a qualche anno fa. La gran parte degli assuntori dei vari tipi di droga guida un veicolo, ma pochi si domandano come mai crescono gli incidenti stradali dalla causale inspiegabile: un ventenne si schianta col ciclomotore contro un albero senza che la strada sia dissestata o che ci sia un temporale; un altro si cappotta con la propria vettura andando dritto dove c’era invece una curva, anche qui senza un ostacolo che lo abbia determinato. Pochi si chiedono perché crescono le liti, le rapine, o anche solo i furti, che degenerano in omicidi: se l’intento originario fosse quello di uccidere, il responsabile provvederebbe subito, e invece parte una discussione o una intimidazione, e poi non ci si ferma. Quei freni che non vengono azionati sulla motocicletta o sulla vettura non funzionano neanche per limitarsi a dare un cazzotto, o a puntare una pistola senza premere il grilletto.
Nella moltiplicazione di questi episodi vi sono certamente componenti di violenza, ma vi è un filone principale: la diffusione capillare della droga, la sua cessione spesso non contrastata alla luce del sole, il suo passare di mano in mano nelle aule e nelle toilette delle scuole e dei luoghi di ritrovo giovanili.
. (recupero dei tossicodipendenti) È prioritario l’approccio fondato sul rispetto dei diritti umani, che sia non stigmatizzante e non discriminante nei confronti della persona tossicodipendente: se vogliamo costruire delle comunità accoglienti e sicure, dobbiamo l’accesso ai servizi di cura e trattamento non va negato a nessuno. Il diritto alla salute deve essere garantito a tutti. Ogni politica nel settore deve avere fondamento nell’evidenza scientifica accreditata da fonti istituzionali, poiché solamente essa può garantirne l’efficacia.
. (libertà e responsabilità) Concludo dicendo che il richiamo ai diritti impone di interessarci, prima ancora dei milligrammi in più o in meno di ciascuna delle sostanze riportate nelle varie tabelle dei singoli Stati, di qualcosa di più importante: e cioè del significato da conferire a termini come libertà e responsabilità. Per chi intende riscrivere le legislazioni sulla droga avvicinandole a esperienze di legalizzazione, libertà ha la declinazione post sessantottina di fare quello che si vuole, incluso darsi la morte, o comunque porre sé stesso nelle condizioni di non essere più sé stesso.
Chi contrasta questa deriva è convinto invece che la libertà consista nel porsi nelle condizioni di rispettare sempre se stessi e la propria dignità e nel dare senso alla propria vita. Se parliamo di diritti, è questo il terreno di confronto e di scontro.