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    CORI ANTISEMITI - CECCANTI/FRANCIA - ZUPPI - DON FERRARI/ONG

    CORI ANTISEMITI – CECCANTI/FRANCIA – ZUPPI – DON FERRARI/ONG – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 22 marzo 2023

     

    Continuano i cori antisemiti nella Curva Nord della Lazio, in gran parte frutto di ignoranza storica e incapacità di non pochi giovani (e non solo) di riconoscere i limiti da rispettare nel comportamento in una società che si vuole civile. - Stefano Ceccanti sugli eventi francesi (riforma pensioni)– La relazione introduttiva del card. Zuppi al Consiglio permanente - Un’intervista  rivelatrice di don Mattia Ferrari, cappellano dell’ong Mediterranea .

     

    LAZIO: PROSEGUE LA VERGOGNA DEI CORI ANTISEMITI IN CURVA NORD

    Speravamo non succedesse più. E invece è ancora accaduto, per di più non da parte di piccoli gruppi di tifosi, ma con la partecipazione attiva di migliaia di ragazzi e giovani. Il riferimento è ai cori antisemiti cantati a più riprese durante il derby di domenica 19 marzo 2023 dalla palese maggioranza della Curva Nord laziale (ma analoghi comportamenti riguardano pure altre tifoserie, compresa parte di quella curvaiola romanista).

    Se n’era scritto qui un paio di mesi fa  (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1118-cori-antisemiti-sanremo-zelensky-ucraina-lettera-aperta.html ). Però, successivamente…. già a Napoli la bella vittoria laziale con gran goal di Matias Vecino era stata macchiata da cori sempre antisemiti di un centinaio di tifosi in trasferta… e domenica scorsa il centinaio è divenuto diverse migliaia. Peraltro (a quanto si evince dai video) non zittiti in alcun modo dal resto biancazzurro dello stadio.

    L’altra volta qualcuno aveva cercato ancora di minimizzare. “Che vuoi? So’ ragazzi! Non lo fanno perché hanno gli ebrei in antipatia, ma così… per collaborare concretamente al tifo per la Lazio… è più uno sfottò verso la Roma che altro… sono ragazzi che si divertono goliardicamente… e via …non fanno niente di male!…”

    Eh no, amici, cantare in migliaia “In Sinagoga va’ a pregare, e sempre ti farò scappare, romanista etc…” non è goliardia, è offesa grave, è irresponsabilità allo stato puro, è indice di ignoranza profonda della storia e di una faciloneria di comportamento indotta anche da una società per molti versi allo sbando e non a caso detta ‘fluida’, essendo stata privata di punti di riferimento esistenziali solidi. Non ci si può stupire se tali appaiono i risultati di anni di corrosione dei valori educativi e familiari.

    La Lazio ha emesso il 21 marzo 2023 un comunicato in cui tra l’altro si constata chel’ignoranza, l’inciviltà e la superficialità di molti hanno diffuso negli stadi d’Italia e non solo un germe pericoloso, indotto da pochissimi: molti replicano comportamenti di cui non conoscono neppure il significato e la portatae si dà conto di indagini sollecite per appurare le responsabilità individuali dei promotori di tali vergogne.

    E’ vero che per contrastare incisivamente fenomeni tanto aberranti servirebbe in primo luogo un’azione educativa capillare, a ogni livello, così che ragazzi e giovani possano constatare di persona attraverso testimonianze, foto e video quello che è successo in Italia e nel resto d’Europa anche solo nel Novecento in riferimento alla questione ebraica. Evidente che il compito spetta in primo luogo alla scuola (non solo il 27 gennaio, Giornata della Memoria, ormai a volte vissuta in modo ripetitivo) e, anche alla famiglia (qualora fosse in grado di trasmettere valori).  

    Però quello educativo è un percorso che richiede tempo. Intanto si utilizzino gli strumenti della giustizia calcistica (di per sé di non alta credibilità, tuttavia... meglio di niente!) squalificando le curve non solo in modo simbolico, ma così da incidere sulle serate o sui pomeriggi calcistici dei coristi coinvolti (inevitabilmente, purtroppo, anche di chi non ha cantato). E nel contempo, con la collaborazione della società e della giustizia ordinaria - si mettano nella condizione di dover restare lontano dagli stadi coloro che promuovono tali vergogne - stavolta con piena consapevolezza dei loro contenuti - ispirandosi de facto all’Italia trista delle turpi leggi razziali del 1938.

     

    MACRON E LE PENSIONI: IL COMMENTO DI STEFANO CECCANTI

    Da tempo in Francia (come del resto in tanti altri Paesi) si discute di riforma delle pensioni, un onere sociale che – persistendo le condizioni attuali, con la crescita delle aspettative di vita - per lo Stato pare sia diventato difficile se non impossibile da gestire (a meno di non aumentare le tasse… e però i soldi per la guerra in Ucraina non mancano mai!). La riforma francese prevede di innalzare gradualmente l’età della pensione da 62 a 64 anni (un’età comunque bassa se guardiamo alla media europea). Inasprite anche le condizioni di accesso alla pensione: solo a 65 anni di età con 40 anni di contributi sarà versata la pensione piena (l’importo minimo viene però aumentato a 1200 euro). Da notare anche che la pensione ricevuta viene a coprire il 60% dell’ultimo stipendio percepito.

    Insomma quella macroniana è una riforma non più sanguinosa di altre. Tuttavia ha suscitato un’opposizione che nel Paese è quasi certamente maggioritaria, ma che nell’Assemblea nazionale non è riuscita lunedì 20 marzo a raggiungere i 287 voti richiesti (maggioranza assoluta) per sfiduciare il governo. Gliene sono mancati 9.

    Nei mesi scorsi l’Assemblea nazionale aveva incominciato l’esame della riforma in prima lettura, ma senza poterla votare, considerato che il governo – utilizzando l’articolo 49.1 della Costituzione – l’aveva trasmessa dopo venti giorni al Senato. Il quale a due riprese l’aveva discussa e votata, ma era poi stato costretto a ripassarla all’Assemblea nazionale per la decisione definitiva (essendo istituzionalmente il Senato subordinato all’Assemblea).

    Il governo, sapendo che, se il testo della riforma fosse stato sottoposto al voto nell’Assemblea nazionale,  molto probabilmente sarebbe stato bocciato (essendo il governo macroniano di maggioranza solo relativa), ha pensato bene di utilizzare un altro articolo della Costituzione, il 49.3 che impedisce all’Assemblea di votare sul testo e pone invece la fiducia. Le opposizioni hanno conseguentemente la possibilità  di presentare e poi votare mozioni di sfiducia al governo. Ciò che è stato fatto. La sfiducia esige però la maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea (nel nostro caso bisognava arrivare a quota 287) e dunque è più difficile da ottenere, considerata la molteplicità delle opposizioni in aula. La mossa macroniana ha ottenuto in Assemblea nazionale un successo (pur se di misura, considerato come i voti favorevoli alla sfiducia siano stati 278), ma certo Macron dovrà fare i conti con una piazza che in tutto il Paese da mesi ribolle in un crescendo di agitazioni che non possono lasciar tranquillo anche un presidente di presunzione smisurata come lui.

    Lasciamo ora volentieri la parola per alcune considerazioni in materia al noto costituzionalista Stefano Ceccanti (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1065-ripudio-guerra-invio-armi-ucraina-legittimo-per-stefano-ceccanti.html), già parlamentare piddino della Repubblica (2008-13 senatore, 2018-23 deputato).  

    . Il Governo francese guidato da Elisabeth  Borne ha posto la fiducia sulla riforma delle pensioni nei termini previsti dall’articolo 49.3 della Costituzione del 1958. Questo articolo, inserito allora nel testo e poi modificato in seguito in senso restrittivo, ha la funzione di proteggere Governi cosiddetti di minoranza, ossia di maggioranza relativa, che abbiano contro di loro altre minoranze che di norma non sarebbero sommabili tra di loro.

    . Il Governo mette la fiducia perché se si votasse solo sul testo, senza fiducia, si conterebbero i sì e i no: i gruppi di opposizione potrebbero sommarsi agevolmente, ciascuno con le proprie motivazioni separate, e l’esecutivo potrebbe perdere. Invece il Governo, mettendo la fiducia, fa sì che il testo o passi senza voto (se le opposizioni non reagiscono) oppure se esse presentano mozioni di sfiducia per reazione alla fiducia il metodo cambi alzando lo scalino: una mozione di sfiducia votata insieme deve arrivare alla metà più uno dei componenti.

    . È una logica analoga alla sfiducia costruttiva: gli oppositori hanno l’onere della prova di dimostrare che la maggioranza è in realtà una minoranza, ma per farlo dal punto di vista quantitativo hanno l’obbligo di arrivare alla metà più uno e dal punto di vista qualitativo sono obbligati per così dire a sporcarsi le mani votando insieme ad avversari politici che sono posizionati sull’altro estremo.

    . In questo caso gli avversari di Macron hanno tentato con uno stratagemma per così dire ‘siciliano’ di superare il secondo problema: l’estrema destra di Le Pen e la sinistra della Nupes hanno votato insieme il testo di un gruppo centrista. Dico ‘siciliano’ perché richiama alla mente l’esperimento della Giunta Milazzo in Sicilia nel 1958, quando a un esponente centrista che ruppe con la Dc diedero i loro consensi sia il Pci sia l’Msi. Non sono però stati in grado di superare quello quantitativo arrivando alla maggioranza assoluta perché avrebbero avuto bisogno di molti più voti provenienti anche dai Repubblicani di centro-destra, la cui posizione ufficiale era contraria alla sfiducia.  

    . Contrariamente a quanto molti possono pensare, pur se inserito nella Costituzione del 1958, questo strumento non lo ha inventato né de Gaulle né qualche esponente gollista, ma il deputato della Dc francese Moisan nel 1953 (ispirato in realtà dal suo collega di partito Fernand Chaussebourg), come emendamento puntuale alla Costituzione della Quarta Repubblica  in cui Governi che restavano con una maggioranza relativa si dimettevano perché non erano in grado di governare. Una proposta poi modificata in modo più puntuale da un altro Dc, Paul Coste-Floret nel 1957, sempre come emendamento alla Quarta, e da lì transitata nel nuovo testo..

    . Nell’immediato il Governo francese se l’è cavata per 9 voti e può essere contento di quella che appare come una brutta vittoria, che in politica è sempre preferibile a una bella sconfitta. Per di più, se guardiamo la lista dei precedenti, la cosa non sembra neanche così tragica.

    . Nella serie storica delle mozioni di sfiducia di risposta alla questione di fiducia posta da un Governo ai sensi dell’articolo 49.3 Cost, andando a ritroso, ci sono stati infatti i seguenti risultati più risicati di quello odierno: Rocard 16.11.1990 salvato per 5 voti (289 contro i 294 richiesti); Chirac 10.10.1986 salvato per 7 voti (281 rispetto a 288); Pompidou 14.06.1967 salvato per 5 voti (239 rispetto a 244); Pompidou 07.06.1967 salvato per 8 voti (236 rispetto a 244); Pompidou 18.05.1967 idem.

    . Ovviamente, però, i gruppi di opposizione possono sperare che questo passaggio possa costituire un elemento significativo di logoramento del consenso di un Governo che nasce dalle volontà di un Presidente che, essendo stato eletto due volte, non può ricandidarsi la prossima volta, ai sensi del limite introdotto in Costituzione nel 2008

     

    L’INTRODUZIONE DEL CARD. ZUPPI AL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI  SOTTO IL SEGNO DI SAN GIUSEPPE

    Sono in corso di svolgimento a Roma i lavori della sessione primaverile 2023 del Consiglio permanente della Cei. Nell’introduzione di lunedì 20 marzo (quest’anno festa liturgica di san Giuseppe, che il 19 marzo ha dovuto far posto alla quarta domenica di Quaresima…), il cardinale Matteo Maria Zuppi ha proposto una riflessione su diversi argomenti, tra i quali le conseguenze pastorali e sociali del periodo di restrizioni imposte causa Covid e il percorso sinodale della Chiesa italiana (definito sostanzialmente missionario). Il presidente della Cei ha ricordato i dieci anni di pontificato di papa Francesco e, tra i fatti precisi, il naufragio di Cutro (senza entrare troppo nei particolari). Nessun riferimento invece a temi pure di grande e inquietante attualità come quello dell’utero in affitto. Il discorso introduttivo del card. Zuppi non solo ha preso avvio dalla festa di San Giuseppe: l’attualità del Santo ha pervaso largamente il testo rossoporpora. Ne proponiamo qualche passo a chi ci legge.

    San Giuseppe come custode di Gesù, non consulente di Gesù: In questa giornata – lo sappiamo – la liturgia offre alla nostra meditazione e preghiera San Giuseppe. Mi pare provvidenziale farci guidare dalla sua figura. Il primo tratto che colpisce è la cura che prende di Maria e del Bambino Gesù. Li ama come richiesto dall’angelo, andando oltre la giustizia e superando il comprensibile timore. Nell’incertezza, spesso faticosa, per molti terribile, dei passi del nostro vagare – comunque sempre contati da Dio – ascoltare e mettere in pratica la Parola permette di trovare il cammino, di scegliere la direzione, di prendersi cura degli altri, di vedere con gli occhi della fede le messi che già biondeggiano anche se mancano cinque mesi alla mietitura. San Giuseppe ci ricorda che siamo custoditi e dobbiamo custodire, specialmente nei momenti di crisi, nelle pandemie scatenate dal male. In esse ci scopriamo tutti vulnerabili e pellegrini su questa terra. Giuseppe assume la responsabilità paterna: non è un consulente che presta la sua opera senza assumersi responsabilità. Custodire è far crescere Gesù, proteggerlo perché si riveli. Giuseppe non lo lega a sé, non lo possiede: lo custodisce perché ascolta e ama.

    Festa di San Giuseppe, preludio di primavera: La solennità di San Giuseppe è un preludio della primavera, che secondo il calendario civile si apre domani. Anche la liturgia quaresimale ci aiuta a pregustare la gioia della Pasqua. La vita sta tornando a fiorire. Ma la vita può fiorire di nuovo? Nella mia introduzione al Consiglio Episcopale permanente del 20 settembre 2022, tenuto a Matera, usavo la metafora dell’inverno per individuare alcune fragilità e sofferenze del nostro tempo e della nostra gente: inverno dell’ambiente, della società, dei divari territoriali, della denatalità, dell’educazione. Inverno secondo alcuni irreversibile.

    E’ appena l’aurora: Suggerivo di profittare di questa situazione per apprendere uno “sguardo dal basso”, che consentisse di commuoversi e farsi carico delle fatiche dei più poveri. Ma anche chiedevo di impegnarsi in uno ‘sguardo lungo’, di costruire con generosità e intelligenza, pensando al dopo di noi, per comunicare la speranza cristiana che con fiducia pensa che tutto possa cambiare e il deserto fiorire. Credo che questa sia la nostra prospettiva odierna: riconoscere con sincerità le difficoltà ecclesiali e sociali, credendo, però, che oggi “Tantum aurora est”, che siamo vicini ad una nuova primavera della Chiesa, aprendo nuove e coraggiose prospettive di futuro. Per questo occorrono passione, visione profetica, libertà evangelica e intelligenza della comunione, generosa responsabilità e gratuità nel servizio. (NdR: “Tantum aurora est”, “E’ appena l’aurora”, citazione dal discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, pronunciato in latino da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962: “E’ appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole che sorge!”)

    Computer e isolamento: Considerando la stagione della pandemia dobbiamo evitare che il ricorso alla comunicazione digitale, così importante durante l’isolamento, sostituisca la presenza e diventi funzionale all’individualismo e alla patologia della paura. Penserei, per esempio, opportuno terminare con tante trasmissioni informatiche che inducono a chiudersi.

    La stagione dei ‘santi della porta accanto’: (oltre al personale ecclesiastico impegnato durante il periodo Covid) Ancora più numerosa è la schiera di laici, medici, infermieri, professionisti o semplici volontari, che con amore hanno accompagnato tante persone soprattutto anziane nell’ultimo tratto della loro esistenza.  È stata la stagione dei ‘santi della porta accanto’. Essi hanno di fatto reinventato una pastorale fuori dagli abituali confini fisici e mentali delle parrocchie, mostrando tanta solidarietà, prossimità, amore gratuito. Abbiamo capito con più vivezza che l’identità della comunità cristiana non si misura soltanto in base alla partecipazione alla liturgia domenicale. La preghiera, personale e comunitaria, ha sempre un orizzonte molto più ampio, che rende la comunità cristiana quello che deve essere, una famiglia capace di fare sentire a casa, di raggiungere le persone nelle loro case perché non siano luoghi isolati o carceri di solitudine, tessendo i legami umani e affettivi comandati dall’amore cristiano. La carità appartiene di diritto all’esperienza di fede di ogni cristiano e non può essere delegata solo ad alcuni, come non può mai essere scissa dalla dimensione spirituale. Amore e verità si nutrono l’uno dell’altra.

    Preghiera finale: è quella posta da papa Francesco a suggello della Lettera apostolica Patris corde (su san Giuseppe, 8 dicembre 2020) e si conclude così: O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi e guidaci nel cammino della vita .Ottienici grazia, misericordia e coraggio e difendici da ogni male. Amen.

     

    UN’INTERVISTA ASSAI RIVELATRICE DI DON MATTIA FERRARI, CAPPELLANO DELLA ONG MEDITERRANEA DI LUCA CASARINI

    Ha dei passi indubbiamente rivelatori un’ampia intervista apparsa il 21 marzo 2023 sull’organo per eccellenza del politicamente corretto, quell’avanguardia dell’ arroganza totalitaria radicalchic noto come Repubblica. Ne è protagonista don Mattia Ferrari, il prete di Modena che è cappellano della ONG ‘Mediterranea’, creatura partorita dal noto Luca Casarini. (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/891-mostro-rossogiallo-esulta-avvenire-e-canonizza-luca-casarini.html ). A beneficio dei nostri lettori riportiamo una serie di domande (da parte dell’intervistatore Concetto Vecchio) con le relative risposte.

    . (Centri sociali di Bologna e Mediterranea) Com’è diventato il cappellano di Mediterranea? Grazie alla frequentazione dei centri sociali Tpo e Labàs di Bologna. Un ragazzo musulmano, che frequentava la mia parrocchia, ci segnalò Yousoupha, che dormiva in stazione a Bologna ‘Aiutatemi ad aiutarlo! Yousoupha trovò riparo negli alloggi dei centri sociali.

    . Così cominciò a frequentarli? Sì, da seminarista. Nel 2018 portai Zuppi da loro. (NdR: Matteo Maria Zuppi, non ancora cardinale, era arcivescovo di Bologna dal 2015)

    . Cosa c’entra Mediterranea? Nasce nei centri sociali, da un’idea di Luca Casarini. E’ l’unica nave del soccorso civile battente bandiera italiana. Luca voleva però che fosse espressione di tutta la società, dall’Arci alla Banca Etica, dalla chiesa cattolica ai centri sociali.

    . Cosa è cambiato con questo governo? Prevale quella che il vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, ha definito ‘la peste del cuore’. Si scontrano due visioni: quella capitalista, razziale e patriarcale e quella della giustizia, della fraternità e della uguaglianza (NdR: don Matteo e anche l’arcivescovo Lorefice hanno in materia idee chiarissime… o forse annebbiate dal furore ideologico?)  

     Cosa pensa di Elly Schlein? Siamo amici da una vita, anche lei viene dalle lotte (NdR: c’era da scommetterlo! Infatti nella piddina Schlein – “nata a Lugano nella bambagia delle élite”, come scrive Il Fatto Quotidiano del 13 marzo 2023 - giustizia (quella ‘proletaria’?), uguaglianza (quella dei ‘paradisi’ rossi di non venerata memoria?) e soprattutto un incommensurabile senso di fraternità (quello che portò anche ai massacri di Vandea?) sono una cosa sola…

    . (a proposito dell’occupazione del centro sociale Spin Time di Roma, quello dell’elettricità riattaccata). Ma è legale occupare un palazzo? E’, come direbbe don Ciotti, un caso di legalità sostanziale. Chiunque entra lì rimane affascinato dalla sua bellezza. (NdR: buono questo concetto di ‘legalità sostanziale’ condito dall’estetica che lo giustifica. Lo suggerisca anche alla piddina Schlein, che ne farà argomento di future battaglie, oltre a quella appena annunciata per la cannabis libera!).  

     

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