Ricerca

    DON DAVIDE TISATO: 4 ANNI A SANT'IPPOLITO - GIOVANI IN MARCIA

    DON DAVIDE TISATO: 4 ANNI A SANT’IPPOLITO – GIOVANI IN MARCIA - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 19 settembre 2024

    Ampia intervista a don Davide Tisato, che dopo un quadriennio lascia la parrocchia romana di Sant’Ippolito martire, chiamato a reggere l’importante Seminario neocatecumenale ‘Redemptoris Mater’ di Macerata. Quattro anni intensissimi… - Giovani in marcia: qualche eco con Michela Facchiano della ‘Marcia francescana’ da L’Aquila ad Assisi e con Cecilia Barbaria del Cammino di Santiago de Compostela. Piccola galleria fotografica alla fine. 

     

    DON DAVIDE TISATO: I RAGAZZI D’ORO DI SANT’IPPOLITO

    (classe 1984. Nato a Verona, ordinato presbitero nel 2015 nella Basilica di San Pietro, dal primo settembre 2020 viceparroco nella parrocchia romana di Sant’Ippolito martire a Piazza Bologna, dal primo settembre 2024 rettore del seminario neocatecumenale Redemptoris Mater di Macerata)

    Don Davide, come mai sei capitato a Sant’Ippolito quattro anni fa?

    Nella Provvidenza di Dio, il Signore aveva pensato a un mio trasferimento a Sant’Ippolito dopo tre anni passati a Santa Maria delle Grazie a Casal Boccone. Sono venuto per obbedienza all’allora cardinale Vicario Angelo De Donatis che mi aveva assegnato il nuovo incarico. Il cardinale, quando mi chiamò, mi disse di occuparmi soprattutto dei giovani, dei ragazzi e dei bambini e anche di curare e suscitare vocazioni. Io gli chiesi: ‘Come si fa?’. E lui: ‘Soprattutto con l’esempio e con la vicinanza, vivendo insieme con loro’

    Sei arrivato il primo settembre 2020, in un periodo ancora segnato dalle restrizioni imposte dal governo per ragioni di Covid. Con che situazione parrocchiale ti sei confrontato?

    Molto particolare, come in tutte le parrocchie d’Italia. Insieme con gli altri ho cercato di tornare a quella normalità che avevamo perduto con il Covid; l’ho cercata con l’entusiasmo della novità e anche con il timore derivato dall’essere in una parrocchia grande che non conoscevo e che dovevo contribuire a far ripartire. Non facile… da ciò che sapevo Sant’Ippolito era una parrocchia piena di iniziative e di giovani.

    Quale obiettivo ti eri dato in primo luogo?

    Quello di agire in comunione con il parroco servendo nel migliore dei modi la parrocchia. Da don Manlio Asta ho ricevuto tanta fiducia … e mi sono speso fino in fondo per la parrocchia e per le sue attività…

    Il dinamismo pastorale, la capacità innovativa e organizzativa non ti sono certo mancati…

    Ho cercato di non tirarmi mai indietro di fronte alle opportunità, alle sfide che si presentavano. Quindi in collaborazione con i tanti catechisti – senza i quali non avrei potuto fare nulla – ho incominciato anche – oltre all’ordinario – a ripensare a uscite, ai campi estivi, al presepe vivente, al coro, ai vari pellegrinaggi e alle visite culturali anche in città. Mi sono sentito un po’ come un direttore d’orchestra. Era bello che a Sant’Ippolito ci fossero tanti strumenti da far suonare in armonia!

    Tra le gioie di questi quattro anni che cosa vuoi evidenziare?

    I tanti incontri, i tanti volti, le tante amicizie, le tante gratificazioni che mi venivano ad esempio dalle esperienze molto intense con i campi estivi. Il constatare quanti giovani partecipavano e partecipano alla vita della parrocchia e in particolare alla messa della domenica. Tanti anche i ministranti che ogni domenica prestano servizio a Sant’Ippolito e che recentemente sono stati premiati, essendo stati destinati a far da chierichetti al papa per la giornata mondiale dei bambini.

    E delle criticità che mi dici… sempre che ce ne siano state!

    Se per raccontare le gioie potremmo stare al telefono per ore, per quanto riguarda le criticità… non me ne vengono in mente… proprio nulla… e credo che anche questo sia un aspetto molto positivo dei quattro anni a Sant’Ippolito.

    Torniamo allora alle gioie. Qualche momento particolare da non scordare te lo ricorderai…

    Il più fresco è quello dell’ultimo campo estivo con i ragazzi del dopo Cresima al lago di Braies nelle Dolomiti: alla messa conclusiva i ragazzi hanno appeso uno striscione ‘Grazie don Davide’, che ha riassunto un po’ i quattro anni vissuti a Sant’Ippolito. Sono stati talmente pieni questi anni che è veramente difficile isolarne qualche momento… la prima Pasqua con don Manlio che era stato operato e la vicinanza a lui… i pellegrinaggi in Terrasanta, a Medjugorje, alla GMG di Lisbona, la Marcia francescana. O le riunioni settimanali con i catechisti per organizzare l’ordinario ma immettendovi lo straordinario…

    Nel settembre 2023, commentando la partecipazione alla GMG di Lisbona, dicevi (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1152-gmg-2023-sant-ippolito-roma-e-non-solo-la-speranza-e-giovane.html ): ‘Mi sono sentito privilegiato come sacerdote e guida ad accompagnare questi ragazzi … penso che siano dei ragazzi d’oro …oggi non ce ne sono tanti così! Anche loro si sentono un po’ delle mosche bianche’. Confermi?

    Sì, confermo il giudizio su questi ragazzi, perché avendoli visti crescere – siamo cresciuti insieme – ho constatato come il Signore continua ad agire in loro, a benedirli, a preservarli.

    Hai sempre evidenziato come la tua vocazione sia missionaria… e ora ti ritrovi rettore del seminario neocatecumenale ‘Redemptoris Mater’ a Macerata. Del resto nella prima gioventù hai vissuto esperienze in Terrasanta, Brasile, Madagascar, Guatemala…

    La mia vocazione missionaria è nata nel cammino neocatecumenale… da quando ho sentito che il Signore mi stava chiamando ho avvertito il desiderio della missione e della radicalità nel seguirlo. E’ stato il motivo per cui da Verona sono sceso a Roma, nel cui seminario Redemptoris Mater si è sviluppata tutta la mia formazione. Il desiderio di partire in missione non è dunque di oggi ma ha le sue radici nella mia prima chiamata.

    Però anche Roma è terra di missione…

    Certo è terra di missione ed è anche la diocesi con la più alta percentuale di sacerdoti al mondo. A Roma ho vissuto il mio sacerdozio da missionario. Il bello della missione è che non siamo noi a scegliere dove svolgerla. E’ il Signore, attraverso la Chiesa, i superiori, che mi ha chiamato a Sant’Ippolito. Oggi mi ha dato la possibilità di rimettermi in gioco inviandomi in terra marchigiana per aiutare a formare nuovi presbiteri pervasi dallo stesso spirito missionario.

    Al ‘Redemptoris Mater’ di Macerata si formano anche missionari per la Cina…un’apertura sul futuro della Chiesa?

    Sì, credo proprio di sì. La Chiesa guarda all’evangelizzazione dell’Asia, diceva Giovanni Paolo II. E qui a Macerata ci sono seminaristi da tutto il mondo, anche cinesi. Del resto Macerata è legata a doppio filo con la Cina grazie a padre Matteo Ricci…

    Con il ‘Redemptoris Mater ‘ di Roma hai anche alzato al cielo nel 2009 la ‘Clericus Cup’, come capitano della squadra che ha vinto il campionato vaticano…

    Qui a Macerata il seminario è bellissimo, esteticamente pregevole, tutto tirato a lucido… l’unica cosa da sistemare è il campo di calcio. Senti, stanno giocando e per fare la tua intervista ho dovuto rinunciare alla partita… ma recupererò. Certo nel cuore ho il Verona che sta facendo un bel campionato e deve però mettere in questa prima parte un po’ di fieno in cascina onde evitare di patire come nei campionati scorsi… e il Chievo che si sta riprendendo dopo il fallimento, si sta rialzando dopo la caduta e questo è un bell’insegnamento!

    Ti piacerebbe rivivere i quattro anni di Sant’Ippolito?

    Mi sono sembrati otto e non quattro se penso a come li abbiamo vissuti intensamente. Rivedrò Sant’Ippolito questa domenica 22 settembre con la messa delle 10.30… un condensato di emozioni!

     

    MICHELA FACCHIANO: LA MARCIA FRANCESCANA? UN’ESPERIENZA CHE COINVOLGE E ARRICCHISCE

    (classe 2004, liceo scientifico Amedeo Avogadro di Roma, III anno facoltà di Farmacia e Medicina, dipartimento di chimica e tecnologia farmaceutiche)

    Michela, che cosa ti ha spinto quest’anno a vivere l’esperienza della Marcia francescana di fine luglio-inizio agosto?

    In realtà è stato tutto un po’ casuale. Come gruppo giovani della parrocchia siamo seguiti da una coppia molto legata a San Francesco e ai francescani. E’ così che ci è stata proposta la partecipazione alla Marcia da L’Aquila ad Assisi dal 25 luglio al 2 agosto. La coppia aveva già fatto l’esperienza e ce l’ha consigliata fortemente anche come ristoro dopo un anno intenso di studi… quasi tutti noi siamo universitari e nella seconda metà di luglio abbiamo finito gli esami. Si presentava un’occasione per riconnettersi con se stessi dopo che per mesi ci si era dedicati ad altro.  Come gruppo di amici abbiamo aderito…

    Sapevate a che cosa andavate incontro?

    Francamente non ci aspettavamo che l’esperienza sarebbe stata così profonda sul piano spirituale oltre che impegnativa su quello fisico.

    Incominciamo dall’impegno fisico…

    Si camminava ogni giorno per 20-27 chilometri… e la mattina il problema era la sveglia alle 4/4 e mezzo perché naturalmente si cercava di marciare nelle ore più fresche…

    A che ora la partenza?

    Alle 5/5.30. Eravamo in totale in 150 – tra i quali una ventina di Sant’Ippolito, tra gruppo giovani e ultimo anno del dopo-cresima, accompagnati da una coppia che in parrocchia segue questi ultimi e da don Davide Tisato - tra marciatori e ragazzi del servizio. Avevamo un’ora per svegliarci, alzarci, chiudere gli zaini, fare colazione, possibilmente (ma non così scontato perché i bagni erano pochi per tutti noi) andare al bagno…Si facevano di fila generalmente una decina di chilometri, poi una pausa di un’ora per merenda, lodi e catechesi da parte di un frate francescano o di una suora, infine un’altra quindicina di chilometri con la prima ora caratterizzata dal silenzio meditativo su quanto ascoltato… il tema principale era il dolore, era l’angoscia…

    …. Non proprio allegro! Ma era una marcia penitenziale?

    Il tema non era per niente allegro… ma ne sono nate belle riflessioni, pure se lo spunto non era dei più sereni!  Arrivavamo nella struttura destinata ad ospitarci più o meno all’ora di pranzo. Nei primi giorni faticavamo a rispettare i tempi, arrivavamo più tardi affamati e accaldati. Poi si mangiava, si riposava, si lavava la gavetta, i panni… portando uno zaino da 8 kg avevamo tre cambi a testa e dunque dovevamo lavare quotidianamente. Poi la messa, la cena, un po’ di animazione serale e si andava a dormire non così presto… abbiamo dormito poco!

    Quale il percorso seguito?

    Siamo partiti da L’Aquila, dove ci siamo ritrovati il 25 luglio, il 26 abbiamo incominciato a marciare per raggiungere Assisi/Santa Maria degli Angeli il 2 agosto, giorno della Perdonanza.

     Com’è stato l’arrivo?

    Emozionante. Lo aspettavi da giorni. Siamo stati accolti calorosamente, con grida e applausi, non solo dagli altri pellegrini ma anche da persone che ogni anno non volevano perdersi l’appuntamento. Emozionante anche perché… l’ingresso in Porziuncola dopo che avevi ancora nelle orecchie il grande rumore degli applausi e della musica… arrivavi in un luogo del silenzio, della pace esteriore e interiore.

    L’esperienza spirituale durante la Marcia?

    Molto bella. Ognuno naturalmente se l’è vissuta a modo suo. Per me è stata molto toccante. Venendo da mesi di studio molto intensi, il fatto di vivere tanti giorni pensando a sé, al proprio rapporto con gli altri e con Dio, è stato fondamentale, corroborante. E’ qualcosa difficile da descrivere questo tempo… c’è un tempo anche per riflettere, molto bello anche condividerlo con don Davide.

    Mai durante la Marcia ti è passata per la testa la domanda: ma chi me lo fa fare?

    Sempre, tutti i giorni, soprattutto i primi. Quando, il 26 luglio, ad esempio ci siamo ritrovati a fare una salita (che non finiva più) all’ora di pranzo con il sole cocente e senza alberi. L’arrivo alla struttura che ci avrebbe ospitati è avvenuto con forte ritardo rispetto al previsto … eravamo stremati… anche i veterani avevano molto sofferto! E il giorno dopo, altra salita micidiale per arrivare a Posta, sulla Salaria, trovando inizialmente una struttura troppo piccola per noi (poi abbiamo risolto). A Leonessa abbiamo fatto la sosta per la merenda, le lodi e la catechesi per poi raggiungere, mi sembra, Monteleone. Non ho con me la Carta del Pellegrino, in cui ogni sera scrivevamo le nostre emozioni e poi facevamo firmare il tutto a una persona che avevamo considerato ‘speciale’ in quel giorno.

    Scommetto che avrai fatto firmare anche don Davide…

    Sì, dopo il ritiro a Montefalco: un giorno di sosta per tutti i marciatori. Noi stavamo vicino al santuario della Madonna delle Stelle, dove ci siamo confessati… un altro momento molto toccante…lì abbiamo sperimentato la misericordia di Dio…

    Ti vedo ancora ben carica…ripeteresti l’esperienza?

    Non so, vedremo. Deve capitare di nuovo un caso in cui mi venga riproposta. Sicuramente l’esperienza è stata spiritualmente gratificante, certo fisicamente impegnativa…

    Però sei ancora viva…

    Ho avuto un po’ di male alla caviglia per qualche settimana, poi è passata. Rifarei l’esperienza? Se ricordo i primi due giorni, quando quel ‘Ma chi me lo fa fare?’ mi risuonava continuamente in testa, ci dovrei ripensare con calma.

     

    CECILIA BARBARIA: LUNGO IL CAMMINO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA HO RITROVATO ME STESSA

    (classe 1996, liceo classico Giulio Cesare di Roma, laurea in Medicina e Chirurgia presso La Sapienza di Roma, II anno di specializzazione)

    Cecilia, come mai hai deciso di vivere quest’estate il Cammino di Santiago de Compostela?

    Mi sono accodata a due dei miei fratelli, Paolo e Davide, che avevano deciso di partire con la parrocchia di  San Gregorio Barbarigo all’Eur.   Dopo essermi iscritta sono sorti in me alcuni dubbi, perché pensavo che per me il Cammino sarebbe stato troppo difficile, che non ce l’avrei fatta fisicamente… si prospettavano 116 chilometri a piedi…

    116?

    Sì, gli ultimi del Cammino storico ‘francese’. Con partenza da Sarria., in Galizia, e tappe a Portomarin, Palas de Rei, Melide, Arzua, Pedrouzo, infine arrivo a Santiago de Compostela. Il tutto da fare in sei giorni. Non mi sentivo proprio all’altezza di farcela…

    E invece…

    Invece ce l’ho fatta. Eravamo in un centinaio, in parte neocatecumenali, guidati dal parroco…

    Che cosa ti aspettavi dal pellegrinaggio?

    Non avevo grandi aspettative… mi dicevo: è un pellegrinaggio, sarà una bella esperienza. Del resto, quando mi ero iscritta, intuivo che il pellegrinaggio veniva al momento giusto, in un momento critico della mia vita… speravo che avrei ricevuto una Parola ristoratrice e che dunque il Cammino mi avrebbe giovato dal punto di vista spirituale. Così è stato.

    E la temuta fatica fisica?

    Si è fatta sentire tanto, soprattutto nei primi due giorni, quando abbiamo percorso rispettivamente 25 e 30 chilometri. Non sono marciatrice collaudata e quei chilometri li ho sentiti tutti…

    Come si svolgeva la giornata?

    Verso le cinque la sveglia, poi la colazione e ci mettevamo in marcia fino a pranzo, per evitare i raggi micidiali del sole. In ostello poi ognuno lavava le proprie cose, seguiva la messa e talvolta la meditazione. Poi facevamo gli acquisti necessari nei paesini che raggiungevamo.

    Che cosa ti ha dato il Cammino dal punto di vista dei rapporti umani?

    Sono partita con un gruppo di sconosciuti. Però durante il Cammino ho avuto la felice possibilità di conoscere tante storie diverse di vita, che mi hanno molto aiutato a prendere coscienza della mia di vita. HO potuto stabilire legami forti che persistono. Poi il Cammino mi ha anche insegnato a vivere con poco. Ero abituata a riempire valigione di abiti e per l’occasione avevo invece uno zaino con tre magliette, due pantaloni e poco altro.

    Che cos’ altro hai imparato?

    A stare in una comunità, io che normalmente sono un po’ principessina…

    E poi?

    All’inizio mi chiedevo: ‘Ma chi me lo fa fare di svegliarmi alle cinque del mattino e camminare fino a mezzogiorno? Però durante il Cammino mi è stata data la Parola e quando siamo arrivati davanti alla cattedrale di Santiago de Compostela ci siamo tutti sdraiati a guardare il cielo. Questo per ricordarci che nelle situazioni di crisi c’è Qualcuno che da Lassù può tenderci la mano e aiutarci a ritrovare la pace interiore.

    Per concludere, consiglieresti il Cammino di Santiago de Compostela ai tuoi coetanei?

    Assolutamente sì. E’ un’esperienza che porta serenità e gioia. E’ difficile da spiegare a parole. Bisogna proprio viverla.

      

    Ricerca