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    ITALIA: LE ZAPATERE NON PASSANO

    REGIONALI: LA CADUTA DELLE PASIONARIE - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI APRILE 2010 - DI GIUSEPPE RUSCONI

     

    Si può ben ritenere che uno dei rischi principali delle elezioni regionali risiedesse nella possibilità che tre regioni importanti del Nord, del Centro, del Sud ne uscissero con vincitori zapaterici.

    Si sarebbe così creato un asse filo-radicale a partire dal quale – come affermava uno speranzoso Marco Pannella nel pomeriggio del 29 marzo (mentre incominciavano a giungere i primi risultati elettorali) – si sarebbe potuto tentare “di rovesciare questi ultimi sessant’anni immorali, peggio che quelli della dittatura fascista”. Soprattutto, continuava Pannella, forte era la speranza di “battere la linea reazionaria in Piemonte”. Priorità addirittura “assoluta” era quella di “strappare il Lazio al ritorno al peggio dell’altro secolo”, così da fare del Lazio e di Roma “la base della resistenza laica, radicale, non violenta”. Sempre Pannella invitava già “a iscriversi alla resistenza organizzata”, essendo giunto “il momento dell’Aux armes, citoyens “ (con la precisazione che “l’arma vincente è quella della non-violenza”). In questo suo crescendo rossiniano Pannella esaltava “il mondo cattolico”, che “si è confermato con noi, come è stato già negli Anni Settanta e Ottanta in cui ci ha dato trionfi di civiltà”.

    Qualche ora dopo anche Pannella s’è dovuto arrendere alle cifre impietose: la piattaforma  sovraregionale da cui sarebbe partita la ‘lunga marcia’ laicista dentro le istituzioni non si era concretizzata. Solo in Puglia, a causa dei gravi errori elettorali degli avversari, Vendola era stato riconfermato. Nel Piemonte, dove la Bresso partiva favorita come governatrice uscente e dunque detentrice di un potere ‘quotidiano’ molto utile in caso di elezioni, si era imposto – pur se di poco – lo sfidante leghista Roberto Cota. Nel Lazio, la Regione con la più forte carica simbolica, la Bonino partiva favorita sia per l’immagine mediatica gentilmente regalatale da anni dalla maggior parte della stampa che per gli incredibili pasticci combinati dagli avversari (e qui ci riferiamo all’assenza della lista del pdl di Berlusconi dalla competizione elettorale nella provincia di Roma, comprendente la capitale). La Bonino ha vinto a Roma, com’era – date le circostanze – quasi inevitabile, ma è stata bocciata in maniera massiccia nelle altre province. E alla fine i suoi conti non sono tornati.

    Si può ragionevolmente pensare che in Piemonte il successo di Roberto Cota sia dovuto non tanto ai grillini (che non avrebbero comunque votato la Bresso), ma proprio al voto della maggioranza dei cattolici, non pochi dei quali si sono distanziati dall’Udc di Casini che - in funzione antileghista e speranzosa di un posticino al sole in giunta regionale - aveva preferito l’alleanza con la governatrice uscente, di radici zapateriche venute allo scoperto anche in occasioni recenti. Certamente altri cattolici si sono convinti a non votare la Bresso proprio negli ultimi giorni,  fors’anche per le prese di posizione della Cei sui valori irrinunciabili (e dopo che qualche presule aveva dovuto correggere certe sue affermazioni in sostanza pro-Bresso in un’intervista pubblicata con grande rilievo da “Avvenire”). Del resto Roberto Cota ha firmato un patto chiaro con il Movimento per la Vita, i cui contenuti condivide anche personalmente.

    E nel Lazio? Qui non sono mancati sbandamenti gravi tra i cattolici in campagna elettorale, tali da giustificare l’ottimismo pannelliano dei primi momenti del pomeriggio elettorale. Basta ricordare chi c’era nelle liste per la Bonino, basta ricordare chi – cattolico più radicale dei radicali – ha subito appoggiato la candidatura anticattolica (anche qui speranzoso di occupare un buon posto alla tavola dei vincitori), basta magari ricordare che ci sono stati sacerdoti che hanno cercato di convincere, che so, le ‘pie donne’ a mettere la croce sulla Bonino adducendo che con lei la questione dell’aborto sarebbe stata risolta molto meglio (!!!). La Bonino stessa, così consigliata dai suoi guru, aveva pensato bene di mettere la sordina alla polemica anticattolica. Tutto ciò però non ha portato al risultato sperato. E qui niente ci toglie dalla testa che la “Nota” del Vicariato (vedi anche “Rossoporpora” del numero di marzo) – sempre sui valori irrinunciabili – con relativo (pur se discreto) pressing, sia stata decisiva. Decisiva per convincere alcune migliaia di cattolici delusi e propensi all’astensione ad andare a votare contro la Bonino, decisiva per convincerne altri – accecati da un antiberlusconismo viscerale, insomma irriducibili o quasi -  a votare almeno in modo disgiunto (la lista di sinistra e, come candidata, invece, la Polverini). Soprattutto nel Lazio il voto ‘contro’ è stato decisivo: certo molti cattolici non hanno votato in primo luogo per la candidata di centro-destra, ma contro la candidata di centro-sinistra. Così che la Bonino (con tutto quanto le ruota intorno) ha dovuto rimettere nel cassetto il sogno (mai a portata di mano come stavolta) di un Lazio anticattolico, laboratorio di un homo novus per un’Italia zapaterizzata. Visti i tempi, è stato quasi un miracolo. .    

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