PER RIVLIN IN SINAGOGA ACCENTI EBRAICI DIVERSI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 6 settembre 2015
La sera di giovedì 2 settembre il neo-presidente israeliano Rivlin è stato accolto festosamente nel Tempio Maggiore dalla comunità ebraica romana – Nel suo intervento (di spessore) ha anche evidenziato quanto detto in mattinata al Papa sulla sua decisione fin da bambino di servire un futuro Stato di Israele caratterizzato dalla libertà piena di credenza per tutti – Discorsi di benvenuto con accenti identitari diversi da parte di Ruth Dureghello, Renzo Gattegna, Riccardo Di Segni.
E’ stato un incontro festoso, chiusosi con il canto corale dell’inno nazionale israeliano, l’ Hatikvah (La speranza, quella di tornare un giorno a Sion, alla terra degli avi), che, composto verso la fine dell’Ottocento, conserva una forte suggestione sia per il testo che per la musica (ricorda da vicino la Moldavadi Smetana). Non solo festoso, ma anche ricco di contenuti, considerata la varietà delle riflessioni offerte da chi si è avvicendato al microfono. In sostanza negli interventi sono emersi accenti diversi di carattere identitario, in rapporto con lo Stato di Israele: c’è chi ha evidenziato in primo luogo l’assoluta necessità per l’ebraismo dell’esistenza di Israele (indipendentemente dal colore del suo governo) e chi invece ha postulato con forza un Israele compiutamente democratico per tutti i suoi cittadini. In sintesi il presidente Rivlin si è posto con equilibrio tra queste due esigenze, riconoscendo le buone ragioni degli uni e degli altri.
Incontrato in mattinata papa Francesco (in un colloquio certo cordiale ma non privo di contenuti forti) e successivamente il presidente italiano Mattarella, Reuven Rivlin è entrato nel Tempio Maggiore poco dopo le ventuno, salutato calorosamente dai cinquecento convenuti e dal dispiegarsi di una grande bandiera israeliana a rappresentarne altre centinaia, quelle che i presenti sventolavano nel loro cuore. Il vicepresidente e assessore alle Relazioni istituzionali della Comunità ebraica Ruben Della Rocca ha condotto l’incontro, dando prima la parola alla nuova presidente della Comunità Ruth Dureghello. Che ha svolto un intervento fortemente identitario. Come si può evincere dalle citazioni che seguono.
RUTH DUREGHELLO: ORGOGLIOSI DI ESSERE ITALIANI, MA ISRAELE E’ PARTE DI NOI STESSI
“La nostra è una storia orgogliosa – ha detto Ruth Dureghello, nel suo intervento spesso molto applaudito – di una comunità che ha contribuito alla nascita e alla crescita di questo Paese e di questa città”. Qui la neo-presidente ha ricordato tra i tanti (si può presumere non a caso) Giacomo Segre, “il capitano che condusse la presa di porta Pia”. Ed anche il sindaco Ernesto Nathan (NdR: pure non eletto tanto in quanto ebreo, quanto come massone), “che governò egregiamente la città di Roma”.
L’orribile attentato palestinese del 1982 (in cui morì il piccolo Stefano Gaj Taché) fu un tragico, inaspettato richiamo alla realtà secondo Ruth Dureghello: “Quel giorno cambiò la vita della nostra Comunità. Capimmo sulla nostra pelle come l’odio nei confronti di Israele fosse l’alibi per nascondere l’atavico sentimento antisemita”. Perché “non fummo colpiti per il nostro sostegno ad Israele, ma perché ebrei”. La storia si ripete anche oggi: “Con la scusa di voler osteggiare Israele, numerose comunità in Europa hanno subito attentati antisemiti”. Come dobbiamo reagire? “Noi non abbiamo paura, non possiamo averla. (…) Questa Comunità non cede al ricatto di chi vorrebbe che gli ebrei si nascondessero”. Del resto “abbiamo una scuola che forma alla vita ebraica i nostri figli, dall’asilo fino al liceo, e che insegna loro che essere ebrei è una cosa bellissima”
Molto intenso poi il passo sui rapporti con Israele: “Questa è una Comunità particolare, unica forse al mondo. Signor presidente, non ne troverà nessuna con un amore così forte per lo Stato di Israele. Noi siamo dalla parte di Israele a prescindere da chi lo governa, non ci interessa il nome del primo ministro e del partito di provenienza. Noi siamo per Israele perché sentiamo Israele come una parte di noi stessi”. Certamente “siamo orgogliosi di essere cittadini italiani e, pur volendo tenere distinti la nostra ebraicità e il nostro sostegno a Israele, sappiamo che questo Stato è l’unica garanzia di sopravvivenza per il popolo ebraico”. Qui Ruth Dureghello ha toccato anche il tema controverso dell’ Aliyah, del “pellegrinaggio” a Sion, del ritorno in Israele: “Noi sosteniamo l’Aliyah dei nostri iscritti e auspichiamo il ritorno a casa degli ebrei di tutto il mondo”. Del resto “molti dei nostri ragazzi scelgono di andare a studiare nelle università israeliane, nelle yeshivot (centri di studio dei testi sacri) o vanno per arruolarsi nella Zava (servizio militare che dura quasi tre anni) combattendo valorosamente. (…) Siamo fieri di loro e delle loro scelte”. Sicuramente “abbiamo un legame indissolubile con questi fratelli, perché il futuro della nostra Comunità dipende dal modo in cui riusciremo a mantenere viva Roma, lì in Israele”. Conclusione di Ruth Dureghello, tra forti applausi: ”Am Israel Hai, il popolo di Israele vive”
RENZO GATTEGNA: PER UN ISRAELE PIENAMENTE DEMOCRATICO, CONTRO OGNI FONDAMENTALISMO
Toni assai diversi nell’intervento di Renzo Gattegna (pure applaudito), presidente dell’Unione comunità ebraiche italiane. I suoi contenuti principali? L’amicizia tra Italia e Israele fin dalla nascita dello Stato ebraico e la sottolineatura di alcuni aspetti della personalità di Reuven Rivlin. Il primo: la famiglia del presidente israeliano si è stabilita a Gerusalemme fin dal 1809 e il padre di Rivlin è stato il primo a tradurre il Corano in ebraico. Il secondo: “Come ministro delle comunicazioni e come presidente della Knesset, Lei – ha detto Gattegna rivolgendosi all’illustre ospite – si è conquistato la stima e la fiducia di tutti i partiti e di tutte le minoranze politiche e religiose per la sua equanimità, il suo equilibrio e per il rispetto scrupoloso di tutti i principi ispiratori della democrazia israeliana: libertà, democrazia, fratellanza e rispetto di ogni singola individualità a prescindere dall’origine, dall’estrazione sociale e culturale, dal credo religioso”.
A questo punto il presidente dell’Ucei ha citato alcune affermazioni di Rivlin, che “ben sintetizzano” il suo pensiero:
. “Preferisco avere i palestinesi nostri concittadini, anziché Israele e Cisgiordania divise”
. “Oggi ci sono persone esaltate che pensano che uno Stato democratico ed ebraico sia democratico solo per gli ebrei”
. “E’ indispensabile lottare contro il fondamentalismo in qualsiasi forma si presenti”
. “La pace tra israeliani e palestinesi non può essere imposta. Bisogna costruire la fiducia attraverso il dialogo”
. “I rappresentanti dell’Autorità palestinese avranno difficoltà a far accettare al loro popolo anche la più favorevole delle soluzioni dei due Stati dopo anni di incitamento all’odio e alla distruzione di Israele”
RICCARDO DI SEGNI: BISOGNA NON FERMARSI ED AVERE FIDUCIA
A chiudere gli indirizzi di saluto il Rabbino Capo di Roma. Riccardi Di Segni ha sintetizzato la storia del Tempio Maggiore, edificato in forma monumentale nel 1904: “Ha significato l’inizio di una nuova era con grandi speranze e cocenti delusioni. Ha passato i dolori della Shoah, è stato colpito dal terrorismo palestinese”, ma è anche luogo in cui gli ebrei romani si ritrovano per esprimere preoccupazioni e gioie, “luogo visitato da Re, Papi, da Presidenti e Ministri, inaugurato otto mesi dopo la visita di Theodor Herzl a Roma”. Di Segni ha poi ricordato un’ascendenza romana della famiglia Rivlin, risalente a mille anni fa e ha aggiunto: “Mille anni sono tanti, ma sono meno della metà della storia degli ebrei di questa città”. Oggi, pur “in un momento storico di sostanziale benessere per il popolo ebraico e lo Stato d’Israele”, non mancano comunque problemi e “pericoli che ci minacciano”. Perciò “bisogna non fermarsi ed avere fiducia. E’ quello che fanno i nostri fratelli nello Stato di Israele, è quello che dovremmo fare tutti quanti qui”.
REUVEN RIVLIN: AL PAPA HO DETTO CHE…
Come già detto il discorso del presidente israeliano è stato tutt’altro che formale. C’è stato spazio anche per l’incontro in mattinata con papa Francesco, invitato a una seconda visita in Israele dopo quella del maggio 2014. Al Papa Reuven Rivlin ha ricordato un impegno preciso assunto in tenera età: “Io sono nato una decina d’anni prima dello Stato di Israele. Ero a Gerusalemme e già a cinque anni frequentavo la Sinagoga e leggevo i sacri testi. Eravamo ancora sotto mandato britannico. Ebbene, fin da quel tempo mi ero ripromesso che, se un giorno avessi ricoperto un incarico pubblico, avrei difeso strenuamente alcuni valori e in primo luogo il diritto riconosciuto a ogni cittadino di professare la religione in cui crede”. Mentre nei colloqui vaticani il presidente di Israele aveva toccato anche argomenti di relazioni bilaterali come la questione dei tagli delle sovvenzioni pubbliche alle scuole cattoliche (in sciopero da mesi per protesta), l’annoso perfezionamento dell’accordo bilaterale (negoziati avviati nel 1999…), l’emergere di un preoccupante fondamentalismo ebraico, la vicenda della costruzione del muro nella valle di Cremisan, in Sinagoga Rivlin ha puntato il dito contro l’accordo Ira-Usa sul nucleare iraniano: “La minaccia è terrificante per il mondo intero. Perché non può bastare una firma per trasformare l’Iran in una socia onoraria delle nazioni. Un’estate di diplomazia non può cambiare la realtà in modo così radicale”. Del resto “un vero cambiamento non può avvenire in un attimo. Se si è a favore della pace, lo si deve provare giorno per giorno, non con il rifiuto dell’esistenza di Israele e con il sostegno al terrorismo”. A proposito dei rapporti israelo-palestinesi ha invece rilevato Rivlin che “lo Stato di Israele chiede con forza il ritorno ai negoziati diretti con la dirigenza palestinese. Il negoziato deve essere aperto, con ascolto reciproco, tenendo conto della sicurezza delle due parti. Questa è l’unica strada”.
Sull’Aliyah il presidente ha voluto evidenziare che l’invito a venire in Israele “non è una questione politica e non rimette in discussione il diritto degli ebrei di vivere da uguali in qualunque altro Paese” . Certamente, ha continuato tra vivi applausi, “siamo felici per ogni ebreo che decide di prendere parte attiva e far parte dello Stato ebraico”. Che si caratterizza come “Stato democratico ed egualitario che rispetta ebrei, cristiani, musulmani, drusi e circassi”(altri vivi applausi).
Poi gli auguri per l’imminente Capodanno ebraico (Rosh Hashana) a metà del mese, lo scambio di doni, l’esecuzione di un canto da parte di una trentina di bambini di bianco vestiti della scuola ebraica, l’Inno di Mameli intonato dal coro della Comunità e quello di Israele. Alla porta della Sinagoga i beneauguranti barattolini di miele “Shanà Tovà” (Buon Anno) offerti dalla Deputazione ebraica di assistenza e servizio sociale di Roma. In Sinagoga anche il rabbino argentino Abraham Skorka (grande amico di papa Francesco) e una delegazione della Comunità di Sant’Egidio capeggiata da Andrea Riccardi, Marco Impagliazzo e il vescovo Ambrogio Spreafico.