PREMESSA D’ATTUALITA’, POI LIBRI: MIGRANTI, PINTORICCHIO E GIULIA FARNESE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org - 8 settembre 2017
Dopo qualche riflessione sulla morte del cardinale Carlo Caffarra, alcune considerazioni su un ‘pamphlet’ attualissimo come “Migranti!?, Migranti!? Migranti!?” di Anna Bono e sullo splendido catalogo della mostra capitolina “Pintoricchio, pittore dei Borgia . Il mistero svelato di Giulia Farnese”
UNA PREMESSA D’ATTUALITA’
E’ venuto a mancare il 6 settembre il settantanovenne cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna. Ha combattuto la buona battaglia dentro una Chiesa i cui vertici e le loro propaggini, con il loro comportamento ambiguo in materia di vita e di famiglia, gli avevano procurato un grande dolore. Fedele alla dottrina sociale, era uno dei cardinali dei ‘dubia’, uno dei quattro espostisi pubblicamente con il coraggio derivato dall’amore per la Chiesa e per l’uomo. Ora i quattro sono restati in due, dopo la morte improvvisa sia di Joachim Meisner (5 luglio scorso) che appunto di Carlo Caffarra, ambedue profondamente amareggiati per il ‘nuovo corso’ che rende ‘fluido’ il cattolicesimo - omogeneo alla società incui viviamo. E si sa che la sofferenza, anche quella interiore, non è certo benefica per la salute. Suonano come espressione penosa di ipocrisia clericale gli omaggi postumi (dopo i tanti attacchi sprezzanti a firma Moia) dell’ ‘Avvenire’ galantino, peraltro tutti tesi (in prima linea proprio quello del citato Turiferario Guastalamessa) a minimizzare le divergenze di Caffarra con il ‘misericordioso’ inquilino di Santa Marta. A tale proposito basta (e avanza) ricordare un fatto accaduto il 2 aprile di quest’anno durante il pranzo organizzato presso il Seminario vescovile per la visita a Carpi di Francesco: Caffarra sedeva alla destra di Bergoglio, da cui però è stato ignorato per tutto il tempo, preferendo il Papa – che ai ‘dubia’ non ha mai voluto dare risposta né mai ha voluto ricevere in udienza i ‘quattro cardinali’ – conversare con un anziano sacerdote e con alcuni giovani seminaristi.
Per finire: sepolcri imbiancati quelli dell’ ‘Avvenire’ galantino (che tra poco sarà acquisito direttamente da Santa Marta attraverso il neo-direttore Turiferario Maggiore, al secolo Andrea Tornielli), palesemente sprezzante e intriso di rancore invece il necrologio di Caffarra apparso il 6 settembre su un sito che sguazza nella melma del sottobosco vaticano (quello di cui è ‘dominus’ il vaticanista dell’Agi).
“MIGRANTI !?”: LE UTILISSIME, INELUDIBILI RIFLESSIONI DI ANNA BONO
Di Anna Bono apprezziamo da anni le analisi (acute) che pubblica assai spesso su La Nuova Bussola Quotidiana soprattutto in materia di migrazioni, Africa, ambiente, sviluppo. Ora abbiamo un motivo in più per continuare ad apprezzarla, dando nel contempo un piccolo contributo alla condivisione delle sue riflessioni con i nostri lettori. E’ infatti uscito da poco, per i tipi delle Edizioni Segno, un pamphlet dal titolo quanto mai significativo: “Migranti!? Migranti!? Migranti!?”. E’ un argomento di cui Anna Bono può parlare con (grande) conoscenza di causa, avendo alle spalle dieci anni sul campo in Africa (Kenya), avendo diretto per sei anni (fino al 2010) il Dipartimento Sviluppo umano del Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo (Cespas), avendo collaborato a lungo sia con il Ministero degli esteri che con l’Università pontificia Regina Apostolorum ed essendo stata fino al 2015 ricercatore in ‘Storia e istituzioni dell’Africa’ presso l’Università di Torino.
Come annota nella prefazione Stefano Fontana (direttore dell’ ‘Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân’), quella di conoscere “le cause prossime e remote, palesi e occulte” è oggi un imperativo per chi vuol rendersi conto del fenomeno migratorio senza lasciarsi stordire dalla confusione creata ad arte in quell’ambito. Per Fontana “i dati raccolti da Anna Bono, le sue osservazioni e le sue valutazioni” sono un buon servizio reso alla realtà dei fatti: “Ci dicono come stanno le cose (…) e mettono in evidenza come tanti aspetti delle migrazioni si vogliano tenere ad arte nascosti”.
Qualche spunto.
. Terminologia: “Considerare gli emigranti clandestini come dei rifugiati. (…) La confusione terminologica non aiuta a capire che cosa sta succedendo e perché. Ma, in compenso, è servita a consentire l’ingresso in Italia, e in Europa, di milioni di persone che altrimenti sarebbero state respinte alle frontiere mentre tentavano di superarle illegalmente”.
. Problema diventato in primo luogo italiano: “Il primo fatto che emerge dai dati (…) è che nel 2016 quello dell’emigrazione illegale è diventato un problema soprattutto italiano. (…) L’incremento degli arrivi si deve al fatto che altre rotte sono state quasi del tutto abbandonate o bloccate. (…) L’altro motivo per cui l’emigrazione illegale è diventata un fenomeno più che altro italiano è il notevole aumento del numero di immigrati che, per loro scelta o per forza, rimangono in Italia”
. Il ‘caso’ svedese: “Nel 2016 il governo svedese ha ammesso di essere del tutto incapace di mantenere gli standard di ospitalità offerti agli immigrati. A questa conclusione ha portato la constatazione che dei 163.000 richiedenti asilo accolti nel 2015, una cifra record per la Svezia, a distanza di un anno meno di 500 avevano trovato un lavoro regolare e pagavano le tasse. Quindi la quasi totalità degli immigrati continuavano a dipendere per vivere dall’apparato assistenziale statale: per il governo svedese, una situazione di per sé economicamente insostenibile e che inoltre (…) genera altri gravi problemi economici e sociali. Di qui la decisione non solo di fermare gli ingressi, ma di avviare un programma di rimpatrio, se necessario forzato”.
. Il ‘caso’ danese: “La Danimarca ha approvato una legge che prevede la confisca di denaro e beni, inclusi orologi, telefoni cellulari e computer, di valore superiore a 10.000 corone (1340 euro) di proprietà dei richiedenti asilo, per contribuire a sostenere il costo della loro assistenza”.
.Migranti dall’Africa: “Gli immigrati arrivati in Italia negli ultimi due anni provengono in gran parte dall’Africa e sono per lo più dei maschi giovani. (…) si vedono ormai dappertutto e a ogni ora del giorno: ragazzi ben vestiti, disinvolti, spesso con uno smartphone in mano, molti in bicicletta (…)
. Che idea si fanno molti italiani? “Sempre più gli italiani si convincono, anche senza conoscere i dati del Ministero dell’Interno sulle richieste di asilo accolte, che con guerre e povertà tutti quei ragazzi che sbarcano in Italia hanno poco a che fare perché – pensa la gente – se davvero fossero fuggiti, come sostengono che sia, da conflitti e persecuzioni, da miseria e fame, apprezzerebbero di essere nutriti, vestiti, alloggiati, curati (…) Questo pensa la gente, non senza ragione”.
. Il ‘caso’ Senegal (Paese da cui provengono molti migranti): “Il Senegal, ad esempio, non è in guerra ed è una democrazia, per quanto imperfetta (…) Minoranze, avversari politici, partiti e movimenti all’opposizione non sono repressi e perseguitati né si verificano casi clamorosi di censura e intimidazione dei mass media. Inoltre il Paese è in costante sviluppo. (…) Non si spiega un simile, improvviso, crescente flusso di emigranti clandestini da un Paese in forte crescita economica, stabile dal punto di vista politico e anche relativamente al sicuro da infiltrazioni e attacchi jihadisti. (…) Sostiene Souleymane Jules Diop, ministro dei senegalesi all’estero (che) a partire sono ragazzi e uomini con una posizione sociale ed economica discreta ed addirittura invidiabile: insegnati, impiegati pubblici, persino docenti universitari, il che fa dire al ministro ‘Qui la gente non parte perché non ha niente, se ne va perché vuole di meglio e di più’ “.
. Emigrazione paradossale: “Fatto del tutto anomalo, da alcuni anni milioni di persone pensano di risolvere i loro problemi, addirittura di fare fortuna, emigrando, per giunta illegalmente, in un continente in difficoltà, l’Europa, e in un Paese che lo è di più ancora. (…) La maggior parte delle storie raccolte (NdR: dai migranti) hanno qualcosa in comune: l’evidente convinzione che l’Europa, l’Italia siano terre di abbondanza e benessere, talmente ricche, sicure e traboccanti di ogni ben di Dio che basti raggiungerle per goderne, risolvere ogni problema, realizzare le proprie aspirazioni”.
. Motivi dell’emigrazione verso l’Europa/Italia: “La convinzione che gli europei, i ‘bianchi’ in generale, siano tutti ricchi e quindi tutti possano diventarlo trasferendosi in Europa, deriva innanzi tutto dal fatto che in Africa (…) è quasi impossibile imbattersi in un europeo povero. (…) Se lo stile di vita degli europei che lavorano in Africa di solito è grandioso, quello dei turisti è addirittura sfarzoso. (…) Un ulteriore fattore, più importante ancora, alimenta l’idea di un Eldorado a portata di mano. E’ il flusso immenso e inesauribile di risorse che da decenni arrivano dall’Europa, dall’Occidente. Anche se non può rendersi conto della quantità astronomica di denaro destinato all’Africa ogni anno, non c’è africano che non abbia esperienza di aiuti umanitari e per lo sviluppo. (…) Infine ci sono gli emigranti stessi che mandano notizie sulla loro vita all’estero e, soprattutto, mandano rimesse (…) Senza dubbio un famigliare emigrato è una fortuna. Così prende forma il progetto di mandare un parente giovane a lavorare all’estero”.
. Minori in aumento: “Far partire un minore è la scelta più sicura perché, una volta approdato sulle coste europee, comunque non viene rimpatriato e anzi ha diritto al ricongiungimento familiare che consente ai suoi parenti, se lo desiderano, di raggiungerlo. Così decine di migliaia di minori vengono affidati ai trafficanti. Molti sono solo dei bambini.
. Così l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste, esperto di dottrina sociale della Chiesa (vedi il ‘Compendio’ del 2004): “Se esiste un diritto a emigrare, non esiste però un diritto assoluto a immigrare, ossia ad entrare in ogni caso in un altro Paese. In altri termini, i Paesi di destinazione hanno il diritto di governare le immigrazioni e di stabilire delle regole per l’accesso e l’integrazione degli immigrati nella loro società. Principi elementari di diritto umanitario dicono che chi arriva deve essere accolto e accudito, ma i governi devono anche pensare al bene comune della propria nazione nei cui confronti le immigrazioni possono diventare una minaccia. Tra i criteri per la difesa del bene comune nelle politiche migratorie c’è anche il dovere di salvaguardare la propria identità culturale e garantire una integrazione effettiva. (…) L’accoglienza del prossimo non può essere cieca o solo sentimentale, la speranza di chi emigra va fatta convivere con la speranza della società che li accoglie”. (Anna Bono ricorda poi anche quanto detto da papa Francesco - in materia di ‘prudenza’ per ‘governare’ l’immigrazione – in occasione della conferenza-stampa in aereo di ritorno dalla Svezia)
. Dalla confusione l’incapacità di capire: “Da questa confusione (NdR: tra rifugiato e migrante), involontaria o deliberata che sia, deriva l’incapacità di capire che, almeno per quel che riguarda l’Italia, ma anche per gran parte dell’Europa, il problema da affrontare non sono le ormai poche migliaia di profughi che chiedono asilo, ma le centinaia di migliaia di immigrati illegali da soccorrere, ospitare, assistere, rimandare a casa”. (…) Per gli emigranti basterebbe ricuperare il buon senso e la razionalità perduti. Per quel che riguarda i Paesi di destinazione, è il buon senso di regolamentarne i flussi. Come hanno continuato a fare tanti governi, ad esempio quelli di Canada e Australia che andrebbero presi a modello, vuol dire smettere di parlare di accoglienza e di ‘ponti invece che muri’ e invece stimare se e quando c’è bisogno di forza lavoro (…) e in secondo luogo considerare l’effettiva, complessiva capacità ricettiva del proprio Paese”.
PINTORICCHIO, PITTORE DEI BORGIA – IL MISTERO SVELATO DI GIULIA FARNESE
Segnaliamo subito che il (bel) catalogo che abbiamo tra le mani è riferito alla mostra “Pintoricchio, pittore dei Borgia – Il mistero svelato di Giulia Farnese”, allestita presso i Musei capitolini e aperta fino al primo ottobre (09.30-19.30; www.museicapitolini.org ).
Tutto nasce da una annotazione perfida di Giorgio Vasari, che - nelle sue cinquecentesche “Vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori ed Architettori” – trattò anche di Bernardino di Betto, detto il Pintoricchio (1454-1513), citando tra l’altro la decorazione che il pittore perugino fece dell’Appartamento Borgia, ma appuntando la sua attenzione quasi solo su un particolare… “Nel medesimo palazzo gli fece dipignere Alessandro sesto tutte le stanze dove abitava e tutta la Torre Borgia, nella quale fece istorie dell’arti liberali in una stanza, e lavorò tutte le volte di stucchi e d’oro (…) In detto palazzo ritrasse , sopra la porta d’una camera, la signora Giulia Farnese nel volto d’una Nostra Donna; e nel medesimo quadro la testa di esso papa Alessandro che l’adora”.
Giulia Farnese come Madonna adorata da Alessandro VI? Può apparire un po’ forte… non vi pare?
Ma chi era Giulia? Nata verso il 1474, fu introdotta nella corte papale già giovanissima, spinta dalla famiglia – in vista di futuri, tangibili incassi in prebende e onori - tra le braccia del già potente cardinale Rodrigo Borgia. Nel 1489 l’avvenente Giulia fu promessa solennemente sposa a Orsino Orsini, la cui madre era cugina dello stesso Borgia. Il contratto fu firmato nella splendida residenza del porporato e il matrimonio seguì l’anno seguente. Molto probabilmente Giulia a quel tempo era amante collaudata di colui che nel 1492 sarebbe divenuto Papa con il nome di Alessandro VI e che, prima di essere eletto, aveva già avuto sette figli (tra i quali – da Vannozza Cattanei - Juan, Jofré e i celebri Cesare e Lucrezia). Con Giulia l’allora cardinale ebbe verosimilmente una figlia, Laura - nata all’amante ormai sposa tra il 1491 e il 1492 – poi riconosciuta come figlia legittima da Orsino Orsini. Dopo la fine del legame con Giulia, l’ormai Alessandro VI ebbe ancora due figli, Giovanni e Rodrigo da madre ignota.
Si parlava del calcolo dei Farnese (famiglia nobile del Viterbese), quando decisero di offrire la bella Giulia al cardinale Borgia. Per loro obiettivo raggiunto, poiché Alessandro – fratello di Giulia – divenne tesoriere pontificio già nel 1492 (pochi giorni dopo l’elezione di Alessandro VI), cardinale nel 1493 a venticinque anni (era chiamato “Fregnese” o “Fratello di madama Julia”), infine Papa nel 1534, con il nome di Paolo (autorizzò tra l’altro la fondazione della Compagnia di Gesù e convocò il Concilio di Trento).
Torniamo all’ annotazione del Vasari, frutto di una diceria diffusa all’interno della corte pontificia, alimentata e diffusa probabilmente dai nemici di Alessandro VI (che ne aveva tanti… basti pensare che il suo successore Giulio II della Rovere lo chiamava – secondo il suo cerimoniere pontificio Paris de Grassis – marranum et judaeum et circoncisum). Tale diceria è sopravvissuta fin quasi ai giorni nostri, quando se ne è riconosciuta l’infondatezza scientifica.
L’affresco di cui parla il Vasari è opera effettivamente del Pintoricchio. Ma, dirà qualcuno, non si dice Pinturicchio? Certo fin qui anche noi lo pensavamo, ma il professor Francesco Buranelli (l’ex-direttore dei Musei vaticani è in questo caso in veste di supervisore della Mostra, essendone anche uno dei curatori) ha attirato la nostra attenzione sul fatto che in latino si dice pictor da cui pintor, pintore. Del resto Cesare Borgia (il famoso duca Valentino, il ‘Principe’ del Machiavelli) in una lettera del 1500 scrive al vice-tesoriere pontificio di pagare (per un lavoro nella sua casa di Perugia) il Pintoricchio, quel “Bernardino Pintorichio da Perosa qual sempre avemo amato per le virtù sue”.
Nell’affresco dell’Appartamento Borgia era rappresentato (vedi galleria fotografica alla fine dell’articolo) centralmente il Bambino, che benedice il nuovo Papa che è inginocchiato e gli mostra il globo crucifero (simbolo del Salvator Mundi). Alessandro VI, a capo scoperto, vestito con la talare bianca e la mozzetta rossa, ‘risponde’ alla benedizione con la mano sinistra che sfiora il piede di Gesù (segno di accettazione e di riconoscimento della derivazione divina del papato). La Madonna tiene in braccio il Bambino, con la testa lievemente reclinata, un volto ovale, lineamenti sottili, sguardo rivolto verso Gesù.
Ora l’affresco (gravato della citata diceria) non esiste più, perché prima fu nascosto, poi smembrato negli anni 1655-60 sotto Alessandro VII Chigi. L’immagine della Madonna e del Bambino (separate) furono dotate di una cornice secentesca ed entrarono a far parte della collezione privata del cardinal nipote Flavio I Chigi. E l’immagine di Alessandro VI? Scomparve.
Come mai siamo in grado di ricostruire l’affresco originario? Sia per merito delle fonti scritte che, soprattutto, grazie a una copia dell’affresco (in forma di olio su tela) realizzata da Pietro Fachetti nel 1612. Nella mostra presso i Musei capitolini, per la prima volta, il visitatore può vedere sia la Madonna dell’affresco del Pintoricchio, il Bambino dello stesso affresco, la copia del Fachetti.
La Madonna dell’affresco non è Giulia Farnese, ma – osserva Buranelli – “le sembianze della Vergine risultano (come già intuibile dalla copia del Fachetti) vicinissime al più classico tipo dei volti di Madonna del Pintoricchio”. Basti pensare agli splendidi volti della Madonna della Natività (Santa Maria del Popolo a Roma) o della Pace (a San Severino Marche, Pinacoteca civica). Giulia Farnese non aveva un volto ascetico, la bocca minuta, le piccole labbra carnose; era piuttosto una moretta avvenente e dalle morbide forme. Come ci mostra l’unico presunto ritratto fin qui conosciuto che ci è offerto dal pittore Luca Longhi, nell’olio su tela intitolato “Dama con l’unicorno” (1535-40), dipinto quando Giulia era già morta da diversi anni (1524).
Tra i 33 pezzi esposti – oltre ai tre principali già ampiamente citati - opere diverse di valore notevole. Si va da sette sculture dell’età classica (tra cui un grande toro in marmo della prima età imperiale, ‘omaggio’ alla famiglia Borgia) alle mattonelle con lo stesso e altri motivi araldici, a vedute romane del tempo. Di Tiziano il ritratto di Alessandro VI, mentre Innocenzo Francucci da Imola e Altobello Melone ‘firmano’ gli oli rappresentanti probabilmente Vannozza Cattanei e Cesare Borgia. Troviamo poi esemplari delle ‘Vite’ del Vasari, le lettere di mons. Aurelio Recordati al duca di Mantova Francesco IV Gonzaga (condussero alla copia del Fachetti), la Dama con l’unicorno di Luca Longhi, la Madonna della Pace, quella delle febbri, l’altra della Melagrana e le gigantografie di alcuni affreschi dell’Appartamento Borgia (tra cui la famosa “Disputa di santa Caterina d’Alessandria” (con verosimilmente Lucrezia Borgia nelle vesti della santa).
Splendido il catalogo (di Gangemi Editore) che contiene i contributi dei curatori della mostra Cristina Acidini, Francesco Buranelli, Claudia La Malfa e Claudio Strinati, con la collaborazione di Franco Ivan Nucciarelli. La mostra è promossa da Roma Capitale (Assessorato alla cultura, Sovrintendenza capitolina ai Beni culturali), patrocinata dalla Commissione vaticana per la tutela dei monumenti storici e artistici, organizzata dall’associazione culturale MetaMorfosi con Zetema Progetto Cultura.
Insomma: una mostra da vedere, che sfata una diceria secolare. Nessuno, pensiamo, si pentirà di averla visitata.