“BER…COSA?” ORA PER MOLTI E’ DI FAMIGLIA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 20 giugno 2013
Quando, la sera del 13 marzo scorso, il cardinale Jean-Louis Tauran annunciò al mondo il nome del nuovo Papa, piazza san Pietro reagì con sorpresa. Un po’ come il 16 ottobre del 1978, al risuonare del cognome ‘Wojtyla’. “Dev’essere un negro” – si disse allora vicino a noi. E stavolta: “Ber… cosa”? In effetti non risultava tra i papabili gettonati da tv e giornaloni (le cui redazioni in quei momenti erano prese da una sorta di panico).
A cento giorni di distanza il “Ber…cosa” è diventato per molti (cattolici e non cattolici) come uno di famiglia. Per certificarlo basta scendere la mattina al bar o andare al mercato o sondare il mercoledì e la domenica la folla in piazza San Pietro. “Questo è il Papa che ci voleva…con tre parole semplici va al cuore della gente, facendosi capire subito” (a dire la verità anche papa Ratzinger riusciva a farsi capire sui temi ‘delicati’ mettendo in fila le parole essenziali). E poi, già si sussurra (e si indovina un principio di timore per eventuali loschi maneggi): “Chissà se in Curia gli lasceranno fare la pulizia che vuole!” . Tale sentire si traduce visibilmente in quello che è accaduto ad esempio lunedì sera, quando il Papa ha aperto con un discorso ricco di considerazioni spesso dirompenti l’annuale convegno della sua diocesi, quella di Roma. Le migliaia di fedeli sono andate in delirio, mentre rovesciava numericamente la parabola del pastore che va in cerca dell’unica pecorella smarrita (“Oggi siamo in minoranza, le pecorelle smarrite sono 99, non si può indugiare a pettinare la pecorella rimasta” – e qui Papa ha mimato quest’ultimo gesto tra gli osanna della folla) oppure eccitava un po’ ludicamente con la tecnica del ‘botta e risposta’ l’aula Nervi strapiena contro i “cristiani” adepti “non di Dio, ma della dea lamentela”.
In tali occasioni emerge la nuova forma (con contenuti anche inediti) assunta dalla comunicazione papale con l’avvento di Jorge Mario Bergoglio. Regnano il dialogo diretto con la folla (il Papa non ha bisogno di interpreti, colloquia con il popolo per esortarlo a riscoprire i valori essenziali della fede), l’invitarla a ripetere con lui frasi come “Viva Gesù” o “Dio è misericordioso”, l’evidenziare poche parole semplici da ritenere nel cuore (ad esempio: pazienza-coraggio-perdono, gioia-croce-giovani, custodia-tenerezza-servizio, camminare-edificare-confessare), l’introduzione frequente di battute e aneddoti di vita familiare, la continua evocazione del demonio sempre in agguato (e ciò era divenuto inabituale sentirlo), la spinta verso le ‘periferie’ esistenziali, (materiali e spirituali), là dove soffre ‘la carne di Gesù’ e la ‘Chiesa dei poveri’ può concretizzare al meglio il suo annuncio di salvezza. Caratteristico il suo approccio ai problemi più delicati: niente scontri frontali, ma dialogo e confronto a tutto campo, pur nella fedeltà ai principi (vedi quanto ha più volte detto sulla sacralità della vita). La sua tecnica comunicativa ricorda a tratti quella dei predicatori pentecostali americani. La sua speranza è che l’uso di tale tecnica non comporti solo il delirio delle folle, ma propizi la conversione dei cuori. Si vedrà.
Quali i gesti più significativi di questi ‘cento giorni’? Il volersi chiamare “vescovo di Roma” (con il titolo di “Papa” evocato solo di striscio): è un segno del voler camminare con il suo primo popolo e nel contempo è un messaggio importante lanciato agli ortodossi (sempre sensibili alla questione de controverso ‘primato petrino’). La scelta di abitare nella casa Santa Marta, evitando il più possibile l’Appartamento papale per non sentirsi emarginato dal contatto con la vita quotidiana e dunque con le persone. Nella stessa dimora celebrare, ogni volta con un gruppo diverso, la messa mattutina, condita di un’omelia a braccio con la tecnica ormai collaudata. Il Papa non passerà i mesi estivi a Castel Gandolfo, lasciando posto al Papa emerito, con cui ha – come previsto, considerata in ogni caso l’onestà intellettuale del predecessore - un buon rapporto (tra qualche mese uscirà un’enciclica sulla fede incominciata da Benedetto XVI e proseguita da Francesco). Si deve comunque notare che ci sono settori di cattolici ‘ratzingeriani’ assai perplessi in particolare sui ‘modi’ del nuovo Papa. Ancora: Francesco è un pontefice che non canta (per i noti motivi derivati da un’operazione al polmone) e che non ama molto né le grandi liturgie (infatti nelle celebrazioni è piuttosto sbrigativo… preferisce il fare al contemplare, che pure esercita) né la pompa, di cui alcuni si pavoneggiano (in molti nella gerarchia già si sono almeno parzialmente adeguati al nuovo corso). E l’attesa ‘pulizia’ in Curia? Papa Francesco ha nominato un Consiglio di otto cardinali per consigliarlo sul da farsi: lavori in corso e a inizio ottobre prima sessione comune. Grande l’attesa, riguardante anche lo Ior.
Cento giorni di un Papa rivoluzionario? L’aggettivo potrebbe trarre in inganno: Bergoglio è un papa innovativo nella forma della comunicazione, ama il dialogo e non le scomuniche, stimola all’azione, comprende l’uomo peccatore (”tutti siamo fragili”), ma è fermo sui principi. In particolare quelli delicati riguardanti vita, famiglia, educazione. Insomma la ‘rivoluzione’ di Bergoglio è quella cristiana, quella dei cuori che, “di pietra” prima, diventano “di carne”. Non certo la rivoluzione antropologica invocata giornalmente da tante cattedre culturali del nostro tempo.
L’articolo appare in versione leggermente ridotta anche nel ‘Corriere del Ticino’ di giovedì 20 giugno.