LA FEDE E’ LUCE, VERITA’ NELL’AMORE, UNITA’ NELLA CHIESA, FRATERNITA’ TRA GLI UOMINI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org- 5 luglio 2013
La fede non allontana dal mondo e si pone con la sua luce al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. Il primo ambito in cui la fede illumina l’umanità si trova nella famiglia, “unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita”. In sintesi questi sono i contenuti principali della lettera enciclica “Lumen fidei”, presentata ieri in Vaticano e scritta “a quattro mani” (papa Francesco dixit) dall’attuale Pontefice e dal suo predecessore, che l’ha incominciata e sviluppata.
Probabilmente non a caso Jorge Mario Bergoglio e Joseph Ratzinger si erano ritrovati pubblicamente ieri di buon mattino nei Giardini vaticani per l’inaugurazione della statua di san Michele Arcangelo, “campione del primato di Dio”, che “difende il Popolo di Dio dai suoi nemici e soprattutto dal nemico per eccellenza, il diavolo”. Tra i due Papi - prima della cerimonia in cui lo Stato della Città del Vaticano è stato consacrato allo stesso san Michele e a san Giuseppe- un abbraccio caloroso, a testimoniare di un’intesa sui contenuti che attenua l’indubbia diversità di approccio ai problemi della Chiesa e del mondo.
Se l’enciclica porta (anche per prescrizione canonica) una sola firma, quella di papa Francesco, nondimeno vi è ampiamente riconoscibile il contributo ratzingeriano. Lo rileva lo stesso Papa regnante, quando, ricordate le encicliche di Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza, scrive: “Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e (…) assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori commenti”.
A una prima lettura l’introduzione e il quarto capitolo (quello su fede e società degli uomini) sembrano di chiara impronta bergogliana. Dai primi tre capitoli emerge forse maggiormente il pensiero del papa tedesco, non foss’altro per le numerose di autori a lui familiari, da Romano Guardini a Dostoevskij, da Martin Buber a un pittore come Hans Holbein il Giovane.
Molto densa l’introduzione con l’iniziale parallelo tra il culto al dio Sole e quello a Cristo. Come annota san Giustino martire “per la sua fede nel sole non si è mai visto nessuno pronto a morire”. In tempi più vicini a noi la fede “appare come una luce illusoria, che impedisce all’uomo di coltivare l’audacia del sapere”: viene associata “al buio”, al “salto nel vuoto”. Tuttavia a poco a poco, si è constatato che “la luce della ragione autonoma non riesce ad illuminare abbastanza il futuro” e allora “tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male”. Perciò è “urgente recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore”.
Spesso si vorrebbe relegare la fede “a fatto privato, concezione individualistica, opinione soggettiva”: eppure non lo è, perché – si legge nel primo capitolo -“nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio”. Nel capitolo successivo viene posta la questione dei rapporti tra fede e verità, una parola quest’ultima “guardata con sospetto” e accettata spesso solo nell’ambito tecnologico. Tuttavia “l’uomo ha bisogno di verità” e anche “la fede, senza verità, non salva, (…) resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità (…) oppure si riduce a un bel sentimento che consola e riscalda (…) incapace però di sorreggere un cammino costante nella vita”.
La luce della fede è accompagnata dall’amore e la verità ad essa connessa non può “imporsi con la violenza”. La fede infatti “non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro”. Perciò “il credente non è arrogante” e “lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede (…) rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”. Alla nostra domanda se si debba in quest’ottica considerare “arroganza” anche l’organizzazione di grandi manifestazioni di piazza come in Francia (contro il cosiddetto “matrimonio gay”), in cui la contrapposizione di pensiero con un’altra parte della società è inevitabile, fatale, i tre relatori in Sala Stampa vaticana (il cardinale Ouellet e gli arcivescovi Mueller e Fisichella) non hanno dato una risposta precisa.
Per il filosofo Ludwig Wittgenstein “credere sarebbe simile all’esperienza dell’innamoramento, concepita come qualcosa di soggettivo, improponibile come verità valida per tutti”. Oggi “l’amore risulta un’esperienza legata al mondo dei sentimenti incostanti e non più alla verità”. In realtà, “solo in quanto è fondato sulla verità l’amore può perdurare nel tempo, superare l’istante effimero e rimanere saldo per sostenere un cammino comune”. Amore e verità dunque “non si possono separare”, poiché “chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità e che esso stesso apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà in modo nuovo”. L’amore è dunque anche conoscenza e tale asserzione trova “espressione autorevole nella concezione biblica della fede”. Del resto, nel “Cantico dei Cantici” (commento di Guglielmo di Saint Thierry), l’amato dice all’amata: “I tuoi occhi sono occhi di colomba” ovvero “sono la ragione credente e l’amore, che diventano un solo occhio per giungere a contemplare Dio”.
La fede “rivela quanto possono essere saldi i vincoli tra gli uomini, quando Dio si rende presente in mezzo ad essi”. Ed è proprio in virtù del suo legame con l’amore che “la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace”. Come si constata, “la fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei”. La fede “è un bene comune”, che “ci aiuta a edificare le nostre società in modo che camminino verso un futuro di speranza”.
Il primo ambito in cui la fede si manifesta è la famiglia. Scrive papa Francesco: “Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita”. Parole chiare, parole inequivocabili. Ancora: “Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede”.
Certo la fede “non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi”. A chi soffre “Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna”, si legge nel quarto capitolo. Ancora: “La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”. E’ testimonianza di unità nella Chiesa e anche una storia di fraternità tra tutti gli uomini, nessuno escluso: “Nella ‘modernità’ si è cercato di costruire la fraternità universale tra gli uomini, fondandosi sulla loro uguaglianza”. Ma si è visto che “questa fraternità, privata del riferimento a un Padre comune quale suo riferimento ultimo, non riesce a sussistere”. Non a caso, “quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno”.
Un passo significativo riguarda la testimonianza della fede ed è tratto da un brano della “Lettera agli Ebrei” in cui si legge che “Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio”. Si legge nell’enciclica: “Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica?” E’ certo che “la fede illumina il vivere sociale”, possedendo “una luce creativa per ogni momento nuovo della storia”, dato che lo colloca nella prospettiva dell’origine e del destino dell’uomo.
L’enciclica si conclude con le invocazioni a Maria, Madre della Chiesa e madre della nostra fede”, chiedendole tra l’altro di “ricordarci che chi crede non è mai solo”.
Il commento appare in versione leggermente ridotta nel 'Corriere del Ticino' di sabato 6 luglio 2013.