FRANCESCO IN TERRASANTA: UMANITA’ E PROFEZIA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 26 maggio 2014
Il viaggio apostolico di un Pellegrino umanissimo e profetico, fondato su parole semplici, silenzi operosi, gesti attesi e inattesi ma tutti pietre vive di speranza in una pace ancora lontana e pur possibile: sguardo in avanti, bisogna superare il passato con i suoi odi radicati (anche senza dimenticarne l’insegnamento sempre attuale), per rinvigorire con decisione, coraggio e fantasia l’ulivo della pace.
Difficile prefigurare eventuali risultati concreti sulla via di una pace giusta, nella dignità e nella sicurezza per tutti, di un pellegrinaggio - quello di papa Francesco in Terrasanta dal 24 al 26 maggio - che ha smosso verosimilmente i cuori di tutti coloro che, presenti fisicamente o per via tecnologica, l’hanno voluto accompagnare con speranza. Certo è che Francesco ha speso tutto se stesso in questi giorni per cercare di sgretolare quei muri (in primo luoghi interiori) che negli anni hanno reso precaria per quasi tutti, drammatica per molti la vita quotidiana nei Luoghi di Gesù. Tante e tutte di rilievo le tappe del pellegrinaggio.
Gesti significativi. In ambito di dialogo ecumenico l’abbraccio, nel nostro caso, sul sagrato antistante la Basilica del Santo Sepolcro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli a 50 anni da quello tra Paolo VI e Athenagora: corredato da una Dichiarazione congiunta e da tanti gesti fraterni, dal tenersi per mano al sostenersi reciprocamente scendendo laddove fu sepolto e risorse Gesù, dall’accendere insieme le candele davanti alla lastra sepolcrale al risalire, sempre da fratelli, i ripidi scalini verso il luogo del Calvario. Anche il bacio affettuoso della mano del Patriarca da parte del Papa. Gesti che chiamano al superamento di muri storici e a volte in qualche modo persistenti, gesti che invocano l’unità di cuore e di mente a partire dalla quotidianità.
In ambito di dialogo con l’ebraismo, l’abbraccio tra il Papa e l’amico rabbino Skorka poco dopo l’inserimento del testo (il ‘Padre nostro’) nel Muro del Pianto. Un abbraccio che suggerisce un’unità di sentimenti tra cristiani ed ebrei davanti a una storia, quella ebraica, segnata profondamente dal dolore.
In ambito di dialogo interreligioso, la presenza al fianco del Papa di due amici argentini, un rabbino e un imam. E l’invito “a casa mia, in Vaticano”, per un incontro di preghiera per la pace in Terrasanta, rivolto al presidente palestinese, il musulmano Abu Mazen e al presidente israeliano, l’ebreo Shimon Peres: si farà a giugno. La speranza è che la preghiera comune possa portare almeno qualche frutto concreto nei negoziati che languono da tempo: anche piccolo, ma tale da far comprendere che la pace è ancora possibile.
Altri gesti di impatto emotivo forse ancora maggiore. A Betlemme, la sosta imprevista, ma fortemente voluta, davanti al Muro (la cui costruzione ha di certo salvato tante vite umane e nel contempo costringe a una vita di umiliazioni e di gravi difficoltà quotidiane migliaia di famiglie palestinesi). Il Papa ha pregato in silenzio con la mano destra appoggiata al Muro (ricoperto di scritte), poi vi ha appoggiato anche la testa, mentre vicino a lui una bambina sventolava una bandiera palestinese. A Gerusalemme la deposizione di una corona (anche qui seguita da un momento di preghiera) alla tomba del cofondatore del Movimento sionista Theodor Herzl: un gesto - previsto dal nuovo protocollo israeliano – tanto inedito quanto carico di significati per il successore di quel Pio X che, in altri tempi (1904) rifiutò con decisione di sostenere l’impresa di Herzl. Ancora a Gerusalemme la sosta davanti al monumento per le vittime degli attentati anti-israeliani (chiesta dal primo ministro Benjamin Netanyau), il raccoglimento intenso al già citato Muro del Pianto (con testa appoggiata a quest’altro simbolo forte della storia ebraica) e i gesti compiuti dentro lo Yad Vashem, memoriale dell’Olocausto, in una cerimonia aperta da un canto struggente e segnata dal discorso-invocazione di Francesco, parole non banali e dovute, ma venute dal cuore: dalla deposizione di una corona al bacio della mano, segno di rispetto profondo, dei sopravvissuti all’Olocausto incontrati. Forse solo in Vaticano con la regina Rania di Giordania, ma non certo in un contesto così drammatico, il Papa si era chinato per baciare la mano di un interlocutore (il gesto analogo fatto a Gerusalemme con Bartolomeo I va invece inserito in quelli affettuosi tra fratelli). Di forte valenza simbolica anche l’ulivo piantato nel giardino del palazzo presidenziale a Gerusalemme, insieme con Shimon Peres.
I silenzi. I più intensi. Sulle rive del Giordano, sulla riva del fiume, là dove sembra sia stato battezzato Gesù. Davanti al Muro, a Betlemme. Dentro la Grotta della Natività, a Betlemme. Davanti alla lastra sepolcrale di Gesù, luogo della Resurrezione, a Gerusalemme. Davanti al luogo della Crocifissione, a Gerusalemme. Davanti al Muro del Pianto, a Gerusalemme. Davanti alla tomba di Herzl, a Gerusalemme. Dentro lo Yad Vashem, a Gerusalemme. E il silenzio, certo dovuto e tuttavia carico di emozione, mentre risuonava l’inno nazionale di Israele all’aeroporto di Tel Aviv: una melodia che ‘prende’ e costringe alla riflessione sul destino del popolo ebraico.
Alcune parole tra le più coinvolgenti
Betania oltre il Giordano (Giordania), incontro con i rifugiati e i giovani disabili, 24 maggio: Penso in primo luogo all’amata Siria, lacerata da una lotta fratricida che dura da ormai tre anni e ha già mietuto innumerevoli vittime, costringendo migliaia di persone a farsi profughe ed esuli in altri Paesi. Tutti vogliamo la pace! Ma guardando questo dramma della guerra (…) io mi domando: chi vende le armi a questa gente per fare la guerra? Ecco la radice del male! L’odio e la cupidigia del denaro nelle fabbriche e nelle vendite delle armi. Questo ci deve far pensare a chi è dietro, che dà a tutti coloro che sono in conflitto le armi per continuare il conflitto! Pensiamo, e dal nostro cuore diciamo anche una parola per questa povera gente criminale, perché si converta.
Betlemme (Palestina), incontro con le autorità palestinesi, 25 maggio: Il Medio Oriente da decenni vive le drammatiche conseguenze del protrarsi di un conflitto che ha prodotto tante ferite difficili da rimarginare e, anche quando fortunatamente non divampa la violenza, l’incertezza della situazione e l’incomprensione tra le parti producono insicurezza, diritti negati, isolamento ed esodo di intere comunità, divisioni, carenze e sofferenze di ogni tipo. (…) E’ ora di porre fine a questa situazione, che diventa sempre più inaccettabile, e ciò per il bene di tutti. (…) E’ giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entroconfini internazionalmente riconosciuti. Auspico vivamente che a tal fine si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono la dichiarata volontà di giungere a un vero accordo.
Betlemme (Palestina), Santa Messa in piazza della Mangiatoia, 25 maggio: Questo per voi il segno: troverete un bambino… Forse quel bambino piange. Piange perché ha fame, perché ha freddo, perché vuole stare in braccio… Anche oggi piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato (…) Devono combattere, devono lavorare, non possono piangere! Ma piangono per loro le madri, odierne Rachele: piangono i loro figli e non vogliono essere consolate.
Betlemme (Palestina), Regina Coeli in piazza della Mangiatoia, 25 maggio: Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento.
Phoenix Center del Campo profughi di Deisheh (Palestina), 25 maggio: Ho letto quel che avete scritto nei fogli. (…) Comprendo quello che mi state dicendo e il messaggio che mi state dando (NdR: cartelli contro l’occupazione israeliana, ‘Basta sofferenze e umiliazioni” nelle parole di un ragazzo). Non lasciate mai che il passato determini la vostra vita. Guardate sempre avanti. Lavorate e lottate per ottenere le cose che volete. Però sappiate una cosa, che la violenza non si vince con la violenza! La violenza si vince con la pace! Con la pace, con il lavoro, con la dignità di far andare avanti la patria!
Tel Aviv (Israele), aeroporto, risposta ai discorsi ufficiali di benvenuto in Israele, 25 maggio: Bisogna intraprendere sempre con coraggio e senza stancarsi la via del dialogo, della riconciliazione e della pace. Non ce n’è un’altra. Pertanto rinnovo l’appello che da questo luogo rivolse Benedetto XVI: sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto ad una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente.
La Shoah è tragedia che rimane come simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo cui appartiene e la religione che professa. Prego Dio che non accada mai più un tale crimine, di cui sono state vittime in primo luogo ebrei e anche tanti cristiani e altri. Sempre memori del passato, promuoviamo un’educazione in cui l’esclusione e lo scontro lascino il posto all’inclusione e all’incontro, dove non ci sia posto per l’antisemitismo, in qualsiasi forma si manifesti, e per ogni espressione di ostilità, discriminazione o intolleranza verso persone e popoli.
Gerusalemme (Israele), Basilica del Santo Sepolcro, celebrazione ecumenica, 25 maggio: Non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi “i miei fratelli”. Certo, non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma. (…) Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino. Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi. (…) Ogni volta che, superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovi rapporti fraterni, noi confessiamo che Cristo è davvero Risorto!
Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri (…), si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia (…) Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non domandano loro se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani. Il sangue cristiano è lo stesso.
Gerusalemme (Israele), Memoriale di Yad Vashem, 26 maggio: Adamo, dove sei? (Gen 3,9) Dove sei, uomo? Dove sei finito? In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: Adamo, dove sei? In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! (…) Chi sei, uomo? Chi sei diventato? Di quale orrore sei stato capace? Che cosa ti ha fatto cadere così in basso? Non è la polvere del suolo, da cui sei tratto. La polvere del suolo è cosa buona, opera delle mie mani. Non è l’alito di vita, che ho soffiato nelle tue narici. Quel soffio viene da me, è cosa molto buona. No, questo abisso non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore… Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato? (…) Mai più, Signore, mai più! Adamo, dove sei? Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare. Ricordati di noi nella tua misericordia.
Gerusalemme (Israele), Palazzo presidenziale, 26 maggio: Gerusalemme, città che custodisce i Luoghi Santi cari alle tre grandi religioni che adorano il Dio che chiamò Abramo. I Luoghi Santi non sono musei o monumenti per turisti, ma luoghi dove i credenti vivono la loro fede, la loro cultura, le loro iniziative caritative. Perciò vanno perpetuamente salvaguardati nella loro sacralità, tutelando così non solo l’eredità del passato, ma anche le persone che li frequentano oggi e li frequenteranno in futuro. Che Gerusalemme sia veramente la Città della Pace! Che risplendano pienamente la sua identità e il suo carattere sacro, il suo universale valore religioso e culturale, come tesoro per tutta l’umanità! Com’è bello quando i pellegrini e i residenti possono accedere liberamente ai Luoghi Santi e partecipare alle celebrazioni!
Va respinto con fermezza tutto ciò che si oppone al perseguimento della pace e di una rispettosa convivenza tra Ebrei, Cristiani e Musulmani: il ricorso alla violenza e al terrorismo, qualsiasi genere di discriminazione per motivi razziali o religiosi, la pretesa di imporre il proprio punto di vista a scapito dei diritti altrui, l’antisemitismo in tutte le sue possibili forme, così come la violenza o le manifestazioni di intolleranza contro persone o luoghi di culto ebrei, cristiani e musulmani. (…) La presenza dei cristiani e il rispetto dei loro diritti – come del resto dei diritti di ogni altra denominazione religiosa e di ogni minoranza – sono garanzia di un sano pluralismo e prova della vitalità dei valori democratici, del loro reale radicamento nella prassi e nella concretezza della vita dello Stato.
Gerusalemme (Israele), Sala del Cenacolo, Santa Messa, 26 maggio: Qui è nata la Chiesa e da qui è partita. Uscire, partire, non significa dimenticare. (…) Quanto amore, quanto bene è scaturito dal Cenacolo! Quanta carità è uscita da qui, come un fiume dalla fonte, che all’inizio è un ruscello e poi si allarga e diventa grande!
Sull'aereo di ritorno verso Roma, 26 maggio, a proposito dei colloqui con il patriarca di Costantinopoli: Con Bartolomeo abbiamo parlato del concilio pan-ortodosso, perché si faccia qualcosa sulla data della Pasqua. E' un po' ridicolo: Ma dimmi, il tuo Cristo quando risuscita? Il mio la settimana prossima. Il mio invece è risorto la settimana scorsa.