PAPA: IRAQ, IMMACOLATA, ABORTO, SAN GIUSEPPE (CON PREMESSA) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 9 dicembre 2020
Negli ultimi giorni la constatazione di una serie di atti e gesti papali molto condivisibili. Nella premessa gli auguri a Luigi Accattoli colpito dal Covid-19 e ricoverato al San Giovanni di Roma: il nostro ‘avversario’ nei dibattiti pubblici su papa Bergoglio ha la forza di spirito di ‘controllare’ gli eventi riversandone i momenti principali in un diario pubblicato sul suo blog e sul ‘Corriere della Sera’ di oggi, 9 dicembre, giorno del suo compleanno.
PREMESSA
Oggi, 9 dicembre, il Corriere della Sera ha pubblicato a pagina 12 il diario tenuto da Luigi Accattoli dal 21 novembre 2020, cioè dal giorno in cui ha saputo di essere positivo al Covid-19. E’ una testimonianza sobria, ma ricca anche di quelle piccole cose che riempiono il cuore dell’uomo e viene pubblicata sul blog dello storico vaticanista del Corriere. Tale diario - scritto dall’ospedale San Giovanni di Roma dove Accattoli è stato portato nella notte di sabato 28 novembre - fa seguito a una nutrita serie di sessanta “storie di pandemia” raccolte nei mesi scorsi e confluite nel 22.mo capitolo di “Cerco fatti di Vangelo” (http://www.luigiaccattoli.it/blog/).
Non a caso Accattoli ha ricevuto il 4 dicembre 2020 - per questi racconti pervasi di calore umano - il premio speciale “Giornalisti e società” promosso dall’Ucsi, con la motivazione che ha testimoniato “come da un male possa sempre rifiorire il bene”. Al nostro ‘avversario’ nei confronti pubblici su papa Bergoglio (fin qui 12, ma ora forzatamente sospesi a causa della situazione sanitaria) vanno i nostri auguri più calorosi (pure di buon compleanno!) perché la sua nuova esperienza si concluda positivamente, così da poterlo rivedere anche sul podio di un dibattito fra noi. Visto che siamo in tema, auguri sinceri di pronto ristabilimento anche al cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ricoverato da ieri pomeriggio al Policlinico Gemelli di Roma per un intervento chirurgico.
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L’intensissima attività di papa Francesco anche in tempi di Coronavirus si è manifestata negli ultimi giorni con alcuni atti e gesti che ci sembrano molto condivisibili.
L’ANNUNCIATO VIAGGIO IN IRAQ (5-8 marzo 2020)
L’annuncio è di lunedì 7 dicembre. Situazione sanitaria permettendo, la meta del prossimo viaggio apostolico del Pontefice sarà l’ Iraq, con tappe a Bagdad, nella piana di Ur (che richiama Abramo e le religioni, appunto, ‘abramitiche’), a Erbil (capitale del Kurdistan iracheno), a Mosul e Quaraqosh nella piana di Ninive. E’ una scelta di sostanza quella di Jorge Mario Bergoglio: prefigurata in diverse occasioni, egli vuole ribadire - con la presenza fisica - in primo luogo che la Chiesa non abbandona i suoi figli, che li sostiene nella loro decisione di tornare nelle proprie comunità d’origine, che è vicina a tutti coloro (indipendentemente dallo loro religione) che soffrono per le conseguenze della guerra.
All’inizio di questo XXI.mo secolo i cristiani in Iraq erano ben oltre un milione; oggi sono ridotti a poco più di 300mila a seguito del conflitto e dell’occupazione della Piana di Ninive da parte dello Stato islamico (2014-2017). In quest’ultima area circa 20mila le famiglie cristiane scacciate, quasi 15mila le case da ricostruire. Grazie all’azione combinate delle Chiese locali e di organismi internazionali (cristiani e istituzionali), oltre la metà delle case è stata ricostruita (di cui un terzo grazie al sostegno della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre), così da permettere il ritorno al 45% delle famiglie.
Molto resta ancora da fare, ma certo la visita del Papa può dare uno stimolo psicologico ed emotivo importante, dai riflessi concreti, perché ai cristiani iracheni sia permesso di coltivare almeno una speranza pur fragile, ma non utopica, in un avvenire migliore, che permetta a tutti di rientrare a casa, di ritrovare un lavoro, di esprimere liberamente la propria fede, di non dover scegliere la via drammatica di un’emigrazione forzata.
IL MAZZO DI FIORI A PIAZZA DI SPAGNA PER L’IMMACOLATA
Il 30 novembre 2020 la Sala Stampa Vaticana (attraverso il suo direttore Matteo Bruni) aveva comunicato che – a causa delle note misure di restrizione per la pandemia - quest’anno il Papa non si sarebbe recato in piazza di Spagna l’8 dicembre pomeriggio per il tradizionale omaggio all’Immacolata, privilegiando invece “un atto di devozione privato”. Era sembrato di capire che sarebbe restato in Vaticano e ciò aveva suscitato diffusi e trasversali malumori nel mondo cattolico. Com’è come non è, il Papa ieri invece sorprendentemente (rispetto alle interpretazioni della dichiarazione vaticana del 30 novembre) alle sette del mattino era in piazza di Spagna per venerare la Vergine, per rivolgerle una preghiera a beneficio di Roma e del mondo, per deporre ai piedi della statua un mazzo di rose bianche.
Successivamente si è recato nella ‘sua’ basilica di Santa Maria Maggiore, dove ha pregato davanti all’icona di Maria Salus Populi Romani e celebrato privatamente nella Cappella del Presepe.
Dunque la bella tradizione del Papa che venera in carne ed ossa l’Immacolata – inaugurata da Giovanni XXIII l’8 dicembre del 1958 – non si è interrotta. Una scelta da condividere e che certo avrà dissipato i malumori nati da un’interpretazione restrittiva del comunicato del 30 novembre.
INDETTO CON LETTERA APOSTOLICA UN ANNO DEDICATO A SAN GIUSEPPE, PATRONO DELLA CHIESA UNIVERSALE DA 150 ANNI
Che Jorge Mario Bergoglio coltivi una venerazione particolare per san Giuseppe è ben noto. Si sa che ad esempio che nel suo studio a Santa Marta due sono le statue del padre putativo di Gesù. Una lo ritrae dormiente (allusione ai quattro sogni di cui Giuseppe fu protagonista) e sotto di essa – anche questo è assai conosciuto – il Papa infila bigliettini con richieste varie da parte sua o di fedeli.
Pio IX l’8 dicembre 1870 (meno di tre mesi dopo la presa di Roma da parte delle truppe italiane) proclamò san Giuseppe patrono della Chiesa universale. Francesco ha colto l’occasione del centocinquantesimo anniversario di tale atto per indire un anno dedicato allo sposo di Maria Vergine attraverso una ‘Lettera apostolica’ intitolata Patris corde, “Con cuore di padre”.
L’importante documento ricorda inizialmente e dettagliatamente tutto quanto si dice di san Giuseppe nei Vangeli di Matteo e di Luca (che hanno dato evidenza alla sua figura): non molto, ma sufficiente per sapere ad esempio che era un falegname, un “uomo giusto” ed “ebbe il coraggio di assumere la paternità legale di Gesù, a cui impose il nome rivelato dall’Angelo”. Ancora, tra l’altro: dopo il viaggio, certo non facile, da Nazareth a Betlemme, “vide nascere il Messia in una stalla”, “fu testimone dell’adorazione dei pastori e dei Magi”.
Obiettivo della Lettera è di “accrescere l’amore verso questo grande Santo, per essere spinti a implorare la sua intercessione e per imitare le sue virtù e il suo slancio”.
Dalla Lettera apostolica - datata 8 dicembre 2020, firmata da Francesco “presso San Giovanni in Laterano” ed edita dalla Libreria Editrice Vaticana - estrapoliamo alcuni passi che ci sembra possano stimolare la riflessione di chi ci legge.
(dal capitolo primo: Padre amato)
. Come discendente di Davide (cfr Mt 1,16.20), dalla cui radice doveva germogliare Gesù secondo la promessa fatta a Davide dal profeta Natan (cfr 2 Sam 7), e come sposo di Maria di Nazaret, San Giuseppe è la cerniera che unisce l’Antico e il Nuovo Testamento.
(dal capitolo secondo: Padre nella tenerezza)
. Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande.
(dal capitolo sesto: Padre lavoratore)
. Un aspetto che caratterizza San Giuseppe e che è stato posto in evidenza sin dai tempi della prima Enciclica sociale, la ‘Rerum novarum’ di Leone XIII, è il suo rapporto con il lavoro. San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro. (…)
Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento?(…)
Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!
(dal capitolo settimo: Padre nell’ombra)
. Lo scrittore polacco Jan Dobraczyński, nel suo libro ‘L’ombra del Padre’ ha narrato in forma di romanzo la vita di San Giuseppe. Con la suggestiva immagine dell’ombra definisce la figura di Giuseppe, che nei confronti di Gesù è l’ombra sulla terra del Padre Celeste: lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da Lui per seguire i suoi passi. Pensiamo a ciò che Mosè ricorda a Israele: «Nel deserto […] hai visto come il Signore, tuo Dio, ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino» (Dt 1,31). Così Giuseppe ha esercitato la paternità per tutta la sua vita.
Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti.
Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre. Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri.
. Nota 10 (capitolo primo):
(scrive Jorge Mario Bergoglio) Tutti i giorni, da più di quarant’anni, dopo le Lodi, recito una preghiera a San Giuseppe tratta da un libro francese di devozioni dell’Ottocento, della Congregazione delle Religiose di Gesù e Maria, che esprime devozione, fiducia e una certa sfida a San Giuseppe: ‘Glorioso Patriarca San Giuseppe, il cui potere sa rendere possibili le cose impossibili, vieni in mio aiuto in questi momenti di angoscia e di difficoltà. Prendi sotto la tua protezione le situazioni tanto gravi e difficili che ti affido, affinché abbiano una felice soluzione. Mio amato Padre, tutta la mia fiducia è riposta in te. Che non si dica che ti abbia invocato invano, e poiché tu puoi tutto presso Gesù e Maria, mostrami che la tua bontà è grande quanto il tuo potere. Amen’.
PAPA FRANCESCO, l’ABORTO E L’ARGENTINA
In Argentina la Camera dei deputati (a solida maggioranza sinistra) sta discutendo un progetto di legge che liberalizza l’aborto fino alla quattordicesima settimana, ma anche oltre nel caso in cui la madre sia confrontata con difficoltà psichiche o economiche o addirittura con una distorsione dei programmi di vita. Da settimane si susseguono nel Paese grandi manifestazioni contro tale disegno di legge, che potrebbe essere bloccato quando – prevedibilmente a inizio gennaio – sarà trattato in un Senato a maggioranza incerta. Il tema in Argentina non è nuovo e si è già posto sotto la presidenza Macrì (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/778-argentina-marcia-per-la-vita-mauricio-macri-parla-alejandro-geyer.html ).
La Chiesa argentina è schierata pubblicamente contro il progetto ed è stata altrettanto pubblicamente appoggiata da Francesco. Che il Papa argentino sia molto sensibile in materia non è certo un fatto nuovo, ma in ogni caso quella che segue è una conferma voluta e dunque significativa in tempi come i nostri in cui l’aborto viene ritenuto un “diritto” dai molti turiferari del politicamente corretto. L’ultimo esempio? Le risoluzioni approvate il 26 novembre 2020, dal Parlamento europeo (con l’apporto della maggioranza dei popolari), in particolare quella contro la decisione della Corte costituzionale polacca di abrogare – conformemente alla Legge fondamentale – la possibilità dell’aborto eugenetico (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/993-avvenire-il-direttore-risponde-e-si-incarta.html ).
Nel caso della Polonia il Papa ha dichiarato in modo indiretto il suo sostegno ai difensori della decisione della Corte costituzionale nelle Udienze generali del 28 ottobre (citando Giovanni Paolo II) e dell’11 novembre 2020. Per l’Argentina invece l’ha fatto in modo chiarissimo in due lettere.
Nella prima, datata 22 novembre 2020, il Papa risponde alla deputata pro-vita Victoria Morales Gorleri (già attiva socialmente nell’arcidiocesi di Buenos Aires ai tempi dell’arcivescovo Bergoglio) e a un gruppo di madri povere che gli avevano chiesto un intervento pubblico sul progetto di legge abortista (“i legislatori e la stampa non vogliono ascoltarci e se nelle ‘villas’ non avessimo sacerdoti che alzano la voce per noi, saremmo ancora più sole”. Nella risposta Francesco elogia le ‘mujeres de las villas’ che “sanno che cos’è la vita”, le elogia per il loro attivismo pro-vita ed evidenzia che “la patria è orgogliosa di avere donne così”. Poi aggiunge: “Sul tema dell’aborto occorre avere ben in chiaro che la questione non è originariamente di carattere religiosa, ma di etica umana”. Perciò sono giustificate le due domande poste dalle scriventi: “E’ giusto eliminare una vita umana per risolvere un problema? E’ giusto affittare un sicario per risolvere un problema?”.
Parole chiare, riprese letteralmente anche nello scritto apparso il 5 dicembre (il 6 a Roma) sul sito della Conferenza episcopale argentina, in risposta a quello dei suoi ex-studenti e compagni di scuola. Nella lettera dicembrina il Papa osserva tra l’altro che continua a sentire voci che si chiedono per quale motivo egli “non faccia conoscere all’Argentina la sua opinione sull’aborto”. Eppure – rileva – “la sto diffondendo a tutto il mondo (Argentina inclusa) da quando sono Papa”.
Un’aggiunta conclusiva, che va oltre il tema dell’aborto. Nella lettera del 5 dicembre il Papa critica anche i media in genere: “Credo che i cattolici, dai vescovi fino ai parrocchiani, abbiano il diritto di conoscere quello che realmente dice il Papa…e non quello che gli fanno dire i media; e qui gioca molto il fenomeno del sentito dire”. Puntualizza poi sui suoi rapporti con Cristina Fernandez de Kirchner (presidente argentina dal 2007 al 2015, oggi vicepresidente) e Mauricio Macri (presidente dal 2015 al 2019): “L’ultima volta che ho avuto contatti con i due ex-presidenti (NdR: la de Kirchner e Macri) è stato quando ambedue esercitavano le loro funzioni. Dopo non ho più avuto nessun contatto con loro”. Il Papa si riferisce qui alle voci di una “relazione, vicinanza, amicizia” tra lui e la presidenta. Per concludere pungente a tale proposito: “In verità le espressioni ‘Sono molto amico di’ o ‘sono in contatto abituale con’, sono molto di facciata a Buenos Aires”.