FRANCESCO VESCOVO DI ROMA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org - 8 aprile 2013
Scendendo ogni mattina sotto casa a prendere l’ “Avvenire”, è da alcune settimane che sentiamo ripetere dall’edicolante e dal barista, dallo spazzino e dal portiere, dal romanista e dal laziale, dal commerciante di stoffe e dall’agente immobiliare un concetto che più o meno suona così: “Questo Papa è una grande grazia!”.
Come meravigliarsi allora di quanto successo ieri a san Giovanni in Laterano, dove una folla entusiasta si è raccolta per testimoniare a Francesco – che si è insediato come vescovo di Roma nella ‘madre delle cattedrali’ - un affetto che non sembra appartenere alla categoria dell’effimero?
Passando ai margini di piazzale Appio a metà mattinata, già si notava un fermento di transenne e un insolito via vai sul sagrato della basilica. Ripassandoci dopo l’una e mezzo le transenne erano ormai poste e il via vai s’era trasformato in assembramento di alcune migliaia di persone. Verso le tre e mezzo, poi, il piazzale era, dietro le transenne, tutto un brulicare di una folla molto eterogenea che sperava, almeno in parte, di riuscire a entrare in basilica. Una maggioranza di romani, ondate di suore frementi nell’attesa, sacerdoti alla spicciolata alla ricerca del varco giusto così come coriste insciarpate del coro della diocesi, vere e proprie carovane di genitori con passeggini, catechiste luminose e gruppi parrocchiali con striscioni tvb, neocatecumenali in azione canora (come d’abitudine), tante coppie di anziani, altrettanti giovani. Qualcuno si sente male, perché il sole picchia e l’attesa, prima che si dia il via libera almeno per sciamare sul prato, è pesante ed anche imprevista in tal misura. In basilica non si entra più e chi ha fatto ore di coda deve restarsene fuori, sperando che il Papa ‘passi’. Folla colorata anche in piazza san Giovanni in Laterano, dove sono numerosi i vigili, perché la parte davanti al palazzo del Vicariato verrà ribattezzata ufficialmente dal sindaco con il nome di Giovanni Paolo II (è un’iniziativa, pur lodevole, che ha però un vago sapore pre-elettorale).
Puntuale, alle cinque, giunge lì papa Francesco, tra l’entusiasmo dei presenti: si scopre la targa, poi il Papa sale nella jeep bianca, saluta la folla, attraversa il cortile del Vicariato e sbuca in piazzale Appio. Soffia a tratti un vento gagliardo che consiglia di togliersi la papalina: per il resto Francesco conferma quei gesti che lo rendono così vicino al cuore della gente. Accarezza bambini, conforta i malati (si ferma per abbracciare un cieco): anche chi non è potuto entrare in basilica, si sente ora gratificato. La “presa di possesso” come vescovo di Roma è semplice: alla porta il papa bacia il Crocifisso, asperge i presenti, fa un piccolo segno di croce non solo sulla sua fronte, ma anche su quella del cardinale Vicario che lo accoglie e lo accompagna. Dentro le navate gli applausi sono come torrente impetuoso: il Papa sosta volentieri dove ci sono bambini e presso le carrozzelle dei disabili, che saluta a uno a uno. Molto toccante la scena del ragazzino che lo tiene stretto al collo nell’abbraccio, con la madre in singhiozzi. Intanto, dopo il “Tu es Petrus”, risuona la possente letizia del frisiniano “Jubilate Deo”, quanto mai adeguato all’occasione.
Incomincia la santa messa, caratterizzata all’inizio dall’ “obbedienza” al Papa, che è in piedi davanti alla cattedra: “Questo è il luogo eletto e benedetto, dal quale, fedelmente nello scorrere dei secoli, la roccia sulla quale è fondata la Chiesa conferma nella verità della fede tutti i fratelli, presiede nella carità tutte le Chiese e con ferma dolcezza tutti guida sulla via della santità” – afferma il cardinale Agostino Vallini, proseguendo: “Beatissimo Padre, con devozione filiale ci professiamo obbedienti e docili al suo magistero e alla sua guida”. Prestano poi l’obbedienza i rappresentanti di diverse realtà diocesane tra cui una famiglia con quattro figli e due ragazzi della Pastorale giovanile. La messa, che vede come concelebranti principali il cardinale Vallini e il suo predecessore Camillo Ruini, prosegue fino all’omelia, incentrata come ormai caratteristico dello stile pastorale di Giorgio Mario Bergoglio, su poche parole che devono stimolare tutti alla riflessione e magari alla conversione: in questo caso ritornano la “misericordia” (nella Domenica in albis, ma anche a lei dedicata), la “pazienza” (quella di Dio non conosce limiti, al contrario della nostra), la “tenerezza” con cui Dio ci abbraccia. Ancora una frase significativa: “Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se siamo peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore”.
Intanto la folla fuori della basilica preme in attesa di una possibile apparizione di Francesco alla Loggia centrale, da cui pende il drappo solenne. La messa si conclude, il Papa si trattiene ancora con i fedeli lungo la navata centrale. Poi sale alla Loggia, non più riaperta dai tempi di Giovanni Paolo II): al fianco ha il cardinale Vallini, come quella sera del 13 marzo. E come quella sera ha salutato i “fratelli e sorelle” con un “buona sera”. La folla acclama, scandisce il nome, sembra non volersi fermare più. Un’altra folata dispettosa di vento gli fa volare la papalina e gli rialza la mantellina. Il Papa ride e ride anche il cardinal Vicario. Prima del congedo ancora parole analoghe a quella del 13 marzo: “Allora andiamo avanti tutti assieme, il popolo con il suo vescovo, tutti assieme. Avanti con la gioia della Resurrezione di Cristo”. Sventolano gli striscioni, le bandierine, salgono i cori. Poi la piazza si vuota e si riempie la metropolitana: “Anche se è stata lunga, valeva la pena di esserci. Questo è un grande Papa, che non ci fa sentire come dei numeri, ma tutti importanti, ognuno con la propria storia da rispettare”. Lo rileva una coppia di anziani dall’aspetto dimesso, ma con tanta gioia negli occhi: è il commento migliore alla giornata di ieri.