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    TEMPESTA SULLA VIA DI DAMASCO

    ROSSOPORPORA LUGLIO 2012 su 'Tempi' 30/12

    Il patriarca maronita Béchara Rai sulla cosiddetta 'primavera araba', sulla situazione in Siria e in Libano, sulla prevista visita del Papa a Beirut. Ancora sulla questione delle 'nozze gay' e dintorni: nuovi interventi dei card. Woelki, Schoenborn e O'Brien

    Dal 14 al 16 settembre Benedetto XVI dovrebbe compiere un viaggio apostolico tanto importante quanto delicato in Libano. Pur stabilito anche dei dettagli, resta in realtà ancora in forse: sulla visita grava l’incognita degli sviluppi della situazione in Siria. Che, se dovesse ancora peggiorare, ripercuotendosi dunque con effetti nefasti sui fragili equilibri confessionali libanesi, costringerebbe il Papa a restare a Castel Gandolfo.

     

    Mentre scriviamo, si susseguono dalla Siria notizie drammatiche e appelli angosciati da parte anche dei pastori delle varie Chiese orientali. Alcuni anni fa abbiamo avuto l’occasione di conoscere l’allora vescovo di Byblos Béchara Raï e da allora l’abbiamo intervistato più volte per cercare di comprendere meglio la situazione libanese, snodo fondamentale per l’avvenire del Cristianesimo nel Medio Oriente. Dal marzo 2011 è diventato patriarca maronita, una figura istituzionale di grande rilevanza che storicamente è un punto di garanzia per la sussistenza e l’unità del Paese. Il patriarca Raï, disponibile come sempre anche in momenti di grande preoccupazione come quelli che sta vivendo, ha risposto alle nostre domande dalla residenza estiva di Dimane (a 1400 metri di altitudine, nel Libano settentrionale). Sulla Siria - ricordato che lì vi sono tre diocesi maronite con cui è sempre in contatto – il settantaduenne patriarca osserva: “Quello che sta succedendo in Siria è molto è molto grave e minaccioso per tutti i siriani come per i libanesi, particolarmente per i cristiani a livello politico ed economico”. Patriarca, dicono che gli avvenimenti siriani siano parte della ‘primavera araba’… “Come si può parlare di ‘primavera’, quando le vittime si contano tutti i giorni a decine, centinaia? Quando si distruggono le città e i cittadini sfollati diventano profughi? Non si sa dove si andrà a finire con questa violenza, con questa guerra: al momento l’orizzonte politico è ancora chiuso”. La ‘primavera’ fin qui ha portato dei vantaggi ai Paesi coinvolti? “A me pare che non ci sia nessuna stabilità politica ad esempio né in Libia né in Egitto; neppure in Iraq c’è stabilità, malgrado l’intervento armato massiccio di alcuni Paesi. Si nota in genere che con la ‘primavera’ si fa un passo indietro sui piani della convivenza e dell’auspicata democrazia. I cristiani in ogni caso sono chiamati a perseverare nella presenza e nella testimonianza a favore della civiltà nata dal Vangelo”. Patriarca, in una nostra recente intervista il cardinale Tauran, a proposito di un eventuale intervento armato in Siria, aveva richiamato l’attualità delle parole di Giovanni Paolo II nel 2003: Mai più la guerra!. Lei è d’accordo? “Ogni intervento armato è sempre più malefico che benefico. Noi siamo sempre stati per l’intesa e la soluzione nel dialogo, lontano dal linguaggio delle armi. Intanto in Siria bisogna mettere termine ad ogni costo al conflitto armato. In ogni caso ogni intervento militare accrescerebbe i danni umani e materiali, aumenterebbe odio e divisioni, rallenterebbe fortemente ogni soluzione di pace. Sono la Comunità internazionale e gli uomini di buona volontà che hanno il dovere di intervenire in modo positivo sia a livello politico che sociale”.

     

    Patriarca, il Libano soffre per la situazione in Siria… “Il Libano, essendo legato organicamente al mondo medio-orientale, si trova influenzato dagli avvenimenti regionali. Purtroppo oggi è diviso a causa del conflitto tra sciiti e sunniti a livello internazionale, da cui si fanno condizionare anche i libanesi di tale appartenenza. Tale conflitto paralizza quasi del tutto la vita politica ed economica nazionale. Non tutti i libanesi, particolarmente i musulmani, manifestano lealtà verso il bene superiore della nazione: fanno invece prevalere gli interessi della propria comunità. Quanto a noi, continuiamo ad agire con tutti i mezzi per la ricostituzione dell’unità nazionale”. In tale contesto, subito dopo l’elezione a Patriarca, Lei ha convocato a Bkerké dapprima i capi cristiani delle diverse fazioni, poi ha promosso alcuni incontri tra i capi delle diverse religioni… “Sì e ora si sta preparando in vertice in tal senso a livello medio-orientale. Devo dire che alla fine di ogni incontro interreligioso è stato emesso un comunicato ufficiale proprio per ribadire i principi – cui i capi religiosi sono tenuti - su cui si fonda il Libano: sempre c’è stato l’appello ai politici perché rispettino tali ‘costanti nazionali’ così da contribuire all’edificazione di una società libanese unita e caratterizzata dal pluralismo culturale e religioso”.  

     

    Venendo alla visita del Papa, quale atteggiamento palesano i musulmani libanesi verso Benedetto XVI? “Siano essi sunniti o sciiti hanno una grande venerazione per la persona del Santo Padre, sono entusiasti di accoglierlo”. Patriarca, che cosa si attendono i cristiani dal pellegrinaggio libanese di papa Ratzinger? “Sono trepidanti, pieni di gioia. Sarà per tutti noi una visita di incoraggiamento, di sostegno morale, di speranza in un momento storico così critico nel Paese e nell’intero Medio Oriente. Spero proprio che la visita del Papa riesca a promuovere una ‘primavera cristiana’ nel Medio Oriente, contribuendo molto all’auspicata e necessaria evoluzione di una  ‘primavera araba’ intesa in senso positivo. La Chiesa e la Presidenza della Repubblica sono in questi giorni nel pieno della preparazione della visita; è stato costituito un comitato centrale di coordinamento per i diversi avvenimenti: la firma e la proclamazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale, l’incontro con i giovani libanesi, la Messa conclusiva”. In sintesi, Patriarca, quali saranno i punti più importanti dell’Esortazione? “Nel documento si paleserà un piano pastorale per la Chiesa cattolica nel Medio Oriente, che racchiuderà certamente tre grandi dimensioni: la presenza effettiva dei cristiani in un contesto sociale molto problematico (con un richiamo al loro passato così incisivo e importante nei due mila anni di presenza), la comunione della Chiesa cattolica con quelle ortodosse e protestanti, la testimonianza del dialogo interreligioso a livello dei diversi servizi culturali e sociali dei cristiani e nel dialogo di vita quotidiana”:

     

    In ‘Rossoporpora’ di giugno (vedi Tempi 27/2012) si era riferito ampiamente di approcci cardinalizi differenti alla questione dei cosiddetti ‘matrimoni gay’ e dintorni. In quest’edizione ritroviamo alcuni dei protagonisti impegnati nel tentativo di chiarire le loro affermazioni. In particolare se ne ricorderà una – che aveva provocato accese controversie - del cardinale Rainer Maria Woelki durante il Katholikentag di maggio a Mannheim: “Se in una relazione omosessuale i due partecipanti si amano in modo duraturo e fedele, bisogna considerarla alla stregua di un rapporto tra due persone eterosessuali”. Ora l’arcivescovo di Berlino, intervistato dal noto settimanale tedesco Die Zeit nel numero con data 28 giugno 2012 e posto davanti alla richiesta di confermare tale considerazione, risponde partendo dal rifiuto dell’emarginazione degli omosessuali contenuto nel Catechismo della Chiesa cattolica: “Se io prendo sul serio tale atteggiamento di accoglienza, non posso vedere nelle relazioni omosessuali solo una ‘violazione della legge naturale’ com’è formulata nel Catechismo”. Perciò “cerco anche di comprendere, di guardare con rispetto al fatto che ci sono persone che si assumono una responsabilità ognuno verso l’altro e che tali persone si sono promesse fedeltà e cura reciproca; questo anche al di là della mia non condivisione del loro progetto di vita”. Conclude il cinquantacinquenne porporato: “Il progetto di vita, in cui noi come Chiesa cattolica ci riconosciamo, è quello del matrimonio sacramentale tra un uomo e una donna, aperto alla nuova vita. Questo ho detto a Mannheim immediatamente prima dell’affermazione citata”. Che dunque è pienamente confermata.

     

    Un’altra decisione cardinalizia in materia aveva fatto molto discutere: l’approvazione da parte del cardinale Christoph Schönborn  a fine marzo dell’elezione nel Consiglio pastorale di una parrocchia della sua arcidiocesi di un omosessuale dichiarato e praticante. Anche il porporato austriaco cerca di chiarire la sua decisione in un’intervista al settimanale cattolico più diffuso negli Stati Uniti, l’ Our Sunday Visitor (nel numero con data 5 luglio 2012). “Prima di tutto – rileva il presule sessantasettenne – credo che si trattasse di una situazione molto locale (a very local situation), certamente non adatta a una discussione pubblica”. E prosegue: “La sola cosa che ho messo in chiaro è che, se ho adottato tale decisione in una circostanza molto precisa, ciò non significava affatto che essa comportasse un qualsiasi cambiamento nel mio riferirmi al magistero cattolico”. Evidenzia poi il cardinale: “Il fatto è che talvolta ci confrontiamo con situazioni oggettivamente disordinate, ma dobbiamo farlo con la speranza che gli interessati siano incamminati sulla via della fede. Noi siamo una comunità di peccatori e dobbiamo tutti migliorare le nostre vite. Dobbiamo ancora percorrere un tratto di strada per essere sempre più conformi nel nostro vivere agli insegnamenti del Signore”. Poi  un’annotazione puntuale sul caso della parrocchia di Stützenhofen e del ventiseienne Florian Stangl: “Sono sicuro che il giovane è sulla via di una vita cristiana e vuole conformare sempre più i suoi comportamenti ai progetti di Dio. Sono stato chiaro con lui sul magistero della Chiesa, ma noi dobbiamo avere pazienza”. Inoltre – ribadisce l’arcivescovo di Vienna - la sola cosa che ho richiesto è di credere che io non ho preso con superficialità e arbitrariamente la decisione di confermare l’elezione nel Consiglio pastorale e che in nessun modo sto negando il magistero ecclesiale sulla questione”.

     

    Intanto il cardinale Keith O’ Brien, arcivescovo di Edimburgo, continua a evidenziare i gravi rischi per la società di un’equiparazione tra il matrimonio eterosessuale e unioni di omosessuali. Dopo la vigorosa lettera aperta, di cui si sono riportati ampi stralci nella scorsa edizione di “Rossoporpora”, il porporato settantaquattrenne ha chiesto al governo scozzese (come si legge sul quotidiano The Scotsman di lunedì 16 luglio) di sottoporre a referendum la revisione legislativa che intende equiparare le “unioni omosessuali” al matrimonio. Il motivo? I cittadini si interessano per le questioni morali fondamentali e quindi i politici “dovrebbero avere fiducia nel popolo e lasciar decidere gli scozzesi in materia”. Del resto sono state quasi 80mila le risposte giunte al governo entro dicembre, mentre nella consultazione riguardo all’indipendenza della Scozia erano state 26mila. In quest’ultimo caso il referendum è stato indetto per il 2014.

     

    Tuttavia il portavoce governativo la sera di martedì 17 luglio ha escluso il referendum sui “matrimoni omosessuali”, adducendo che in tale occasione si tratterebbe di questioni di coscienza e non di Costituzione. Entro fine luglio il governo deciderà perciò le modalità della revisione legislativa. Il ‘no’ al referendum può essere facilmente interpretato come dettato dalla paura che gli scozzesi avrebbero respinto la proposta: secondo i risultati di un recente sondaggio (apparsi sul quotidiano The Herald) infatti la maggior parte dell’elettorato scozzese resta contraria all’equiparazione. Insomma, una volta ancora, vince una sorta di “democrazia à la carte”, da utilizzare solo quando conviene. Forse si ricorderà che perfino in Svizzera si era tentato fino all’ultimo di evitare il voto popolare sul blocco della costruzione dei minareti: sforzi antidemocratici ben comprensibili nell’ottica dei loro promotori, dato che il 29 novembre 2009 oltre il 57% dei votanti si pronunciò poi a favore della proposta invisa alla larga maggioranza dei partiti, di altre istituzioni religiose e sindacali e della crème culturale.

     

    Del cardinale ‘O Brien aveva auspicato l’arresto (vedi il sito della BBC 1) - per le schiette e inequivocabili affermazioni fatte sull’equiparazione del cosiddetto “matrimonio omosessuale”- il cantante pop trentatreenne Will Young, durante la trasmissione ‘di punta’ Question Time del 9 marzo scorso. Il già vincitore del programma televisivo Pop Idol ha definito in tale occasione le forti valutazioni del porporato come tali da suscitare “ribrezzo”, degne come sarebbero dell’età della pietra. Il cardinale ‘O Brien per Will Young sarebbe una persona “ripugnante”: del resto con affermazioni simili, se fatte su temi razziali o religiosi, sarebbe già stato tradotto davanti a un giudice. Alla giornalista Janice Atkinson che gli faceva osservare come, secondo i suoi ragionamenti, ogni sacerdote che esprima un parere a favore sul matrimonio tradizionale dovrebbe essere incriminato, il cantante ha risposto che “sì, sarebbe proprio giusto!”. Will Young è certo un magnifico esemplare del ‘politicamente corretto’ nella sua accezione muscolare.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

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