DANTE ALIGHIERI: DALLA ‘LETTERA APOSTOLICA’ (CON PREMESSA SAMPIETRINA)– di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 2 aprile 2021
Oggi è il 2 aprile. E’ Venerdì Santo. Sedici anni fa si spegneva papa Giovanni Paolo II. 721 anni fa (il 25 marzo o l’8 aprile) iniziava il viaggio nell’Aldilà di Dante Alighieri. La lettera apostolica ‘Candor lucis aeternae’ valorizza gli aspetti più importanti del cammino dantesco – Una premessa sampietrina di triste attualità.
“Dopo il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. 4Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L'angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete». Ecco, io ve l'ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annuncio ai suoi discepoli” (Matteo, 28, 1-8). A chi ci legge: Buona Pasqua, feconda di speranza e di vita nuova!
PREMESSA SAMPIETRINA DI TRISTE ATTUALITA’
E’ Venerdì Santo. Il pensiero non può non andare ai cristiani perseguitati in tante parti del mondo, alla Terrasanta, ai malati, ai disoccupati, ai disperati, ai rifugiati, ai bambini cui è stato impedito di nascere e a chi invece è stato offerto di morire. Tuttavia oggi scegliamo di pubblicare il passo secondo noi più significativo (per la tematica sampietrina) di una lettera che in questi giorni ha sollevato intense emozioni in chi l’ha potuta leggere online: è legata a una vicenda vaticana che si pone in un’altra dimensione rispetto alle tragedie sopra evocate, ma appare tuttavia come grottesca e inquietante. Come è noto, nella Basilica di San Pietro (da secoli la basilica-simbolo della Chiesa universale) a partire dal 22 marzo 2021 sono entrate in vigore nuove norme che riguardano la riduzione delle messe, con il divieto di celebrazioni individuali, l’obbligo di concelebrare, l’autorizzazione richiesta per poter celebrare nella forma straordinaria del rito romano (e solo nelle Grotte vaticane). Della decisione che ha fatto strame sia di documenti conciliari che successivi – una vera ‘soperchieria’ direbbe il Manzoni - abbiamo riferito anche in questo nostro sito (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1005-nota-lobby-al-lavoro-c-e-chi-reagisce-anche-in-vaticano.html ).
La lettera cui accennavamo - drammatica, originata dalla ferita profonda inferta dall’imposizione vaticana - è firmata del cardinale Joseph Zen-Zekiun (indomito combattente per la libertà della Chiesa in Cina) ed è indirizzata al confratello card. Robert Sarah, fino a poche settimane fa prefetto della Congregazione per il Culto divino. Sarah aveva criticato in modo esaustivo e convincente il 29 marzo 2021 la decisione a dir poco strampalata, trasmessa su carta della Prima Sezione della Segreteria di Stato e siglata malamente “EP” (Edgar Peña Parra, Sostituto Segretario di Stato e in tale veste assiduo di Santa Marta), chiedendone l’annullamento (vedi in particolare il blog “Settimo Cielo” di Sandro Magister). Come lui si erano pronunciati pubblicamente, negativamente e con fior di argomentazioni anche i cardinali Raymond L. Burke, Walter Brandmüller, Gerhard Ludwig Müller, oltre all’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Ecco un passaggio secondo noi particolarmente intenso della lettera (che evoca in altra parte anche gli attuali rapporti sino-vaticani). Scrive in riferimento alle nuove norme l cardinale Joseph Zen-Zekiun:
(…) “Se non fosse per le restrizioni imposte dal Coronavirus io prenderei il primo volo per venire a Roma e mettermi in ginocchio davanti alla porta di Santa Marta finché il Santo Padre faccia ritirare quell’editto.
Era la cosa che più fortificava la mia fede ogni volta che venivo a Roma: alle sette precise si entra in sagrestia (incontravo quasi sempre il sant’uomo, l’arcivescovo e poi cardinale Paolo Sardi), un giovane prete si fa avanti e mi aiuta a vestire i paramenti, poi mi portano ad un altare (in basilica o nelle grotte non fa differenza per me, siamo nella basilica di San Pietro!). Penso che sono state le messe che, in vita mia, ho celebrato con più fervore e commozione, qualche volta con le lacrime pregando per i nostri martiri viventi in Cina” (…)
LA ‘LETTERA APOSTOLICA’ CANDOR LUCIS AETERNAE PER IL 700.MO DELLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI
In data 25 marzo 2021 - festa dell’Annunciazione - è stata promulgata, a firma di papa Francesco, la Lettera apostolica Candor Lucis aeternae per il settecentesimo della morte di Dante Alighieri. A una breve introduzione seguono nove capitoli indubbiamente di sostanza, che riguardano inizialmente le parole dei Papi dell’ultimo secolo sul sommo Poeta e poi tra l’altro la sua vita come “paradigma della condizione umana”, Dante quale profeta di speranza, cantore del desiderio umano, poeta della misericordia divina e della libertà umana, le tre donne della Commedia (Maria, Beatrice, Lucia), san Francesco e Madonna Povertà, l’accoglienza della sua testimonianza. E’ un testo su un argomento culturale specialistico e, come capita sempre (salvo eccezioni) in questi casi, certo non è di mano papale (né si può pretenderlo) ma del dicastero competente in materia. Insomma è del cardinale Gianfranco Ravasi e dei suoi collaboratori più stretti come monsignor Pasquale Jacobone. Che papa Francesco non ci abbia messo mano emerge anche dal fatto che Dante mai è definito nella Lettera come “migrante”, ma sempre come “esule” o “pellegrino”. Vi pare che Jorge Mario Bergoglio, se fosse stato lui l’autore del documento, avrebbe perso l’occasione di appiccicare il termine “migrante” anche al Sommo Poeta (dopo che l’ha appiccicato con intenti demagogici o per confusione lessicale ripetutamente anche a Maria, Giuseppe e Gesù)?
Tra dantisti si è sempre molto discusso della datazione del viaggio nell’Aldilà che si concretizza letterariamente nella Commedia. Il sito della Società Dante Alighieri https://ladante.it/ dà conto del dibattito ancora in corso. L’anno dovrebbe essere il primo del nuovo secolo (un passaggio connotato spesso da un’ansia di rinnovamento), cioè il 1300, quando il poeta è “nel mezzo del cammin” di sua vita (35 anni, essendo nato nel 1265): è anche l’anno del primo Giubileo, indetto da Bonifacio VIII. Secondo un'altra interpretazione il viaggio dantesco sarebbe incominciato invece il 25 marzo 1301, giortno che chiudeva il XIII secolo dall'Incarnazione del Signore. Per il giorno si deve considerare che Firenze applicava preferibilmente un calendario che incominciava ogni anno ab Incarnatione (25 marzo, l’alternativa era ab Nativitate – 25 dicembre ). Dunque il viaggio di Dante sarebbe incominciato il 25 marzo 1300 (primo giorno del nuovo anno e del nuovo secolo). Un’altra ipotesi pone l’inizio del viaggio dantesco al Venerdì Santo, memoria della morte di Cristo (in quell’anno l’8 aprile). Per la durata del viaggio è prevalente l’ipotesi dei sette giorni, come per la creazione del mondo: dal “principio del mattino” del primo giorno, quando Dante incontra la lonza al mezzogiorno del settimo giorno, quando Dante ascende alla visione di Dio.
ALCUNI PASSI DELLA LETTERA APOSTOLICA (LIBRERIA EDITRICE VATICANA)
. Perché la voce della Chiesa: Non può (…) mancare, in questa circostanza, la voce della Chiesa che si associa all’unanime commemorazione dell’uomo e del poeta Dante Alighieri. Molto meglio di tanti altri, egli ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore. Il suo poema, altissima espressione del genio umano, è frutto di un’ispirazione nuova e profonda, di cui il Poeta è consapevole quando ne parla come del «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par. XXV, 1-2).
. Benedetto XV(1921): “In lui non va soltanto ammirata l’altezza somma dell’ingegno, ma anche la vastità dell’argomento che la religione divina offerse al suo canto». E ne tesseva l’elogio, rispondendo indirettamente a quanti negavano o criticavano la matrice religiosa della sua opera: «Spira nell’Alighieri la stessa pietà che è in noi; la sua fede ha gli stessi sentimenti. […] Questo è il suo elogio principale: di essere un poeta cristiano e di aver cantato con accenti quasi divini gli ideali cristiani dei quali contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore”. (…) Per questo, sosteneva ancora il Papa, “gli insegnamenti lasciatici da Dante in tutte le sue opere, ma specialmente nel suo triplice carme” possono servire “quale validissima guida per gli uomini del nostro tempo” e particolarmente per studenti e studiosi, poiché “egli, componendo il suo poema, non ebbe altro scopo che sollevare i mortali dallo stato di miseria, cioè dal peccato, e di condurli allo stato di beatitudine, cioè della grazia divina”.
. Paolo VI (1965)/1: “Dante è nostro, possiamo ben ripetere; e ciò affermiamo non già per farne ambizioso trofeo di gloria egoista, quanto piuttosto per ricordare a noi stessi il dovere di riconoscerlo tale, e di esplorare nell’opera sua gli inestimabili tesori del pensiero e del sentimento cristiano, convinti come siamo che solo chi penetra nell’anima religiosa del sovrano Poeta può a fondo comprenderne e gustarne le meravigliose spirituali ricchezze”. E tale impegno non esime la Chiesa dall’accogliere anche le parole di critica profetica pronunciate dal Poeta nei confronti di chi doveva annunciare il Vangelo e rappresentare non sé stesso ma il Cristo: “Né rincresce ricordare che la voce di Dante si alzò sferzante e severa contro più d’un Pontefice Romano, ed ebbe aspre rampogne per istituzioni ecclesiastiche e per persone che della Chiesa furono ministri e rappresentanti”; tuttavia, appare chiaro che «tali fieri suoi atteggiamenti non abbiano mai scosso la sua ferma fede cattolica e la sua filiale affezione alla santa Chiesa”.
. Paolo VI (1965)/2: Il Papa aveva a cuore, in un momento storico denso di tensioni tra i popoli, l’ideale della pace e trovava nell’opera del Poeta una riflessione preziosa per promuoverla e suscitarla: “Questa pace dei singoli, delle famiglie, delle nazioni, del consorzio umano, pace interna ed esterna, pace individuale e pubblica, tranquillità dell’ordine, è turbata e scossa, perché sono conculcate la pietà e la giustizia. E a restaurare l’ordine e la salvezza sono chiamate a operare in armonia la fede e la ragione, Beatrice e Virgilio, la Croce e l’Aquila, la Chiesa e l’Impero».
. Paolo VI (1965)/3: Valutando, inoltre, le straordinarie qualità artistiche e letterarie di Dante, Paolo VI ribadiva un principio tante altre volte da lui affermato: “La teologia e la filosofia hanno con la bellezza un altro rapporto consistente in questo: che prestando la bellezza alla dottrina la sua veste e il suo ornamento, con la dolcezza del canto e la visibilità dell’arte figurativa e plastica, apre la strada perché i suoi preziosi insegnamenti siano comunicati a molti. Le alte disquisizioni, i sottili ragionamenti sono inaccessibili agli umili, che sono moltitudine, essi pure famelici del pane della verità: senonché anche questi avvertono, sentono e apprezzano l’influsso della bellezza, e più facilmente per questo veicolo la verità loro brilla e li nutre. È quanto intese e fece il signore dell’altissimo canto, a cui la bellezza divenne ancella di bontà e verità, e la bontà materia di bellezza”.
. Francesco (2021)/1, vita e opere: Con questa Lettera Apostolica desidero anch’io accostarmi alla vita e all’opera dell’illustre Poeta (…) manifestandone sia l’attualità sia la perennità, e per cogliere quei moniti e quelle riflessioni che ancora oggi sono essenziali per tutta l’umanità, non solo per i credenti. L’opera di Dante, infatti, è parte integrante della nostra cultura, ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresenta il patrimonio di ideali e di valori che anche oggi la Chiesa e la società civile propongono come base della convivenza umana, in cui possiamo e dobbiamo riconoscerci tutti fratelli.
. Francesco (2021)/2, l’esilio: Nell’esilio, l’amore per la sua città, tradito dagli «scelleratissimi fiorentini» (Ep. VI, 1), si trasformò in triste nostalgia. La delusione profonda per la caduta dei suoi ideali politici e civili, insieme alla dolorosa peregrinazione da una città all’altra in cerca di rifugio e sostegno non sono estranee alla sua opera letteraria e poetica, anzi ne costituiscono la radice essenziale e la motivazione di fondo. Quando Dante descrive i pellegrini che si mettono in cammino per visitare i luoghi santi, in qualche modo rappresenta la sua condizione esistenziale e manifesta i suoi più intimi sentimenti (…) Dante, riflettendo profondamente sulla sua personale situazione di esilio, di incertezza radicale, di fragilità, di mobilità continua, la trasforma, sublimandola, in un paradigma della condizione umana, la quale si presenta come un cammino, interiore prima che esteriore, che mai si arresta finché non giunge alla meta.
. Francesco (2021)/3, profeta di speranza: Dante (…), rileggendo soprattutto alla luce della fede la propria vita, scopre anche la vocazione e la missione a lui affidate, per cui, paradossalmente, da uomo apparentemente fallito e deluso, peccatore e sfiduciato, si trasforma in profeta di speranza. Nell’Epistola a Cangrande della Scala chiarisce, con straordinaria limpidezza, la finalità della sua opera, che si attua e si esplica non più attraverso azioni politiche o militari ma grazie alla poesia, all’arte della parola che, rivolta a tutti, tutti può cambiare: «Bisogna dire brevemente che il fine del tutto e della parte è rimuovere i viventi in questa vita da uno stato di miseria e condurli a uno stato di felicità» (XIII, 39).
. Francesco (2021)/4, poeta della misericordia: Si tratta di un cammino non illusorio o utopico ma realistico e possibile, in cui tutti possono inserirsi, perché la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare, di convertirsi, di ritrovarsi e ritrovare la via verso la felicità. (…) Significativo è il re Manfredi, collocato da Dante nel Purgatorio, che così rievoca la propria fine e il verdetto divino: “Poscia ch’io ebbi rotta la persona / di due punte mortali, io mi rendei, / piangendo, a quei che volontier perdona. / Orribil furon li peccati miei; / ma la bontà infinita ha sì gran braccia, / che prende ciò che si rivolge a lei” (Purg. III, 118-123). Sembra quasi di scorgere la figura del padre della parabola evangelica, con le braccia aperte pronto ad accogliere il figlio prodigo che a lui ritorna (cfr Lc 15,11-32).
. Francesco (2021)/5, poeta della libertà: Dante si fa paladino della dignità di ogni essere umano e della libertà come condizione fondamentale sia delle scelte di vita sia della stessa fede. Il destino eterno dell’uomo – suggerisce Dante narrandoci le storie di tanti personaggi, illustri o poco conosciuti – dipende dalle sue scelte, dalla sua libertà: anche i gesti quotidiani e apparentemente insignificanti hanno una portata che va oltre il tempo, sono proiettati nella dimensione eterna. Il maggior dono di Dio all’uomo perché possa raggiungere la meta ultima è proprio la libertà, come afferma Beatrice: «Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate» (Par. V, 19-22). Non sono affermazioni retoriche e vaghe, poiché scaturiscono dall’esistenza di chi conosce il costo della libertà: «Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta» (Purg. I, 71-72). Ma la libertà, ci ricorda l’Alighieri, non è fine a sé stessa, è condizione per ascendere continuamente, e il percorso nei tre regni ci illustra plasticamente proprio questa ascesa, fino a toccare il Cielo, a raggiungere la felicità piena.
. Francesco (2021)/6, ‘le tre donne della Commedia’: Dante, che non è mai solo nel suo cammino, ma si lascia guidare dapprima da Virgilio, simbolo della ragione umana, e quindi da Beatrice e da San Bernardo, ora, grazie all’intercessione di Maria, può giungere alla patria e gustare la gioia piena desiderata in ogni momento dell’esistenza: “E ancor mi distilla / nel core il dolce che nacque da essa” (Par. XXXIII, 62-63). Non ci si salva da soli, sembra ripeterci il Poeta, consapevole della propria insufficienza: “Da me stesso non vegno” (Inf. X, 61); è necessario che il cammino si faccia in compagnia di chi può sostenerci e guidarci con saggezza e prudenza. Appare significativa in questo contesto la presenza femminile. All’inizio del faticoso itinerario, Virgilio, la prima guida, conforta e incoraggia Dante a proseguire perché tre donne intercedono per lui e lo guideranno: Maria, la Madre di Dio, figura della carità; Beatrice, simbolo di speranza; Santa Lucia, immagine della fede.
. Francesco (2021)/7, un precursore della cultura multimediale: Al termine di questo sintetico sguardo all’opera di Dante Alighieri, una miniera quasi infinita di conoscenze, di esperienze, di considerazioni in ogni ambito della ricerca umana, si impone una riflessione. La ricchezza di figure, di narrazioni, di simboli, di immagini suggestive e attraenti che Dante ci propone suscita certamente ammirazione, meraviglia, gratitudine. In lui possiamo quasi intravedere un precursore della nostra cultura multimediale, in cui parole e immagini, simboli e suoni, poesia e danza si fondono in un unico messaggio. Si comprende, allora, perché il suo poema abbia ispirato la creazione di innumerevoli opere d’arte di ogni genere. Ma l’opera del Sommo Poeta suscita anche alcune provocazioni per i nostri giorni. Cosa può comunicare a noi, nel nostro tempo? Ha ancora qualcosa da dirci, da offrirci? Il suo messaggio ha un’attualità, una qualche funzione da svolgere anche per noi? Ci può ancora interpellare?
. Francesco (2021)/8, accoglierne la testimonianza: Dante – proviamo a farci interpreti della sua voce – non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il viaggio di Dante e la sua visione della vita oltre la morte non sono semplicemente oggetto di una narrazione, non costituiscono soltanto un evento personale, seppur eccezionale.
Se Dante racconta tutto questo – e lo fa in modo mirabile – usando la lingua del popolo, quella che tutti potevano comprendere, elevandola a lingua universale, è perché ha un messaggio importante da trasmetterci, una parola che vuole toccare il nostro cuore e la nostra mente, destinata a trasformarci e cambiarci già ora, in questa vita (…) Anche se Dante è uomo del suo tempo e ha sensibilità diverse dalle nostre su alcuni temi, il suo umanesimo è ancora valido e attuale e può certamente essere punto di riferimento per quello che vogliamo costruire nel nostro tempo.
. Francesco (2021)/9, far conoscere Dante: (…) E’ importante che l’opera dantesca, cogliendo l’occasione propizia del Centenario, sia fatta conoscere ancor di più nella maniera più adeguata, sia cioè resa accessibile e attraente non solo a studenti e studiosi, ma anche a tutti coloro che (…) vogliono vivere il proprio itinerario di vita e di fede in maniera consapevole, accogliendo e vivendo con gratitudine il dono e l’impegno della libertà.
Mi congratulo, pertanto, con gli insegnanti che sono capaci di comunicare con passione il messaggio di Dante, di introdurre al tesoro culturale, religioso e morale contenuto nelle sue opere. (…)
Esorto le comunità cristiane, soprattutto quelle presenti nelle città che conservano le memorie dantesche, le istituzioni accademiche, le associazioni e i movimenti culturali, a promuovere iniziative volte alla conoscenza e alla diffusione del messaggio dantesco nella sua pienezza.
Incoraggio, poi, in maniera particolare, gli artisti a dare voce, volto e cuore, a dare forma, colore e suono alla poesia di Dante, lungo la via della bellezza, che egli percorse magistralmente, e così comunicare le verità più profonde e diffondere, con i linguaggi propri dell’arte, messaggi di pace, di libertà, di fraternità.