IN MEMORIA DI MONSIGNOR VIRGILIO LEVI - DI GIUSEPPE RUSCONI - 'IL CONSULENTE RE' 2/2002
La cultura, la conoscenza del mondo della Chiesa; l’intuito folgorante; il rigore e l’essenzialità nella parola verbale e scritta; la capacità di comunicare senza fronzoli; la disponibilità e la generosità verso chi bussava alla sua porta in via delle Grazie numero 3.
Così ci piace ricordare monsignor Virgilio Levi, che sabato sera 19 gennaio 2002 se n’è andato là dove regna la pace eterna, al termine di una vita certo intensamente vissuta. Lo ricordiamo sul mensile del Gruppo RE, cui più volte aveva manifestato stima ed amicizia, raccomandandogli di tener sempre fede ai contenuti della dottrina sociale della Chiesa nel suo agire. L’avevamo conosciuto negli Anni Ottanta, da amico della musica classica e della Svizzera, tant’è vero che nel 1991 – per i settecento anni della Confederazione – aveva vinto il Concorso promosso da Alberto Wirth (fondatore della Scuola svizzera di Roma) per un nuovo testo dell’inno nazionale elvetico: diecimila franchi per “Gente fiera e forte/stretta in una sorte/T’apre le sue porte/Re del Ciel”. Da un’analoga “gente fiera e forte”, quella di Valtellina, veniva monsignor Levi, figlio di famiglia numerosa (9 figli), nato a Chiavenna il 23 giugno 1929. Ordinato sacerdote a Como il 28 giugno 1952, viceparroco in città, assistente di diverse organizzazioni ecclesiali, conseguì nel 1958 il dottorato in scienze politiche presso la Cattolica di Milano. Docente all’Università di Cagliari, all’inizio del 1967 fu chiamato a Roma da papa Paolo VI come segretario di redazione de “L’Osservatore Romano”. Nell’aprile 1972 divenne vicedirettore e lo restò fino al 1983, quando fu costretto alle dimissioni immediate per un commento sgradito sul secondo pellegrinaggio polacco di Giovanni Paolo II. Nell’articolo, intitolato “Onore al sacrificio” e apparso il 24 giugno 1983, monsignor Levi elogiava Lech Walesa per quanto fatto, ma evidenziava che “talvolta è necessario il sacrificio delle persone scomode, perché un miglior bene ne possa nascere per la comunità”. Il fondatore di Solidarnosc, osservava il vicedirettore dell’ “Osservatore”, “ci sembra entrato in questo spirito”. Collaboratore di varie testate, dal “Giornale” al “Times” (fu addirittura per un giorno condirettore dell’Adn-Kronos, ma rinunciò subito per le riserve di una parte della redazione e del PSI), dall’inizio del 1987 monsignor Levi divenne direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Roma, incarico che mantenne fino al giugno 1999. Proprio in occasione del suo ‘pensionamento’ l’Aula della Conciliazione in Laterano aveva ospitato la presentazione della sua antologia di scritti di Paolo VI (da cui aveva ricevuto 13 lettere autografe) al popolo di Dio che è in Roma (vedi intervista sul ‘Consulente RE’ 7/1999). Computer sempre acceso con il mappamondo sullo schermo, monsignor Levi era attentissimo a leggere i segni dell’attualità, non dimenticando mai l’Eterno: il saluto e l’adorazione nella cappellina, il richiamo al santo del giorno, l’arrivederci pervaso della convinzione che Dio è padre, va ringraziato e in Lui ci si ritroverà. La scrivania sempre piena di libri (tant’è vero che nell’ultimo incontro ci disse di avere una trentina di testi su Pio XII da leggere.. e li vedemmo accatastati su una sedia), chiedeva nello scritto rigore a se stesso e agli altri: talvolta si rammaricava che, a dispetto degli innumerevoli controlli, ancora gli erano sfuggiti quattro piccoli refusi nell’antologia di Paolo VI. L’ultimo regalo fu un testo in inglese (uscito negli Stati Uniti) sul pontificato di Giovanni Paolo II, la cui “visione –scrisse su “Roma-sette” l’anno scorso – scavalca noi e le prossime generazioni”. Leggilo, ci disse, “e vedrai quante annotazioni ti potranno interessare”. Arrivederci, monsignor Levi, e grazie.