SINODO/CARD. ANTONELLI: ATTENTI ALLA CONFUSIONE TRA I FEDELI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 11 giugno 2015
Un breve saggio del presidente emerito del Pontificio Consiglio per la famiglia sull’ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia. Chiarezza espositiva, nettezza di concetti su uno dei temi principali del dibattito sinodale. Maggiore accoglienza sì, ma molte controindicazioni a riguardo dell’accesso ai sacramenti senza una penitenza che si incarni in un cambiamento di vita. Il pericolo di banalizzare l’Eucaristia e di indebolire gravemente l’indissolubilità del matrimonio.
“Se il matrimonio cristiano può essere paragonato ad una montagna molto alta che pone gli sposi nell’immediata vicinanza di Dio, bisogna riconoscere che la sua salita richiede molto tempo e molta fatica. Ma sarà questa una ragione per sopprimere o abbassare tale vetta?”: è una riflessione che san Giovanni Paolo II ha offerto alle famiglie africane riunite a Kinshasa il 3 maggio 1980. Una “immagine suggestiva” che il cardinale Ennio Antonelli riprende nel breve saggio “Crisi del Matrimonio& Eucaristia” pubblicato dalle edizioni Ares e in uscita in questi giorni: “Il Papa era solito raccomandare ai pastori della Chiesa di non abbassare la montagna, ma di aiutare i credenti a salirla con il loro passo. Da parte loro i fedeli non devono rinunciare a salire verso la vetta; devono sinceramente cercare il bene e la volontà di Dio”.
L’immagine evocata già sintetizza il messaggio che il porporato umbro vuole proporre non solo ai padri sinodali ma all’intero mondo cattolico: in una società in cui la secolarizzazione “sta mettendo in crisi l’appartenenza di massa alla Chiesa, sarebbe fuorviante inseguire l’appartenenza numerica, mediante il disimpegno formativo e l’apertura indifferenziata, provocando un appiattimento generalizzato verso il basso”.
Il settantanovenne Ennio Antonelli, consacrato vescovo nel 1982 (prima Gubbio, poi Perugia), è stato pastore di Firenze dal 2001 per sette anni; creato cardinale da papa Wojtyla nel 2003, è stato incaricato poi da Benedetto XVI di presiedere il Pontificio Consiglio per la Famiglia dal 2008 al 2012, fino alle dimissioni per ragioni di età. E’ stato segretario generale della Cei dal 1995 al 2001. La sua odierna proposta è scritta – come osserva il cardinale Elio Sgreccia nella prefazione – “con spirito di umiltà e parresia e con uno stile semplice e trasparente”: dunque nessuna verbosità, nessuna fumisteria, nessun contorsionismo nel breve saggio, ma una riflessione sul matrimonio cristiano che, frutto anche dello spessore culturale dell’autore, si dipana senza fronzoli e senza possibili equivoci. Di questi tempi non è poca cosa. Ognuno poi deciderà se accogliere totalmente o parzialmente o non accogliere per nulla le suggestioni dell’autore.
Nove i capitoli in cui si suddivide il testo, incentrato su un argomento preciso, come “contributo di riflessione personale” per il Sinodo di ottobre: “la possibilità di ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati e i conviventi”. Dopo la premessa metodologica Ennio Antonelli ricorda quel che dicono oggi dottrina e disciplina della Chiesa cattolica in materia, un ‘no’ per motivi teologici e pastorali; affronta poi il tema della “perfettibilità della prassi vigente” (“Si potrebbero affidare con maggiore larghezza ai divorziati risposati alcuni compiti ecclesiali finora vietati, almeno quando non lo sconsiglino inderogabili esigenze di esemplarità”); rievoca nel quarto capitolo “le proposte innovative”.
NEL QUINTO CAPITOLO SEI OBIEZIONI CONTRO LA COMUNIONE AI CONVIVENTI IRREGOLARI
Il capitolo successivo è intitolato “Obiezioni contro l’ammissione dei conviventi irregolari all’Eucaristia”. Il cardinale Antonelli riporta in questo che è il capitolo centrale del breve saggio le ragioni che – anche secondo “autorevoli pastori e qualificati esperti” - obstano all’ammissione alla Comunione dei conviventi irregolari. Vediamole da vicino.
La prima è tutta da citare: “Non va sottovalutato il rischio di compromettere la credibilità del Magistero del Papa, che anche recentemente con san Giovanni Paolo II e il suo successore Benedetto XVI ha escluso ripetutamente e fermamente la possibilità di ammettere ai sacramenti i risposati e i conviventi. Con quella del papa, viene indebolita anche l’autorità di tutto l’episcopato cattolico, che per secoli ha condiviso la stessa posizione”. Seconda ragione: “Accoglienza ecclesiale verso i divorziati risposati e più in generale verso i conviventi irregolari non significa necessariamente accoglienza eucaristica”. Del resto “nell’odierno contesto culturale di relativismo c’è il rischio di banalizzare l’Eucaristia e ridurla a un rito di socializzazione. Tanto è vero che “è già successo che persone neppure battezzate si siano accostate alla mensa, pensando di fare un gesto di cortesia, o che persone non credenti abbiano reclamato il diritto di comunicarsi in occasione di nozze e funerali, semplicemente in segno di solidarietà con gli amici”.
Terza ragione: “Si vorrebbe poi concedere l’eucaristia ai divorziati risposati affermando l’indissolubilità del primo matrimonio e non riconoscendo la seconda unione come un vero e proprio matrimonio (in modo da evitare la bigamia)”. Posizione “pericolosa”, osserva l’autore, poiché “conduce logicamente ad ammettere il lecito esercizio della sessualità genitale fuori del matrimonio, anche perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati”. Quarta ragione: se è vero che “anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (“per esempio l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli”), è necessario però “evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini”. Qui il cardinale Antonelli cita non a caso un passo famoso della prima Lettera di san Paolo ai Corinzi: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”. Evidenzia l’autore che la Chiesa, che pur “si astiene dal giudicare le coscienze, che solo Dio vede”, tuttavia “non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male”.
Quinta ragione: “L’ammissione dei divorziati risposati e dei conviventi alla mensa eucaristica comporta una separazione tra misericordia e conversione, che non sembra in sintonia con il Vangelo”. In effetti, “questo sarebbe l’unico caso di misericordia senza conversione”. Certo Dio “concede sempre il perdono: ma lo riceve solo chi è umile, si riconosce peccatore e si impegna a cambiar vita”. Al contrario oggi, “il clima di relativismo e soggettivismo etico-religioso (…) favorisce l’autogiustificazione, particolarmente in ambito affettivo e sessuale”, perché “il bene è ciò che si sente come gratificante e rispondente ai propri desideri istintivi”. Certo “è facile attribuire la colpa del fallimento all’altro coniuge e proclamare la propria innocenza”. Ma “non si deve tacere però il fatto che, se la colpa del fallimento può qualche volta essere di uno solo, almeno la responsabilità della nuova unione (illegittima) è di ambedue i conviventi ed è questa soprattutto che, finché perdura, impedisce l’accesso all’Eucaristia”. Insomma: “Non ha fondamento teologico la tendenza a considerare positivamente la seconda unione e a circoscrivere il peccato alla sola precedente separazione. Non basta fare penitenza per questa soltanto. Occorre cambiare vita”.
Sesta e ultima ragione: “Di solito i favorevoli alla comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi affermano che non si mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio”. Eppure, “al di là delle loro intenzioni” e “stante l’incoerenza dottrinale tra l’ammissione di queste persone all’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio, si finirà per negare nella prassi concreta ciò che si continuerà ad affermare teoricamente in linea di principio”.
CIO’ CHE E’ MALE NON PUO’ DIVENTARE IL BENE ATTUALMENTE POSSIBILE
Nel sesto capitolo il cardinale Antonelli ricorda che per la Chiesa sono distinte “la verità oggettiva del bene morale e la responsabilità soggettiva delle persone”, cioè tra la legge e la coscienza. La Chiesa “riconosce che nella responsabilità personale esiste una legge della gradualità, mentre nella verità del bene e del male non esiste una gradualità della legge”. Ovvero: “Non è graduale l’obbligo di fare il bene, ma è graduale la capacità di farlo”. Evidenzia qui l’autore che “le unioni illegittime sono fatti pubblici e manifesti” e la Chiesa “non può trincerarsi nel silenzio e nella tolleranza”, perché “è costretta a intervenire per disapprovare apertamente tali situazioni oggettive di peccato”. Se la Chiesa “le approvasse quasi fossero il bene che al momento è possibile” per le persone implicate, “devierebbe dalla legge della gradualità alla gradualità della legge, condannata da san Giovanni Paolo II”. In sintesi: “Ciò che è male non può diventare il bene attualmente possibile”.
Nel capitolo seguente, il settimo, il porporato umbro ripercorre la storia dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale, dai Vangeli ai Concili ecumenici ai pronunciamenti più recenti, in particolare di papa Wojtyla nel discorso del 21 gennaio 2000 al Tribunale della Rota Romana. La conclusione è una sola: “L’indissolubilità assoluta del matrimonio sacramentale rato e consumato, sebbene non sia stata proclamata con una formale definizione dogmatica, tuttavia è insegnata dal Magistero ordinario, anch’esso infallibile, appartiene alla fede della Chiesa e perciò i cattolici non possono metterla in discussione”.
Nell’ottavo capitolo il cardinale Antonelli annota che nella visione del Concilio ecumenico vaticano II (Gaudium et Spes, 48) “il matrimonio non è riconducibile a un contratto giuridico; ma non è riconducibile neppure a una sintonia affettiva, spontanea e senza legami”. Esso è invece “chiaramente delineato come una forma di vita comune plasmata dall’amore coniugale, che per natura sua è ordinato alla procreazione e all’educazione della prole e perciò comporta l’intimità sessuale, la donazione reciproca totalizzante, fedele e indissolubile”. Sono proprio “l’apertura ai figli e l’intimità sessuale che caratterizzano l’amore coniugale rispetto a ogni altro amore”.
Giungiamo quindi al capitolo finale, con le cui citazioni abbiamo aperto la recensione di un testo chiaro, ben argomentato, che merita tanti lettori, pur se non tutti condivideranno la tesi dell’autore. Il saggio appare in traduzione spagnola e inglese sul sito del Pontificio Consiglio per la famiglia (www.familia.va)