CATTOLICI E SHOAH: PAROLE SFERZANTI IN PIAZZA SAN PIETRO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 24 ottobre 2019
Anche quest’anno ‘Ricordiamo Insieme’ ha commemorato la razzia nazista dell’ottobre 1943. Proposta in Piazza San Pietro la creazione di un memoriale dell’antigiudaismo cristiano. Le riflessioni laceranti del gesuita Stephan Dartmann, rettore del Pontificio Collegio Germanico e Ungarico. Dopo la ‘Marcia dei mille passi’, all’ex-Collegio militare la toccante testimonianza di Sami Modiano. Tra i partecipanti studenti di scuole romane (70 del Liceo classico Giulio Cesare)
E’ ormai dal 2013 che l’associazione ‘Ricordiamo Insieme’ (Tobias e Friederike Wallbrecher, Grazia, Sara e Riva Spizzichino) commemora la razzia nazista del 16 ottobre 1943 che comportò la deportazione a Auschwitz-Birkenau di 1022 ebrei romani. Solo 16 tornarono. La cerimonia di ‘Ricordiamo Insieme’ si affianca così ormai stabilmente a quella che da un quarto di secolo è promossa congiuntamente dalle Comunità di Sant’Egidio ed ebraica romana, contraddistinta dalla marcia silenziosa che da Santa Maria in Trastevere raggiunge il Portico d’Ottavia (quest’anno – molto partecipata come sempre – si è svolta il 12 ottobre).
Per il terzo anno consecutivo la commemorazione di ‘Ricordiamo Insieme’ ha avuto inizio in Piazza San Pietro, davanti all’obelisco. Circa duecento i convenuti, con in prima fila gli ambasciatori di Germania presso il Quirinale e presso la Santa Sede (un fatto insolito che ci fossero ambedue, ma ciò evidenzia l’importanza del gesto), l’ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, il vice-ambasciatore d’Austria presso il Quirinale, il consigliere Ucei Giacomo Moscati, l’ordinario militare mons. Santo Marcianò. Molti i giovani, con rappresentanze della Scuola Germanica, del Liceo Malpighi, del Vittoria Colonna, del Sacro Cuore di Trinità dei Monti, dell’Istituto di via Silvestri e del Liceo Giulio Cesare, presente in forze con una settantina di studenti accompagnati dalla preside Paola Senesi e da alcuni insegnanti. L’ambasciatore di Israele David Oren ha inviato un lungo messaggio di sostegno: “E’ fondamentale che eventi come questo continuino negli anni per mantenere il loro scopo educativo e di memoria”.
Diciamo subito che la cerimonia in Piazza San Pietro non è stata certo di routine. Quello che abbiamo ascoltato merita di essere riportato così da stimolare in chi ci legge riflessioni anche dolorose non solo su quanto accadde 76 anni fa, ma anche sull’attualità dei nostri tempi.
RICORDIAMO INSIEME: ERIGERE IN PIAZZA SAN PIETRO UN MEMORIALE DELL''ANTIGIUDAISMO CRISTIANO
Dapprima - dopo l’intensa esecuzione di Blowing in the Wind per la voce di Bibiana Carusi e la fisarmonica di Berthold Pesch – il saluto di Tobias Wallbrecher, che ha evidenziato la persistenza di “un antigiudaismo irrazionale di provenienza cristiana profondamente radicato (…) anche nella Chiesa Cattolica, nonostante il documento Nostra Aetate, in realtà conosciuto e letto da pochi”. Wallbrecher ha così proposto “la creazione di un memoriale per l’antigiudaismo cristiano bimillenario, proprio sul territorio dello Stato Vaticano, in Piazza San Pietro”. E da lì “questa memoria ammonitrice dovrebbe espandersi in ogni diocesi, davanti a ogni cattedrale e trovare posto in ogni parrocchia (…) come le settemila pietre d’inciampo esistenti in Europa”. C’è “un forte bisogno di un nuovo inizio potente e travolgente”: allo “smascheramento dell’antisemitismo in tutte le sue forme, sia esso nascosto nelle catechesi, nelle omelie, nella liturgia o altrove, si accompagni sempre il dialogo costante tra ebrei e cristiani, una percezione critica e benigna”.
IL RETTORE PADRE STEPHAN DARTMANN: MI VERGOGNO ANCHE PER I SILENZI DEL MIO COLLEGIO PONTIFICIO
E’ seguito l’intervento di padre Stephan Dartmann, rettore del Pontificio Collegio Germanico e Ungarico, che ha esordito rievocando una drammatica esperienza personale a Tel Aviv con una signora ebrea tedesca sopravvissuta di Auschwitz, che rifiutava ormai di parlare in tedesco. Padre Dartmann si è chiesto quali sentimenti provasse in Germania la cosiddetta ‘maggioranza silenziosa’, quanti fossero i “convinti nazisti”, che cosa “ha paralizzato in pubblico gli insegnanti, i sacerdoti, i funzionari e il popolo, i soldati tedeschi, le persone con autorità e prestigio”, rendendoli “complici, seguaci, spettatori silenziosi”.
Dartmann, da quattro anni rettore del Pontificio Collegio, ha ammesso che, prima del suo arrivo, “i giorni dal 16 al 23 ottobre 1943 non avevano un senso specifico” per lui. Solo a Roma si è reso conto “dell’ingiustizia inimmaginabile e delle atrocità indescrivibili”. E si è chiesto tra l’altro “dove fosse la protesta dei cristiani” (perché “di persone giuste ce n’erano, ma erano poche”) e qual era stato l’esempio dato dai rettori suoi predecessori agli studenti.
Il padre gesuita ha voluto rileggere quanto scriveva il Korrespondenzblatt, rivista inviata annualmente agli ex-alunni nel mondo, tra gli anni 1934 e 1947. Ebbene, non vi ha trovato nulla sulla razzia nazista dell’ottobre 1943, neanche nella colonna “Notizie dalla vita cittadina romana”. Perché “questi inconcepibili crimini non sono stati nominati, raccontati, ricordati, non si è riflettuto sui di essi”? Padre Dartmann “prova vergogna” per tutto questo. Anche se non si sente in colpa: non viveva a quel tempo e non ritiene di dover giudicare nessuno, perché “sarebbe stato ben possibile” che ignorasse i crimini o addirittura considerasse le notizie su di essi come fake news. Però “le domande scomode rimangono”. E si pongono drammaticamente, Di nuovo oggi l’antisemitismo rialza la testa, in Germania e non solo: “Che cosa faremo quando non ci saranno più persone, tra i vivi, che ci metteranno in guardia tendendo verso di noi la mano sulla quale è inciso a fuoco il numero del campo di concentramento”? Perciò “vigilare e smascherare sono le uniche armi per fermare in tempo il nemico, prima che si annidi nel nostro pensare, nel nostro agire, sentire e giudicare”. E non dimentichiamo mai le parole di Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
NANDO TAGLIACOZZO: TANTA STRADA ANCORA DA FARE
Nando Tagliacozzo, nella cui famiglia molti sono stati i deportati, ha – nel suo intervento – ricordato inizialmente con gratitudine i sacerdoti che in Piazza hanno fornito stimoli molto utili alla riflessione nel 2017 e nel 2018: don Filippo Morlacchi (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/731-roma-16-ottobre-43-dovevamo-esserci-e-non-ci-siamo-stati.html) e padre Etienne Vetö (direttore del Centro Cardinal Bea per gli studi giudaici, presente in Piazza). E’ vero, ha rilevato Tagliacozzo, che “i rapporti tra il mondo ebraico e la Chiesa di Roma stanno vivendo una stagione particolare di dialogo, quale non sarebbe stata immaginabile secoli addietro e fino a pochi decenni fa”. Ancora negli Anni Quaranta “i rapporti tra il mondo ebraico romano, e non solo, e la Chiesa di Roma, non erano particolarmente ‘amichevoli’. E non lo erano da molto tempo”. Forse però “proprio dagli eventi del 16 ottobre, pur se tra notevoli incertezze ed indecisioni, iniziò un cambiamento nell’atteggiamento della Chiesa. (…) Si aprirono allora le porte dei conventi per dare rifugio ed accoglienza agli ebrei in fuga. (…) Anche molti sacerdoti si adoperarono in prima persona per la salvezza degli ebrei e dei perseguitati”. Il cammino da fare è però ancora lungo. E, se sono “importantissimi” gli incontri al vertice (visite papali in Sinagoga, visite papali in Israele, al Memoriale della Shoah), tuttavia è necessario che la conoscenza dei fratelli ebrei sia fatta propria dall’intero popolo cattolico: “Allora i Mille Passi che stiamo per compiere avranno ancora più senso e importanza perché destinati non solo a ricordare il passato, ma anche a costruire un futuro di rispetto e riconoscimento reciproco”.
SUI FIUMI DI BABILONIA NOI SEDEVAMO PIANGENDO AL RICORDO DI SION
Dopo l’accensione da parte dei diplomatici di 6 candele del Memoriale di Auschwitz (donate dall’ambasciatore polacco Janusz Kotański ), la Marcia dei Mille Passi si è avviata, aperta da un grande vaso di fiori con rose rosse e bianche, verso Palazzo Salviati sul Lungotevere, già Collegio militare e oggi sede del Centro Alti Studi per la Difesa (CASD). Entrando nel cortile, i partecipanti hanno potuto ascoltare i nomi degli oltre mille deportati, che riapparivano e scomparivano anche su un grande schermo (video: “Quanta memoria ancora?”).
La seconda parte della commemorazione, proprio nel luogo in cui furono ammassati circa 1200 ebrei, gran parte dei quali poi deportati a Auschwitz, è stata introdotta musicalmente (con un intenso “Portico d’Ottavia”) dal coro e orchestra della diocesi di Roma (diretti da mons. Marco Frisina).
Dopo un nuovo saluto di Tobias Wallbrecher (nel frattempo era sopraggiunto anche il Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni), ha preso la parola il generale Fernando Giancotti (presidente del CASD), che ha definito Palazzo Salviati “luogo di formazione, aperto nello spirito, ma anche casa di tutti, perché luogo della memoria”.
LA STRUGGENTE E SERENA TESTIMONIANZA DI VERITA' DI SAMI MODIANO
“Sui fiumi di Babilonia/noi sedevamo piangendo al ricordo di Sion/Ai salici di quella terra/ai salici noi appendemmo le nostre cetre”: il Salmo 137, sempre eseguito musicalmente con grande sensibilità dal coro diocesano ha preceduto la testimonianza di Sami Modiano, uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz-Birkenau. Le riflessioni dell’ottantanovenne nato nell’isola di Rodi hanno coinvolto, turbato e commosso profondamente come sempre tutti i convenuti, non solo i giovani studenti. Rispondendo ad alcune domande, Modiano ha ricordato il “viaggio lunghissimo”, in condizioni disumane, verso una destinazione ignota. L’arrivo a Birkenau e “lì, quel 16 agosto 1944, ci rendemmo conto subito che cosa ci aspettasse: l’80% della comunità ebraica di Rodi, 2100 persone, fu mandato in quelle prime ore nei formi crematori”. Particolarmente toccante il ricordo ancora ben vivo che Modiano ha del padre che, “ammazzata barbaramente mia sorella Lucia, bellissima e intelligentissima, non ha più voluto continuare a vivere. Prima di morire, mi chiamò e mi diede la sua benedizione dicendo: Sami, tieni duro. Tu ce la devi fare”. Queste, ha aggiunto, “sono cose che non si possono cancellare, te le porti dietro e io non sono mai uscito da quell’inferno, sono ancora là, a Birkenau. E’ una piaga che non si chiuderà mai”.
Sami Modiano ha detto di non provare odio né rancore verso i tedeschi. Certo chi aveva commesso tali crimini orrendi avrebbe dovuto pagare. “Purtroppo molti di loro l’hanno fatta franca, non hanno pagato”. L’Armata Rossa liberò il campo il 27 gennaio 1945: “Ero uno scheletro, pesavo 25 kg, ma essendo giovane – avevo poco più di 14 anni – mi ripresi a poco a poco. Ho dovuto lavorare per i russi; poi mi hanno portato in Polonia e da lì sono scappato con Settimio Limentani (il figlio Leo sedeva accanto a Modiano). Limentani aveva preparato l’itinerario per tornare a Roma, io lo sostenevo fisicamente. Andammo a piedi (camminavamo solo di notte) verso l’Austria, dove c’erano gli americani….
Per molto tempo Sami Modiano non ha voluto parlare pubblicamente della tragedia. L’ha convinto Piero Terracina (con lui a Birkenau). Modiano si è ripromesso di raccontare degli orrori del lager “fino a quando Dio me ne darà la forza”. E i ragazzi per lui “sono importantissimi, sono lo stimolo per poter continuare: non voglio che questi giovani vedano quel che ho visto io”.
Dio, ecco… “A Rodi sono stato educato nella fede religiosa ebraica. A Birkenau l’ho persa quando, già debilitato, mi hanno fatto pulire un canale vicino alla rampa della morte. Arrivò un convoglio, altre duemila persone, proprio come quando noi eravamo giunti da Rodi. Come è possibile che Dio l’avesse permesso? Come è possibile che Dio non avesse impedito che tanti bambini innocenti fossero mandati a morte? mi sfogai. Lì persi la mia fede. Pian piano l’ho riacquistata. Ora, grazie a Dio, sono sereno, sono tranquillo, ho una missione da compiere, fino a quando Dio vorrà”.
MASSIMO FINZI: NOTE SUL CONCETTO EBRAICO DI PERDONO
Grande emozione nell’ex-Collegio militare. “Pacem, dona nobis pacem in terris” con il coro e orchestra della diocesi di Roma. Poi Massimo Finzi, assessore alla Memoria della Comunità ebraica di Roma, ha parlato del perdono nella tradizione ebraica. Subito una puntualizzazione importante: “Ancora oggi è largamente diffusa l’opinione che l’ebraismo sia una religione dominata da un Dio severo di giustizia, contrapposto a un Dio cristiano basato sull’amore. In realtà la tradizione ebraica esprime tutt’altro quando afferma che l’umanità intera non potrebbe sopravvivere senza la misericordia divina”. Insomma “giustizia e amore camminano di pari passo, impossibile separarli”.
Del resto “l’ebraismo attribuisce un valore immenso al perdono tanto da aver dedicato un giorno del calendario al Kippur, la solenne ricorrenza legata all’espiazione dei peccati e quindi al perdono stesso”. Il Kippur “era una ricorrenza rispettata con il digiuno perfino nei campi di sterminio, dove un solo boccone di pane poteva fare la differenza tra la vita e la morte”.
Un’altra notazione assai interessante: “L’ebraismo non prevede il perdono ‘conto terzi’ o per procura nel senso che nessuno può scusarsi o perdonare al posto di altri. La richiesta del perdono è diretta: parte da colui che ha procurato l’offesa e va in direzione di chi l’ha subita. Insomma non è consentito porgere la guancia di un altro”.
Don Pino Pulcinelli, responsabile diocesano di Roma per i rapporti con l’ebraismo, ha poi evidenziato, riguardo alla razzia dell’ottobre 1943, “il colpevole silenzio anche di chi tra i cristiani non ha fatto quanto avrebbe potuto. In troppi hanno voltato le spalle per paura, indifferenza, ignoranza”. Anche oggi “molta strada resta da fare per opporsi ai rigurgiti di antisemitismo”.
Ancora il coro e l’orchestra di mons. Frisina (salmo 133, Hinne mah tov), infine – a concludere degnamente la commemorazione, il coro degli alunni delle scuole della Comunità ebraica di Roma (diretto dal maestro Josef Anticoli) con Ani maamin/Io credo, il Salmo 30 e Gam gam tratto dal Salmo 23: “Anche se andassi nella valle oscura, non temerei alcun male, perché Tu sei sempre con me; perché Tu sei il mio bastone, il mio supporto, con Te io mi sento tranquillo”.
Non solo per gli studenti sono state tre ore ben spese: di conoscenza storica, di educazione civica, di formazione umana.