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    CORONAVIRUS E ALTRO: PAPA, CARDINALE CHARLES BO, CEI

    CORONAVIRUS E ALTRO: PAPA, CARDINALE CHARLES BO, CEI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 16 aprile 2020

     

    Parole e fatti dei giorni scorsi: due lettere di papa Francesco, una dichiarazione del cardinale birmano Charles Bo, gli aiuti della Cei e delle diocesi italiane in relazione alla diffusione del coronavirus. Dichiarazioni dei vescovi Camisasca e D'Ercole.

     

    Oggi è il 16 aprile 2020… e dunque prima di tutto un grande augurio di buon compleanno (il 93.mo) a Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI!

     

    1. PAPA FRANCESCO/ LETTERA del 10 aprile (Venerdì Santo) a Luca Casarini (già noto leader estremista dei no global – vedi gravi disordini di Genova nel 2001 contro il G8 – e ora capomissione della piattaforma Mediterranea attiva come traghetto dei migranti). Il Papa ha risposto (ha risposto!ha risposto!) sollecitamente (sollecitamente!sollecitamente!) a una lettera, portatagli presumibilmente dal cardinale Michael Czerny, in cui Casarini esprimeva grande preoccupazione per gli ostacoli posti all’attività delle Ong intenzionate ad accompagnare (in Italia) i migranti dalla Libia ed evidenziava il peggioramento – dovuto anche alla minaccia del coronavirus - delle condizioni di vita nei centri di raccolta libici e greci. Ringraziava poi il “dolce e caro papa Francesco” per i suoi gesti (come quello di mettere un giubbotto di salvataggio su una croce, esposta oggi presso l’accesso al Palazzo Apostolico dal cortile del Belvedere), esprimendo la volontà di tornare in mare il prima possibile “perché il nostro Gesù ha bisogno di aiuto”:.“Luca, caro fratello, grazie tante per la tua lettera che mi ha portato Michael. Grazie per la pietà umana che hai davanti a tanti dolori. Grazie per la tua testimonianza, che a me fa tanto bene. Sono vicino a te a ai tuoi compagni. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirVi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di me. Ti auguro una santa Pasqua. Prego per Voi, per favore, fatelo per me. Che il Signore Vi benedica e la Madonna Vi custodisca. Fraternalmente, Francesco.”

     

    2. PAPA FRANCESCO/ alcuni passi della LETTERA del 12 aprile (Pasqua di Resurrezione) “ai fratelli e sorelle dei movimenti e delle organizzazioni popolari”, un coacervo internazionale di gruppi di impronta variegata ma non troppo:  comunisti veraci, ambientalisti estremisti, immigrazionisti radicali, insomma una galassia non di tipo propriamente angelico e che tuttavia per Jorge Mario Bergoglio è l’immagine della poesia sociale: Cari amici, ricordo spesso i nostri incontri: due in Vaticano e uno a Santa Cruz de la Sierra, e confesso che questa "memoria" mi fa bene. (…)

    In questi giorni, pieni di difficoltà e di angoscia profonda, molti hanno fatto riferimento alla pandemia da cui siamo colpiti ricorrendo a metafore belliche. Se la lotta contro la COVID-19 è una guerra, allora voi siete un vero esercito invisibile che combatte nelle trincee più pericolose. Un esercito che non ha altre armi se non la solidarietà, la speranza e il senso di comunità che rifioriscono in questi giorni in cui nessuno si salva da solo. Come vi ho detto nei nostri incontri, voi siete per me dei veri “poeti sociali”, che dalle periferie dimenticate creano soluzioni dignitose per i problemi più scottanti degli esclusi.

    So che molte volte non ricevete il riconoscimento che meritate perché per il sistema vigente siete veramente invisibili. Le soluzioni propugnate dal mercato non raggiungono le periferie, dove è scarsa anche l’azione di protezione dello Stato. E voi non avete le risorse per svolgere la sua funzione. Siete guardati con diffidenza perché andate al di là della mera filantropia mediante l'organizzazione comunitaria o perché rivendicate i vostri diritti invece di rassegnarvi ad aspettare di raccogliere qualche briciola caduta dalla tavola di chi detiene il potere economico. Spesso provate rabbia e impotenza di fronte al persistere delle disuguaglianze persino quando vengono meno tutte le scuse per mantenere i privilegi. Tuttavia, non vi autocommiserate, ma vi rimboccate le maniche e continuate a lavorare per le vostre famiglie, per i vostri quartieri, per il bene comune. Questo vostro atteggiamento mi aiuta, mi mette in questione ed è di grande insegnamento per me. (…)

    Penso alle persone, soprattutto alle donne, che moltiplicano il cibo nelle mense popolari cucinando con due cipolle e un pacchetto di riso un delizioso stufato per centinaia di bambini, penso ai malati e agli anziani. (Bell’immagine di carità, con quel “moltiplicano” e quelle “due cipolle e un pacchetto di riso” che evocano un noto fatto evangelico… o no?)

    Vorrei che sapeste che il nostro Padre celeste vi guarda, vi apprezza, vi riconosce e vi sostiene nella vostra scelta.

    Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento... e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti. (Retribuzione universale di base?)

    Voi non siete dilettanti allo sbaraglio, avete una cultura, una metodologia, ma soprattutto quella saggezza che cresce grazie a un lievito particolare, la capacità di sentire come proprio il dolore dell'altro. Voglio che pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull'accesso universale a quelle tre T per cui lottate: ‘tierra, techo y trabajo’ (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro).

    Continuate a lottare e a prendervi cura l’uno dell’altro come fratelli. Prego per voi, prego con voi e chiedo a Dio nostro Padre di benedirvi, di colmarvi del suo amore, e di proteggervi lungo il cammino, dandovi quella forza che ci permette di non cadere e che non delude: la speranza. Per favore, anche voi pregate per me, che ne ho bisogno. Fraternamente, Francesco (NdR: la Lettera è apparsa integralmente per la prima volta su “Settimo Cielo”, il sito di Sandro Magister, che dell’argomento ha fatto da anni uno dei suoi cavalli di battaglia).

     

    3. CARDINALE CHARLES BO, arcivescovo di Yangoon (ex-Rangoon), Myanmar (ex-Birmania)/ alcuni passi della DICHIARAZIONE del 2 aprile 2020 sul portale dell’arcidiocesi a proposito delle responsabilità morali del regime cinese nella diffusione del covid-19: “Mentre rileviamo il danno arrecato alle vite di tutto il mondo, dobbiamo chiederci: chi è il responsabile? Ovviamente si possono criticare le autorità ovunque. Molti governi sono accusati d’aver mancato di prepararsi quando hanno visto emergere il coronavirus a Wuhan.

    Ma c'è un governo che ha la responsabilità primaria, a motivo di ciò che ha fatto e di ciò che ha mancato di fare, e questo è il regime del Partito comunista cinese a Pechino. Vorrei essere chiaro: è il PCC a essere responsabile, non il popolo della Cina, e nessuno dovrebbe rispondere a questa crisi con odio razziale nei confronti dei cinesi. In effetti, è stato il popolo cinese la prima vittima di questo virus, così come è da tempo la principale vittima di quel suo regime repressivo. Merita la nostra simpatia, la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Ma sono la repressione, le bugie e la corruzione del PCC a essere responsabili.

    Quando il virus è emerso per la prima volta, le autorità cinesi hanno soppresso la notizia. Invece di proteggere il pubblico e sostenere i medici, il PCC ha messo il bavaglio a chi informava. Peggio ancora, ai medici che hanno cercato di far scattare l'allarme – come il dottor Li Wenliang dell'ospedale centrale di Wuhan che ha avvertito i colleghi medici il 30 dicembre – è stato ordinato dalla polizia di ‘finirla di emettere falsi commenti’. Al dottor Li, un oculista di 34 anni, è stato detto che sarebbe stato indagato per ‘diffusione di voci’ ed è stato costretto dalla polizia a firmare una confessione. In seguito è morto dopo aver contratto il coronavirus.(…)

    La condotta del PCC è sintomatica della sua natura sempre più repressiva. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un'intensa repressione della libertà di espressione in Cina. Avvocati, blogger, dissidenti e attivisti della società civile sono stati rastrellati e sono scomparsi. In particolare, il regime ha lanciato una campagna contro la religione, che ha comportato la distruzione di migliaia di chiese e di croci e l'incarcerazione di almeno un milione di musulmani uiguri nei campi di concentramento. (…)

    Tramite la sua gestione disumana e irresponsabile del coronavirus, il PCC ha dimostrato ciò che molti pensavano in precedenza: che è una minaccia per il mondo. La Cina come paese è una grande e antica civiltà che ha tanto contribuito al mondo nel corso della storia, ma questo regime è responsabile, con le sue criminali negligenze e repressioni, della pandemia che oggi invade le nostre strade.

    Non il popolo cinese, ma il suo regime guidato dall’onnipotente XI e dal PCC deve a noi tutte le scuse, e il risarcimento per la distruzione che ha causato. Come minimo dovrebbe cancellare i debiti di altri paesi, per coprire il costo di Covid-19. Per il bene della nostra comune umanità, non dobbiamo avere paura di chiamare questo regime a rispondere. I cristiani credono, con le parole dell'apostolo Paolo (NdR:  a dire il vero Giovanni 8,32) , che ‘la verità vi farà liberi’. Verità e libertà sono i due pilastri su cui tutte le nostre nazioni devono costruire basi più sicure e più forti.

     

    4. LA CHIESA ITALIANA E GLI AIUTI MATERIALI IN RELAZIONE ALLE CONSEGUENZE DELLA DIFFUSIONE DEL COVID-19. E DUE DICHIARAZIONI DEI VESCOVI CAMISASCA E D'ERCOLE

    La Chiesa italiana ha già pagato un pesante tributo in vite umane alla pandemia da coronavirus che ha infierito e infierisce particolarmente in alcune zone del Paese: oltre cento i sacerdoti, religiosi e religiose morti in relazione al morbo.

    Pesanti anche le restrizioni imposte con dubbia costituzionalità dal cosiddetto ‘cattolico’ Conte e dal suo governo rossogiallo (e subite senza eccepire, in modo generalmente arrendevole da larga parte delle gerarchie) all’esercizio della libertà di culto. Vale qui la pena di citare due delle poche voci problematiche. La prima è, quella del vescovo di Reggio Emilia-Guastalla mons. Massimo Camisasca, che – in un’intervista a La Verità del 5 aprile (Domenica delle Palme)- ha detto: “Registro (anche) l’avanzare di un pensiero sempre più secolarizzato in chi ci governa, (ciò) che è per me fonte di tristi considerazioni e di una nuova responsabilità per noi pastori, per il presente e per il futuro”. La seconda è quella di mons. Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, che in un'intervista del 16 aprile a La Nuova Bussola Quotidiana osserva a riguardo delle Messe coram populo sospese: "Io dico che la gente ha sofferto di non essere potuta andare in chiesa. Di questo bisogna tener conto. Quella del culto è una libertà inalienabile e la sua libertà deve essere garantita". Più oltre, a proposito delle azioni ostili oggettivamente anti-cattoliche (blitz delle forze delll'ordine nelle chiese o per interrompere le processioni, segnalazioni dei delatori, 'servizi' di troupes televisive, ecc..), rileva mons. D'Ercole: "Mi rifiuto di commentarle. Mi fanno soffrire e non ne capisco il senso. Sono una ferita nella Chiesa". Se accadessero ad Ascoli? "Io reagirei come un cane arrabbiato a difesa dei miei fedeli e dei miei preti. Ma noi abbiamo avuto un rapporto splendido con le forze dell'ordine".

    Le conseguenze di certo modo d’agire sostanzialmente più alla don Abbondio che alla fra’ Cristoforo  si vedranno quando la libertà di culto (oltre a diverse altre fondamentali), dopo essere stata sequestrata per mesi, sarà restituita (speriamo) al popolo cattolico. Non capiterà che alcuni si sentiranno ormai legittimati a privilegiare l’immaterialità delle dirette tv e social rispetto alla materialità della presenza partecipe in chiesa?

    Oggi diamo conto però di un altro aspetto importante legato all’emergenza: meritano di essere evidenziati gli aiuti materiali massicci che la stessa Chiesa italiana nel suo insieme ha deliberato per alleviare le conseguenze drammatiche della pandemia da coronavirus in Italia e, in piccola parte, in Africa.

    La CEI ha stanziato fin qui per l’emergenza covid-19 oltre 220 milioni di euro, provenienti dai fondi dell’8 per mille. E’ una somma ingente e costituisce più di un quinto dell’importo annuale complessivo dello stesso 8 per mille: una percentuale oggettivamente eccezionale, che – per quel che ne sappiamo – non pensiamo venga raggiunta da altre associazioni o organizzazioni o enti.  Nei dettagli:

    . il 13 marzo 10 milioni di euro sono stati devoluti alle Caritas e 500mila euro al Banco Alimentare;

    . il 24 e il 20 marzo 6 milioni di euro sono stati assegnati ad alcuni ospedali;

    . il 3 aprile 6 milioni di euro sono stati dati per l’aiuto ai Paesi africani e ad altri Paesi poveri ( 5 per la sanità, uno per la formazione);

    . l’8 aprile la CEI ha stanziato 200 milioni “per sostenere persone e famiglie in situazioni di povertà o di necessità, enti e associazioni che operano per il superamento dell’emergenza provocata dalla pandemia, enti ecclesiastici in situazioni di difficoltà”.

    Inoltre a tutto ciò si aggiungono i fondi che normalmente vengono assegnati per gli interventi caritativi: nel 2019 la quota ha raggiunto 285 milioni di euro (di cui 215 per interventi in Italia).

    Diverse conferenze episcopali regionali da parte loro (ad esempio Umbria, Puglie, Toscana) hanno donato contributi e apparecchiature agli ospedali territoriali.  Così diocesi come Novara, Vittorio Veneto, Agrigento, Sessa Aurunca, Gaeta, Nocera Inferiore-Sarno, Siracusa. Complessivamente sono 33 le diocesi che hanno messo a disposizione della Protezione civile e del Servizio sanitario Nazionale 46 strutture per 1200 posti. Altre 23 hanno impegnato 28 strutture per più di 500 posti per l’accoglienza di persone in quarantena e/o dimesse dagli ospedali. Inoltre 27 diocesi hanno messo a disposizione 32 strutture per oltre 600 posti per l’accoglienza di persone senza dimora. 

    Continua poi incessante il servizio prezioso di una miriade di associazioni ecclesiali, impegnate già normalmente nell’aiuto ai poveri e ai bisognosi.

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