LIBRI/4: LA RIFORMA DI FRANCESCO, RUSSIA E BENEDETTO, LA MAGIA DI GERACE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 26 marzo 2020
Recensione di altri libri letti durante la pausa forzata di Rossoporpora.org – Un’interpretazione del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, un’analisi dei rapporti Vaticano-Russia nell’era Ratzinger, la città di Gerace rivissuta attraverso le foto in bianco e nero degli Anni Sessanta-Ottanta.
FRANCO FERRARI, “FRANCESCO, IL PAPA DELLA RIFORMA-LA CONVERSIONE NON PUO’ LASCIARE LE COSE COME STANNO” (ED. PAOLINE)
Il collega Franco Ferrari è un bergogliano diremmo naturale, ma non certo uno sprovveduto né un curvaiolo sguaiato: caporedattore del bimestrale Missione Oggi, è tra l’altro anche fondatore e animatore dell’Associazione Viandanti, vicina a Noi siamo Chiesa. Insomma è parte di quella costellazione catto-sinistra che storicamente ha sempre chiesto una riforma in profondità della Chiesa. Ferrari non a caso chiude il suo “Francesco, il papa della riforma – La conversione non può lasciare le cose come stanno” (edizioni Paoline) con l’auspicio che si concretizzi il “sogno di Martini”, quello di un nuovo Concilio ecumenico “per far proseguire il cammino della Chiesa più speditamente”: infatti un Concilio “non potrà lasciare le cose come stanno”.
Certo Jorge Mario Bergoglio ha visto da Buenos Aires “i bisogni della Chiesa e ha avviato una riforma a tutto campo che tocca sia le strutture sia la conversione sociale”. Però ci si può chiedere “se la conversione, o la riforma messa in atto, essendo un processo lungo e aperto, possa giungere positivamente in porto”.
Da una parte – rileva l’Autore - alla volontà di fare di Francesco si contrappongono la resistenza dei ‘tradizionalisti’ e di chi pensa alla religione come “religione civile”. Dall’altra è di peso rilevante l’atteggiamento della ‘maggioranza silenziosa’ dei consacrati, “che resta in silenzio, sostanzialmente prosegue come prima e secondo la strategia del giunco aspetta che la piena passi” (del reso anche “il mondo dei battezzati-laici e delle associazioni ufficiali inspiegabilmente tace”). Stando così le cose, bisogna dunque “sognare” un nuovo Concilio che dia concretezza a una riforma ineludibile. In ogni caso – annota Ferrari – “il pontificato di Bergoglio segnerà un punto di non ritorno e poco potrà restare come prima. (…) Difficilmente il suo successore potrà cambiare il senso di marcia, pena la consegna della Chiesa ad un museo”.
Concorda con Ferrari il prefatore Marco Politi, per il quale il pontefice ha compreso che in un mondo caratterizzato da “una contemporaneità globalizzata e decisamente multiculturale” è la stessa istituzione Chiesa “che deve cambiare nella sua struttura e nella sua auto-comprensione”. Certo – continua Politi - a Francesco non mancano i nemici, “diventati negli anni sempre più aggressivi. E’ inutile sottovalutarli. Il web ne amplifica l’aggressività. Costituiscono un buon trenta per cento del mondo ecclesiale. E sperano (…) che il Papa argentino se ne vada e sia possibile spingere il conclave futuro a un cambiamento di linea”. A questo punto “la lezione del Concilio è ancora valida: senza una larga mobilitazione e partecipazione a tutti i livelli la Chiesa non si riforma”. E qui anche Politi si pone la domanda (per lui) retorica: “Servirà la scossa di un Vaticano III”?
Di circa 250 pagine, in quindici capitoli, il testo di Ferrari ripercorre agilmente i sette anni bergogliani, a partire dalla rinuncia di Benedetto XVI. Si ripropongono al lettore i momenti e i problemi-chiave, dall’elezione alle encicliche, dai sinodi al dialogo ecumenico e interreligioso, dalle critiche alla curia e alle sue “chiacchiere” all’ “internazionale vaticana”della carità, dalla piaga degli abusi all’impegno contro “le strutture di peccato”. Largo spazio è dato - naturalmente da una prospettiva catto-sinistra - al crescere progressivo delle contestazioni al papa argentino, con molte citazioni puntuali… è una sorta di catalogo preciso di cattolici ‘reprobi’ e delle loro azioni ‘nefande’. In conclusione il libro di Ferrari si pone come esemplare dell’atteggiamento con cui il mondo catto-sinistro accompagna il dipanarsi del pontificato di Jorge Mario Bergoglio: e dunque è utile a chi è interessato ad approfondire il momento ‘nuovo’ della Chiesa cattolica.
NICO SPUNTONI, “VATICANO E RUSSIA NELL’ERA RATZINGER” (TAU EDITRICE)
Il 12 febbraio 2016 la sala d’attesa dell’aeroporto de L’Avana è testimone di un avvenimento storico: per la prima volta il Papa della Chiesa di Roma incontra il Patriarca di tutte le Russie. In tale occasione a un lungo e franco colloquio segue la firma di una ‘Dichiarazione comune’ in 30 punti - elaborata faticosamente a partire dall’autunno precedente dal metropolita Hilarion e dal cardinale Kurt Koch – molto netta in materia di secolarizzazione anti-cristiana, famiglia, vita e moderata in materia di Ucraina. Il valore del documento (importantissimo per il Patriarcato di Mosca) verrà poi subito circoscritto all’ambito pastorale e dunque ridimensionato dal Papa (tra il giubilo dell’orchestra turiferaria) già sull’aereo che lo porta in Messico (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/566-dichiarazione-kirill-francesco-quanto-vale-la-firma-del-papa.html )
Tuttavia resta la storicità dell’incontro: non certo improvvisato, è frutto della progressiva concretizzazione di rapporti la cui origine si ritrova negli anni di Giovanni Paolo II. Su tali rapporti ha indagato a fondo e con ampiezza di fonti Nico Spuntoni, laureato in storia presso ‘La Sapienza’ di Roma e oggi collaboratore assiduo de La Nuova Bussola Quotidiana. Tale (gran) lavoro ha trovato compimento in “Vaticano e Russia nell’era Ratzinger”, pubblicato da Tau editrice: un testo di circa 200 pagine introdotto da una prefazione del nunzio apostolico Antonio Mennini e da una breve presentazione di padre Igor Vyzhanov (docente dell’Accademia teologica di Mosca). Il primo è stato sicuramente una delle fonti più preziose per la nascita e lo sviluppo del libro, data la sua permanenza (molto attiva) in Russia dal 2002 al 2010 (per i primi sette anni come rappresentante della Santa Sede, poi in qualità di vero e proprio nunzio apostolico, dopo il perfezionamento delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Russia).
Spuntoni ha diviso in tre parti principali la sua ricerca. Nella prima ha esaminato i rapporti tra Unione Sovietica/Patriarcato di Mosca e Santa Sede negli anni dalla perestrojka gorbacioviana alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II. La seconda comprende invece l’analisi degli sviluppi dei rapporti tra la Mosca politica e religiosa e la Roma di Pietro durante l’intero pontificato di Benedetto XVI. Nella terza l’Autore riferisce dapprima delle reazioni russe/ortodosse alla rinuncia di Benedetto XVI e successivamente si dedica alla genesi dell’incontro di Cuba tra Francesco e Kirill.
Da tutto ciò emerge una conclusione precisa: “L’analisi condotta sui rapporti russo-vaticani negli anni che vanno dal crollo dell’URSS fino ad oggi, dimostra il contributo decisivo di Joseph Ratzinger alla loro stabilizzazione e al loro sviluppo positivo (…) Un apporto che sembra essere stato decisivo per consentire al successore Bergoglio sia di incontrare l’attuale patriarca Kirill sia di stabilire un’intesa con il governo russo su questioni rilevanti come la discriminazione dei cristiani nel mondo”.
Il testo è molto interessante già quando evidenzia l’interesse partecipe con cui il cardinale Ratzinger ha sempre guardato al popolo russo e alla sua spiritualità ortodossa; un atteggiamento che da Papa non solo ha mantenuto ma anche incrementato. Sembrava proprio che si potesse addivenire, come sviluppo naturale di un’amicizia profonda, all’incontro con Kirill, ma ciò come è noto non si è verificato: la rinuncia ha reso impossibile ciò che pareva finalmente realizzabile.
I tentativi di incontro non erano mancati già a partire dagli anni Novanta. Nel 1996 (millenario dell’abbazia ungherese di Pannonhalma) e nel 1997 (abbazia di Heiligenkreuz a sud di Vienna) l’incontro tra Giovanni Paolo II e Alessio II era sfumato per ripensamenti all’ultimo momento da parte ortodossa. La decisione del gennaio 2002 di erigere a diocesi le quattro amministrazioni apostoliche in Russia ha poi inaugurato un periodo di freddezza tra gli interlocutori, scioltasi però con l’elezione di Joseph Ratzinger a pontefice romano. Con l’elezione di Kirill (2009) a patriarca di tutte le Russie l’incontro sembra prossimo, ma – nota lo stesso Benedetto XVI nella “Conversazione con Peter Seewald” (Lev, 2010) – “L’opinione pubblica ortodossa in Russia va preparata a una cosa del genere. Infatti è ancora diffusa una certa paura della Chiesa cattolica. Bisogna attendere con pazienza, non precipitare nulla. In ogni caso, da entrambe le parti c’è la volontà che l’incontro avvenga, e matura sempre più il contesto in cui potrà avvenire”. Verrà poi la rinuncia e si dovranno attendere altri tre anni prima dell’incontro di Cuba.
Nel libro di Spuntoni si analizzano anche i contenuti e gli obiettivi della politica russa al tempo di Putin, quando “l’asse culturale tra cattolici ed ortodossi russi viene interpretato in ottica politica dal Cremlino: effettivamente Putin vi rintraccia l’opportunità per creare una connessione con la Roma cattolica, utile in considerazione dell’autorevolezza di cui essa dispone all’interno della società occidentale”.
Tanti altri gli spunti di memoria e di riflessione offerti dal testo, che raccomandiamo a chi ha sempre apprezzato l’immagine di un’Europa che respiri a due polmoni.
FRANCESCO MARIA SPANO’: “GERACE, CITTA’ MAGNO_GRECA DELLE CENTO CHIESE – STORIE E IMMAGINI RIVISSUTE” (GANGEMI EDITORE INTERNATIONAL)
Gerace? Se ci avessero chiesto oltre mezzo secolo fa, quando frequentavamo il Liceo di Lugano, chi/che cosa fosse “Gerace”, probabilmente avremmo risposto “Forse un compagno di Achille”. Solo qualche decennio dopo scoprimmo, da Roma e da P.R. del Gruppo RE (che collaborava economicamente con la Chiesa), che esisteva una diocesi calabrese di Locri-Gerace, di cui era pastore il trentino Giancarlo Bregantini (una volta ci decantò le virtù del bergamotto, la cui essenza è utilizzata anche per profumare l’olio del crisma). Di Locri avevamo letto più volte, di Gerace no. Siano rese dunque le debite grazie a Francesco Maria Spanò - giurista e direttore delle risorse umane dell’Università Luiss – che, da figlio fedele e appassionato di quella terra, ci ha regalato un libro singolare dal titolo “Gerace, città magno-greca delle cento chiese – Storie e immagini rivissute”, pubblicato dalla Gangemi International.
Sapete….quei pranzi di famiglia in cui non raramente passano da una mano all’altra fotografie del tempo che fu. Ecco, il libro di Spanò è proprio costruito attorno a vecchie fotografie che ridanno memoria, conoscenza, sapori della Gerace di quaranta-sessant’anni fa. Una città ricchissima di monumenti artistici (chiese in primo luogo) che nel 1971 contava poco più di tremila abitanti, duemilacinquecento in meno di cent’anni prima: l’emigrazione aveva spopolato Gerace come tanti altri centri calabresi e del Meridione d’Italia in genere.
Fondata nel VII secolo a. C. - quando i pochi autoctoni italioti e pre-grechi si fusero con gli abitanti di Locri Epizephiri fuggiti dalla costa insalubre anche a causa dei pirati - sdraiata su una rupe rocciosa del Parco dell’Aspromonte, a quasi 500 metri di altitudine e a una decina di chilometri dal mar Jonio, Gerace (tra vigne, ulivi, alberi di alloro) era allora il teatro in cui si muoveva a proprio agio il piccolo Francesco che con gli amici, finita la scuola, scorrazzava spensierato per tutto giugno tra i luoghi più abbandonati: vecchi casali, il possente castello normanno e soprattutto il Palazzo dell’Episcopio e del Seminario, sempre più intristito dopo il doloroso e contestato (e mai digerito) trasferimento d’autorità (nell’anno 1954) della sede vescovile a Locri.
L’idea del libro è nata in Spanò proprio dall’apprezzamento di un amico geracese (“Ma perché non scrivi un libro che raccolga le fotografie della Gerace di quello stesso periodo?”), che aveva positivamente condiviso su WhatsApp una foto in bianco e nero in cui si vedeva un ragazzino correre rasente i muri dei palazzi ben conosciuti: “Sono stato attraversato da un flusso di memoria che ha ridato vita al passato, proiettando l’attimo del ricordo oltre i suoi stessi confini, in un’area inattaccabile dal tempo”. Una sorta di A’ la recherche du temps perdu e del resto Marcel Proust occhieggia spesso dalla prosa dell’Autore.
Un tempo la fotografia, osserva nella prefazione Lorenzo Infantino, “non apparteneva alla quotidianità”. Però “serviva certamente a conservare il ricordo di persone ed eventi, ma soprattutto a facilitare la narrazione di tante vicende, i cui fotogrammi venivano considerati testimonianza significativa”. Ecco … nel libro di Spanò le fotografie sono lo spunto per rievocazioni, nostalgie, considerazioni che coinvolgono non tanto la vita di singole famiglie ma di un’intera comunità. Esse riportano “in primo piano – è Spanò che parla – momenti intensi della nostra esperienza esistenziale”. E ciò “non equivale semplicemente a recuperare una traccia del tempo passato”, ma “significa soprattutto beneficiare di una carica energetica e di un calore che rendono possibile la matura riappropriazione della propria individualità, delle proprie origini e del senso di appartenenza alla propria comunità”.
E’ così che Spanò ha incominciato a chiedere fotografie del tempo a parenti, amici, all’appassionato di fotografia Mimmo Curulli (molte delle foto sono sue). Le ha selezionate ed alcune le ha inviate ad altri amici, perché le commentassero, rivivendo anch’essi le vicende e gli ambienti dell’epoca. Ne è nata una miscellanea in cui considerazioni e ricordi dell’Autore si intervallano con le fotografie e con i commenti degli amici sull’uno o l’altro episodio, personaggio, avvenimento storico, aspetto della vita geracese soprattutto degli Anni Sessanta-Ottanta. Una vita caratterizzata anche da una “povertà dolorosa, che ha imposto il duro lavoro della campagna” e “dalla sofferenza delle donne che hanno visto partire per sempre i loro figli”.
Tra i contributi quelli del collega vaticanista e calabrese Enzo Romeo (nato a Siderno) che evidenzia come sia “difficile nell’era digitale” capire il valore di una foto ritrovata nei cassetti di casa: “Eppure la storia quotidiana, quella con la s minuscola, che si forma giorno dopo giorno nell’ordinarietà dell’esistenza, passa spesso dall’immagine fotografica”. E questa “è la storia più difficile da raccontare. Quella però più autentica, perché riflette la verità profonda di un popolo, di una comunità”.
In altra parte del libro Spanò rievoca le discussioni sulla ‘questione meridionale’ ai tempi del liceo: ne “parlavo anche con mio padre che, pur essendo un orgoglioso proprietario terriero, vedeva il problema come una questione prevalentemente sociale, prima che economica, e aveva ben presenti le implicazioni che il latifondo, lasciato nelle mani di una gestione miope ed egoista, avrebbe indotto sull’emigrazione di manodopera locale”.
Per restare al padre dell’Autore (il libro è dedicato sia a lui che al figlio – ambedue di nome Giuseppe - di Spanò), nel 1954 è stato “per decine di volte in prima fila tra i difensori ad oltranza” di Gerace come sede vescovile e dunque contro il trasferimento a Locri. La storia di Gerace è legata a quella dei suoi vescovi e dunque non desta meraviglia che Francesco Spanò scriva: “Della figura del vescovo di Gerace, e del suo ruolo di guida morale e civile della nostra gente, ho sempre sentito parlare fin da bambino”. Inoltre Gerace è “da sempre legata alla venerazione di Maria e ne sono testimonianza le tante chiese, santuari ed edicole sparse sul territorio.
Nel libro non manca la rievocazione di personaggi singolari, tra i quali emerge don Carmine Rodinò, non un prete ma un ‘apparatore’ (oltre che strenuo lottatore per la conservazione dei beni culturali): era specializzato nel dare onore e lustro ai santi nelle feste patronali. Sulla sua lastra tombale leggete un po’ che cosa sta scritto: “In questa tomba/ tenebrosa e oscura/ vive un morto/ Carmine Rodinò/ L’Apparatore/ 10.12.1879 – 8.2.1969.
Più in là appare la figura dello scrittore Corrado Alvaro, di cui si evidenzia l’amore per il presepe. E Spanò ricorda la sua esperienza: “Ho rivissuto l’emozione che provavo da bambino quando, sin dal mese di ottobre, a casa si apriva il ‘cantiere’ (…) La preparazione si avviava con la raccolta in montagna del muschio più verde, del sughero, del pungitopo, della sabbia ricavata dalla roccia arenaria di Gerace (….) E poi il rito nella notte del Santo Natale, quando portavamo in processione in tutte le stanze il Bambinello, lo stesso che i nostri antenati ci avevano tramandato”.
Scorrendo le pagine si incontrano il re archeologo Gustavo VI Adolfo di Svezia, l’ex-capo della Cia Leon Panetta (di origini geracesi), lo scrittore e illustratore inglese Edward Lear, la pittrice Cloclò, il politico e intellettuale comunista (guidò nel 1946 una giornata di occupazione delle terre in Calabria) Paolo Cinanni,. Poi ancora: echi fotografici di manifestazioni sportive come la Marcialonga (a imitazione di quella della Val di Fiemme), conviviali (vedi una bella mangiata di pasta e fagioli, innaffiati dal vino rosso di Gerace), ludiche (ecco una foto del 1974 sulla folla che assiste al tiro della pignatta). Tanti i volti, spesso sofferti, di donne e uomini e le istantanee legate alla vita religiosa (i pellegrinaggi) e di campagna (la raccolta delle olive).
Insomma… a leggere un libro così, la curiosità ti fa crescere la voglia di partire per Gerace. Ma i tempi, come si sa, non lo consentono. Sarà per un altro anno.
P.S. Ieri sera, mercoledì 25 marzo, commovente e intenso il Rosario della Cei dal santuario della Madonna delle Grazie della Brescia martoriata come Bergamo dal coronavirus. Guidata dal vescovo Pierantonio Tremolada, la supplica è stata indirizzata come intercessore anche al bresciano Giovanni Battista Montini, papa Paolo VI, santo.
Domani, venerdì 27 marzo, alle 18.00 sul sagrato di San Pietro, papa Francesco presiederà invece un momento di preghiera, con supplica a Dio perché cessi la pandemia, adorazione del Santissimo Sacramento e benedizione Urbi et Orbi (con possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria).