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    ELIO SGRECCIA, LA RINUNCIA, LA SCELTA

    ELIO SGRECCIA, LA RINUNCIA, LA SCELTA –di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – febbraio 2013

    Intervista al cardinale Elio Sgreccia sui giorni della sorpresa, del lutto e della speranza

     

     

    Quando si varca il portone del Sant’Uffizio non si può fare a meno di pensare a Joseph Ratzinger, che ha frequentato il palazzo per più di due decenni come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Prendiamo l’ascensore e saliamo all’ultimo piano, usciamo in terrazza e suoniamo alla porta del cardinale Elio Sgreccia. Ottantaquattrenne, il porporato marchigiano ha collaborato a lungo con Joseph Ratzinger, cardinale e Papa, soprattutto in materia di diritto alla vita.

    Eminenza, che cosa ha provato quando l’11 febbraio ha ascoltato nella Sala Clementina le parole di Benedetto XVI al termine del Concistoro ordinario per tre canonizzazioni, tra le quali quella degli 800 martiri di Otranto?

    Per me quanto ho udito dalla bocca del Papa è stato sorprendente, poiché non mi aspettavo questa decisione, non sapendo quello che si è poi saputo meglio - anche dalle parole del fratello Georg e da quanto è trapelato sulla caduta nel viaggio in Messico - sulle sue condizioni di salute. Non me l’aspettavo proprio. La scossa emotiva, di natura anche affettiva, l’abbiamo provata tutti noi che eravamo nella sala Clementina. Pensare a un distacco improvviso dalla sua figura, dai suoi messaggi, dalle sue omelie (per molti di noi pane quotidiano), ci è sembrato veramente come un fulmine a ciel sereno, come ha detto subito il cardinal Sodano.

    E’ una reazione che permane anche in questi giorni?

    Sì, permane in noi e anche nella gente che fa ancora fatica a capire un gesto del genere. Rimangono le domande sulle possibili conseguenze per i suoi successori, rimane il senso di novità, di distacco da una tradizione collaudata, da una certezza. Poi però la ragionevolezza, le parole stesse del Papa ci hanno mostrato che si era trattato di un gesto coraggioso, di un atto di grande umiltà, forse anche di una grande lezione: quella di anteporre il bene comune a un abbarbicarsi a ogni costo a una responsabilità che si sente di non poter più onorare pienamente. E’ una lezione per tutti quelli che sono troppo affezionati alla carriera, che spendono le forze migliori per mantenersi concorrenziali, laici o ecclesiastici che siano. I due elementi, la sorpresa e la comprensione, convivono in questi giorni in tutti noi, che stiamo cercando di elaborare il lutto del distacco e ci prepariamo alla novità con la fiducia nella Provvidenza che ci infonde il Papa stesso. La Provvidenza aiuterà il Conclave a scegliere la persona giusta per i tempi, come è sempre accaduto negli scorsi decenni.

    Apriamo una parentesi: l’Europa, dal punto di vista cattolico, è un continente in forte crisi. Lei pensa che sia giunto il momento per un Papa extra-europeo?

    L’Europa è in crisi dal punto di vista cattolico perché la secolarizzazione ha raggiunto il punto più alto, quello della cancellazione delle radici e dell’emarginazione del religioso, riducendolo quanto meno alla sfera del privato. Però anche la secolarizzazione mostra delle crepe, dato che si incomincia a vedere che è essa stessa la causa della crisi economica: negando certi valori, si mina la stabilità della società, la solidarietà, la forza della famiglia. Ciò conduce all’immiserimento evidente del continente, incapace di difendersi. La secolarizzazione, a ben vedere, sta perdendo la sua gloria e le sue penne. Naturalmente però può ancora contare su fortilizi agguerriti: leggi già fatte, cunei forti che tentano di emarginare il mondo dei credenti. Di fronte a tale situazione è meglio che ci sia un Papa che venga dal di fuori o dal di dentro del continente europeo? Che conosce queste cose, ne soffre, che sa che quando si appanna la coscienza di Dio, l’uomo svanisce? L’Europa ha bisogno di una rinascita, ma anche il mondo intero ha bisogno dell’Europa: non di un’Europa col lume spento, sbandata, bacino di conflitti. Ci vuole un’Europa che parli ancora al mondo e parli dei valori che fanno crescere: è importante che l’Europa trovi una voce che la aiuti a ritrovare il suo ruolo e ne valorizzi i valori fondanti.

    Per quanto riguarda il gesto di papa Ratzinger c’è chi continua a parlare di resa, di fuga dalle responsabilità…

    Benedetto XVI ha scelto la rinuncia proprio per la premura che non venga a mancare la presenza significativa, quotidiana, a tutto campo del Papa in tempi che richiedono anche una pienezza di forza fisica. Ha voluto anticipare gli eventi con la rinuncia e ha sentito l’urgenza dell’atto. Lo ha fatto a spese proprie, con lungimiranza, non come segno di resa.

    Lei pensa che nel gesto di papa Ratzinger abbiano pesato anche gli ultimi anni di papa Wojtyla, che ha seguito da molto vicino?

    In tutti i pontificati c’è quasi sempre il tempo della malattia, del non potersi muovere. E’ un tempo in cui tutto viene rallentato e rinviato, dai viaggi papali alle visite ad limina dei vescovi. Una stasi che il cardinal Ratzinger ha vissuto, solidarizzando con chi stava male: ma anche rendendosi ben conto della situazione. E dunque ha pensato che potesse essere necessario il suo gesto per evitare una possibile stasi futura nel governo della Chiesa.

    Si odono voci che si levano e che dicono: “E’ l’occasione d’oro perché la Chiesa si ‘apra’, si adegui alla modernità soprattutto nel campo dei principi irrinunciabili, vita, famiglia, educazione…”

    Credo invece che tali valori abbiano bisogno di essere ravvivati e rafforzati. La Chiesa non li può abbandonare, perché fanno parte del suo dna e della sua cultura umanistica intrinseca. Attenuare questi valori sarebbe un tradimento per il mondo, che ha bisogno di essere guarito dalle sue piaghe. Il punto è che di fronte agli allettamenti delle mode e delle ventate politiche di vario genere, la gente potrebbe avere la sensazione che la Chiesa venga sopraffatta. Ma noi abbiamo fiducia nello Spirito Santo.

    Che cosa ci ha lasciato in eredità papa Ratzinger proprio sui temi della vita e della famiglia?

    Posso dirlo anche per esperienza personale. Da trent’anni a questa parte il cardinal Ratzinger – prima di essere Papa – ha collaborato intensamente ed anzi elaborato in gran parte i documenti di Giovanni Paolo II sulla vita e sulla famiglia. A partire da quello che si chiamò l’ ”Istruzione Ratzinger”, l’istruzione sulla vita umana e la dignità della procreazione, la “Donum vitae” del 1987, uno dei documenti che lui stesso ha preparato dentro questo edificio e che ha firmato a nome del Papa dopo che il Papa l’aveva approvata. Il documento è stato ripreso da Benedetto XVI, vent’anni dopo nel 2008 nella “Dignitas personae”, che ha convalidato quanto era stato fatto. In mezzo c’è stata l’enciclica “Evangelium vitae” del 1995.

    C’è stata poi l’enciclica “Caritas in veritate”…

    Con la “Caritas in veritate”  papa Ratzinger ha dato alla tematica della bioetica una collocazione più forte, legandola allo sviluppo economico della società solidale. Al numero 19 scrive che i problemi della vita sono alla base dello sviluppo economico, sono fondamentali: ha voluto spezzare quella specie di dualismo presente nell’opinione pubblica per cui la Chiesa viene applaudita quando affronta i problemi sociali ed emarginata quando invece si occupa dei valori irrinunciabili, come se si trattasse di relitti oscurantisti. Non c’è sviluppo economico, se non si rispetta la vita umana in tutte le sue fasi e non si promuove la solidità della famiglia formata da uomo e donna e aperta alla procreazione. Papa Ratzinger poi ha collegato anche i problemi della bioetica e quelli dell’ecologia, in senso cosmico e anche dentro l’uomo, che deve padroneggiare i propri comportamenti. Papa Ratzinger è stato oggettivamente di un aiuto capitale, per chi riflette, per chi elabora, per chi deve programmare.   

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