INTERVISTA AL CARD. GEORGES MARIE COTTIER – GIUSEPPE RUSCONI – ‘CORRIERE DEL TICINO’ DEL 5 MARZO 2013
Il cardinale Georges Marie Cottier è ormai quasi novantunenne, ma – a dispetto degli acciacchi dell’età – ieri ha partecipato alle due Congregazioni generali pre-conclave, riservate a tutti i porporati, compresi gli ultraottantenni, che non sono più elettori del Papa nuovo.
Lo farà anche oggi e fino a quando non incomincerà il conclave. Domenicano ginevrino, vive in Vaticano come teologo emerito della Casa pontificia, da sempre ben disposto verso il mondo della comunicazione sociale. Non gli mancano né l’umanità né lo humour necessario per condire la vita.
Eminenza, in vista del conclave da varie latitudini si leva – niente di sorprendente sotto il cielo – la richiesta di una “Chiesa più aperta”. Secondo Lei che significa questa espressione?
E’ un’espressione che ‘copre’ un gran numero di concetti e desideri, non tutti compatibili. Teologicamente si può dire che la Chiesa è già pienamente aperta alla sua vocazione fondamentale che è l’annuncio di Cristo. La Chiesa poi è ‘cattolica’, nel senso che è aperta a quel villaggio globale che è il mondo; è dunque caratterizzata dall’universalità che implica la missione. La Chiesa è e dev’essere missionaria e i cristiani non devono avere paura del mondo…
Dunque confrontarsi con tutti…
E’ così che si sviluppano vari tipi di dialogo: con i fratelli cristiani separati, con gli ebrei, con le altre religioni, con il mondo più vasto. Annunciare significa spingere ad amare l’incontro con Cristo, un atto libero. Certo più si dà testimonianza (naturalmente in coerenza con il Vangelo) più si è credibili.
La cosiddetta ‘apertura’ è intesa da alcuni come un adeguarsi alla mentalità del mondo…
Questo è un rischio, quello di considerare la parola ‘apertura’ come un conformarsi al mondo. Sarebbe un errore, perché presupporrebbe la scelta del compromesso e della mediocrità.
Sabato l’unico cardinale svizzero elettore ha evidenziato tre virtù indispensabili per un nuovo Pontefice: la profondità della fede, la solidità della teologia, la capacità di comunicare in modo semplice. Che cosa ne pensa?
Il cardinale Koch ha parlato molto bene. Tali qualità erano proprie anche di Benedetto XVI. Siamo nel tempo della nuova evangelizzazione, che prevede una nuova missione nel mondo occidentale, che ha dimenticato Cristo e la cui crisi si esprime con il dilagare del relativismo. Invece per noi la parola-chiave è “verità”. Che cosa dobbiamo fare? Risvegliare in tutti il senso della verità, con parole profonde, forti, meditate, semplici da capire. Che siano ascoltate e che convincano.