CCEE-INGHILTERRA/ INTERVISTA AL CARDINALE VINCENT NICHOLS – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 18 ottobre 2018
Pubblichiamo la quarta delle interviste fatte a Poznan in occasione dell’annuale assemblea plenaria del CCEE. Il tema trattato era quello della solidarietà in Europa. Con il cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale inglese e vicepresidente del CCEE, si parla del viaggio papale in Irlanda, di Chiesa e istituzioni europee, di volontariato e fede, di giovani, aborto e vita
Dal 13 al 16 settembre 2018 Poznan ha ospitato l’assemblea annuale dei presidenti delle Conferenze episcopali europee ( vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/808-ccee-vescovi-europei-poznan-spunti-dall-assemblea.html ). Il tema analizzato era quello della solidarietà in Europa. A margine dei lavori abbiamo fatto alcune interviste a presidenti di Chiese particolarmente interessanti per motivi diversi. La prima al presidente della Conferenza episcopale greca, monsignor Sevastianos Rossolatos, la seconda al presidente della conferenza episcopale ungherese, monsignor András Veres; la terza a presidente della Conferenza episcopale della Bosnia ed Erzegovina, cardinale Vinko Pulijc.
Ora eccoci alla quarta, rilasciataci dal cardinale Vincent Nichols, uno dei due vice-presidenti del CCEE, arcivescovo di Westminster, presidente della conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, porporato dal 2014.
E’ domenica 16 settembre 2018, una bella domenica di sole. Tra un’ora i lavori del CCEE a Poznan vedranno il loro ultimo atto in cattedrale con la ‘Messa per l’Europa’. Il settantaduenne presule inglese ci accompagna in un salottino dell’arcivescovado e lì incomincia l’intervista che segue, fondata principalmente su alcune sue affermazioni fatte nel corso dell’assemblea. Per scelta non gli sottoporremo altri temi, a partire da quello connesso alla triste vicenda di Alfie Evans, in cui il comportamento della Chiesa inglese è stato oggetto di aspre polemiche in patria e all’estero…
Eminenza, ieri mattina, sabato 15 settembre, nell’omelia della messa mattutina qui presso l’arcivescovado di Poznan, Lei, accennando al viaggio in Irlanda di papa Francesco, ha detto che il viaggio “è stato sconvolgente, per non dire di peggio”…
Per me è stato veramente sconvolgente…
Lei ha vissuto gran parte di questo viaggio apostolico. Perché per commentarlo ha usato un temine così forte come ‘sconvolgente’?
Per prima cosa, come ho detto nell’omelia, perché in questi anni nei giorni precedenti una visita papale i media generalmente sono pieni di appunti negativi sui problemi della Chiesa, sul declino della fede, sull’ostilità verso il Santo Padre. Però poi normalmente è capitato che nel corso della visita le voci negative si siano affievolite e siano state sovrastate da quelle positive…
… mi ricordo ad esempio che la voluta indifferenza mediatica che aveva accolto nel 2004 Giovanni Paolo II a Berna, si tramutò in benevolenza palese dopo il suo incontro con i giovani nella pista dell’Allmend della capitale elvetica…
Sì, era successo sempre così. Ma in Irlanda no. L’indignazione e la rabbia dei sopravvissuti agli abusi hanno dominato le pagine mediatiche anche durante la visita, corroborate dalle notizie dalla Pennsylvania e dagli echi della vicenda dell’ex-cardinale McCarrick. Certo anche in Irlanda c’è stata gioia in chi ha voluto condividere lo slancio evangelizzatore di papa Francesco. E però le voci negative hanno continuato a farsi sentire ben chiare e forti. E’ ragionevole che trovino grande ascolto da parte di tutti noi, come è naturale accada per le voci gioiose che proclamano la fede in Gesù Cristo e nella sua Chiesa.
DA INGLESE FACCIO FATICA A COMPRENDERE L’IRLANDA, MA CREDO CHE LA FEDE CATTOLICA NON VI STIA SCOMPARENDO
Eminenza, proseguiamo nell’analisi di quanto successo nel viaggio papale in Irlanda…
Da inglese devo ammettere comunque di far fatica a comprendere l’Irlanda. E’ vero che l’Irlanda per la sua storia è molto, molto differente dall’Inghilterra. Sto giocando in trasferta quando parlo dell’Irlanda. E l’esperienza che ho fatto è stata inusuale per me. Non voglio dire con questo che l’espressione di fede degli irlandesi non fosse ben chiara, molto serie. Credo proprio che l’idea che in Irlanda la fede cattolica stia scomparendo sia del tutto sbagliata. Ad esempio, durante la festa delle famiglie di sabato 25 agosto nell’affollatissimo Croke Park Stadium di Dublino, una soprano irlandese, dopo il duetto con il famoso tenore italiano Andrea Bocelli, ha detto pubblicamente: “Io amo la mia fede, io amo la mia Chiesa”. La grande gioia per la visita di papa Francesco è stata però oscurata da coloro che hanno gridato invece la loro rabbia e indignazione. L’esperienza irlandese mi ha insegnato che noi come Chiesa cattolica dobbiamo ascoltare gli uni e gli altri, in modo paritario così che nessuna voce copra l’altra.
LA BREXIT? LA CHIESA E LE ISTITUZIONI EUROPEE SONO SU PIANI DIVERSI
Nella conferenza stampa della sessione di apertura di giovedì 13 settembre 2018 un giornalista Le ha posto una domanda sulla solidarietà in Europa – tema di questa Assemblea plenaria del CCEE – chiedendo se il ‘sì’ inglese alla Brexit non fosse stato invece un segno di non-solidarietà, “un segno di disfacimento dell’Europa. Lei ha risposto a titolo personale che non bisogna confondere dal punto di vista inglese la solidarietà in Europa con quanto è collegato alla politica delle istituzioni europee. Vuole precisare che cosa intende con questo?
Il mio commento era fatto nell’ambito dell’assemblea del CCEE. E’ noto che la Chiesa cattolica ha due organismi ‘europei’: il primo è la COMECE che agisce nel contesto dell’Unione europea, il secondo è il CCEE, composto dalle conferenze episcopali di tutti i Paesi d’Europa, Est e Ovest senza distinzione. Dobbiamo tener subito presente che la Chiesa per sua missione si interessa di tutti gli aspetti della vita umana in Europa. In sostanza la Chiesa è più vicina alla realtà quotidiana di quanto non siano le istituzioni politiche. La Chiesa infatti è un segno sacramentale di quello che dovremmo essere. La Chiesa promuove la dignità della persona, considera che ognuno è nato in una famiglia e trova il senso della sua vita nella relazione con gli altri. Le dimensioni dell’impegno sociale cattolico, che abbiamo constatato anche in questo incontro di Poznan, testimoniano del fatto che in tutto il continente ci apparteniamo l’un l’altro. Veniamo così a trovarci al di là della politica, al di là delle istituzioni politiche. Credo sia importante per le istituzioni e per l’Europa intera che la rete variegata e densa di espressioni di solidarietà sociale continui a essere sostenuta dalla Chiesa attraverso il CCEE. Perciò la Chiesa inglese è molto attiva all’interno del CCEE e non cambierà il suo atteggiamento perché ogni Chiesa è distinta dalle istituzioni politiche.
INDIVIDUALISMO ESASPERATO, MONDO DIGITALE, SOLITUDINE
Lei anche ha parlato della solidarietà in Europa dicendo che in molte culture oggi è a rischio il senso della solidarietà legato alla gratuità. Lei ha rilevato che non è più di moda. Perché dice questo?
Penso che negli ultimi secoli anni siano emerse in Europa varie correnti filosofiche che hanno esaltato – secondo il Cogito, ergo sum – la capacità dell’individuo di determinare da se stessa il proprio destino. E’ vero che il secolo scorso ha conosciuto drammaticamente il prevalere per decenni di filosofie totalitarie, collettiviste come il comunismo e il nazismo che hanno conculcato i diritti della persona umana. Però, cadute tali ideologie, la reazione ha portato a una nuova valorizzazione sì della persona ma soprattutto dell’individuo. E siamo così scivolati sempre più in questi ultimi decenni in un prevalere di un individualismo pericoloso, ponendo enfasi nell’esaltazione della capacità di autodeterminazione di ogni essere umana, a scapito delle relazioni sociali. E’ un individualismo che come conseguenza può portare a una vera e propria solitudine esistenziale, che è anche uno degli esiti svantaggiosi dell’espandersi del mondo digitale.
… il mondo digitale offre certo opportunità, ma presenta anche rischi…
… come quello appunto della segregazione dagli altri. Pensiamo ai social media che tendono a raggruppare all’interno delle proprie ‘bolle’ (pocket) in modo particolare giovani che finiscono per pensarla tutti allo stesso modo. Finiscono per costituire vere e proprie ‘tribù’ digitali, che guardano con sospetto, spesso con ostilità, qualsiasi cosa succeda all’esterno della ‘bolla’. I componenti della ‘tribù’ si precludono quindi ogni relazione positiva con gli ‘esterni’. Anche tra loro però non si conoscono veramente: credono di essere simili nel pensiero, ma in realtà sanno poco l’uno dell’altro.
LA PRATICA DEL VOLONTARIATO FA CRESCERE UMANAMENTE
…il volontariato invece è altra cosa…
La pratica del volontariato ci porta ad uscire da noi stessi come ombelico del mondo e ci fa crescere in umanità, dato che incontriamo altri, persone in carne ed ossa, che vengono spesso da esperienze diversissime dalle nostre. Con la pratica del volontariato possiamo aiutare chi è in difficoltà: non firmiamo solo un assegno, ma scopriamo che queste persone, la cui vita sembra un disastro, sono esseri umani che anch’essi possono contribuire allo sviluppo della nostra società. E qui la gratuità del volontariato è un tassello ulteriore che ci fa crescere umanamente, perché presuppone un impiego generoso delle nostre forze per promuovere la dignità umana, presuppone insomma il dono di se stessi per una causa nobile. In tal senso l’esperienza del volontariato ci salva certamente dalla tendenza a un individualismo esasperato che va di moda oggi e che porta inevitabilmente alla solitudine, alla chiusura in se stessi.
Sempre a proposito di volontariato, Lei in conferenza-stampa ha aggiunto che in sé per natura i giovani sarebbero portati a impegnarsi per gli altri. Ho letto recentemente su ‘The Guardian’ (7 settembre) un articolo in cui si riferisce di un’indagine demoscopica del ‘British Social Attitude survey’. Centrato sulla grave crisi che soffre la Chiesa anglicana (in 17 anni i britannici che si dichiarano appartenenti alla Chiesa nazionale sarebbero crollati dal 31 al 14%), l’articolo rileva che secondo l’indagine i britannici senza religione sarebbero cresciuti nello stesso periodo dal 41 al 52%, con una punta del 70% nella categoria 18-24 anni. I giovani che si dichiarano anglicani sarebbero solo il 2%. I cattolici, sempre negli ultimi due decenni, avrebbero mantenuto sostanzialmente le loro posizioni attorno all’8-9% della popolazione e la percentuale di giovani cattolici sarebbe simile. Insomma le percentuali dei giovani che si dichiarano cristiani sembrerebbero complessivamente (aggiungendovi anche quelle di cristiani d’altra denominazione) in ogni caso assai modeste (forse neanche il 20%). Allora: in Inghilterra come si pone la relazione tra volontariato giovanile e cattolicesimo?
Continuo a pensare che in molti giovani c’è un’inclinazione naturale alla solidarietà verso i bisognosi e ritengo che di per sé non manca la connessione tra solidarietà e fede. Le statistiche, anche quelle fatte con serietà e con le migliori intenzioni, vanno prese con cautela. Tra loro sono spesso anche contrastanti. Per quel che ne so io, più del 40% dei britannici si identificano ancora come cristiani. Per i giovani non so, ma bisogna sempre valutare il contesto in cui l’indagine è stata fatta, la forma e il contenuto delle domande poste. Insomma… lasciamo da parte le statistiche, anche perché ce n’è sempre una che conforta una o l’altra tesi. In questi giorni a Poznan abbiamo ascoltato che in Europa il cristianesimo è il motore più efficace nella diffusione del volontariato. Il che non significa naturalmente che chi non è cattolico o comunque cristiano non agisca incisivamente nell’ambito del sociale. E non significa nemmeno che chi è di radici cattoliche o comunque cristiane non possa essere attratto anche da un volontariato ‘neutro’.
A Poznan sono state illustrate ricerche approfondite sul volontariato cattolico o comunque cristiano nei diversi Paesi europei…
Abbiamo certo parlato del fatto che il volontariato è un sentiero che può portare a scoprire le verità più profonde del Vangelo. Può essere che, dopo un certo tempo, il volontario faccia un collegamento tra ciò che fa e il nome di Gesù. Del resto in Inghilterra è indubbiamente significativo che molti progetti di solidarietà sorgano nel contesto di ordini e congregazioni religiose. La loro forza è che tali progetti sono impregnati della storia di un fondatore. E la storia di un fondatore è molto facile da capire e da amare. E’ come un passo avanti verso la storia di Gesù.
Può fare qualche esempio di volontariato cattolico inglese?
A Londra ad esempio troviamo un centro per i senzatetto legato al nome di San Vincenzo de’ Paoli. Vicino c’è un centro per i giovani che si richiama al benedettino cardinale Basil Hume. Sono due sentieri di solidarietà che hanno una figura fondatrice e una storia, che infine prefigurano la scoperta di Gesù. In ogni caso sono già una buona introduzione a Gesù. Un aspetto che mi piace sottolineare del volontariato è anche la necessità che preveda tempi di riflessione… giova fermarsi ogni tanto per meditare su cosa si sta facendo e sul perché lo si fa. Sono momenti di riflessione che rendono più chiare le motivazioni di un agire solidale e gli danno nuova forza.
GIOVANI E ABORTO: “MA IO SONO UNA DONNA E DECIDO IO”
Restiamo sui giovani cattolici inglesi… quanto sono secolarizzati? In Inghilterra ci sono oltre cinquemila scuole cattoliche, di ogni ordine. Incontrando nei mesi scorsi alcuni giovani cattolici inglesi, di buona cultura e intelligenza vivace, usciti anche da college cattolici prestigiosi, è emerso che essi si identificano come cattolici; però, se ad esempio si viene a parlare di aborto, subito premettono “Ma io sono una donna e decido io nel caso che cosa fare… se tenere o non tenere il bambino”. Guarda che non è un grumo di cellule, lo sentiresti muoversi dentro di te… “Eh, ma…penso che avrei votato sì al referendum irlandese…”. E così anche su altri problemi riguardanti i ‘principi non negoziabili’. Quali sono le Sue osservazioni sull’argomento?
L’esempio che Lei mi ha citato è la conferma di quanto io dicevo prima sull’individualismo esasperato diffuso nella nostra società. Siamo immersi nella cultura del “decido io, sono io che creo i miei valori”. Adesso poi abbiamo forte una tendenza assai orte addirittura al “decido io se essere uomo, donna o chissà cos’altro”, perché “il corpo è mio, ne posso fare quello che voglio e dunque il mio corpo può essere quello che voglio io”. Vogliamo autodefinirci, autorealizzarci, essere individui autonomi. A questo punto mi sento di citare papa Francesco nella conferenza-stampa del 26 agosto scorso durante il volo di ritorno dall’Irlanda: il problema dell’aborto “è un problema antropologico, è un problema umano, non religioso”. E’ etico “far fuori un essere vivente per risolvere un problema?” . Ecco, penso che si tratti in primo luogo non di richiamarsi al chiarissimo insegnamento cattolico in materia, ma di riconoscere e rispettare la vita umana, indipendentemente dal credo professato. E’ questo il modo migliore di porre la questione: ma tu, che sguardo poni sulla vita umana, come la consideri, come vuoi sia trattata?
Su questa domanda si conclude l’intervista al cardinale Nichols. Che alcuni giorni dopo (dal 24 al 29 settembre) è venuto a Roma in visita ad limina con i confratelli inglesi e gallesi, ricevuti tutti per oltre due ore dal Papa venerdì 28. In tale occasione – in materia di abusi sessuali – è stata pubblicizzata la richiesta della conferenza episcopale alla ‘National Catholic Safeguarding Commission’ di una ‘revisione del tutto indipendente e completa’ delle strutture di salvaguardia attualmente operanti all’interno della Chiesa Cattolica in Inghilterra e Galles. Il cardinale Nichols partecipa anche al Sinodo dei vescovi sui giovani (3-28 ottobre) come membro del Consiglio ordinario del Sinodo stesso: “La realtà del mondo in cui viviamo non è stata messa da parte entrando al Sinodo, non è che qui dentro si discuta astrattamente dei giovani. Nonostante tutte le note difficoltà, è ben presente sia la capacità dei giovani di capire la loro fede e di assumerla come punto di riferimento sia la capacità della Chiesa di proporgliela pacatamente”, ha detto al 'Tablet' già nei primi giorni dei lavori.
P.S. Le prime tre interviste fatte a Poznan si trovano ai link seguenti. La prima al presidente della Conferenza episcopale greca, monsignor Sevastianos Rossolatos, arcivescovo di Atene e amministratore apostolico di Rodi: https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/810-ccee-grecia-arcivescovo-rossolatos-l-europa-cattolica-ci-aiuti.html. La seconda al presidente della Conferenza episcopale ungherese, monsignor András Veres, vescovo di Györ: https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/812-ccee-poznan-mons-veres-l-ungheria-difende-le-frontiere-d-europa.html La terza al presidente della Conferenza episcopale della Bosnia ed Erzegovina, cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo: https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/813-ccee-bosnia-card-puljic-i-cattolici-non-interessano-a-quasi-nessuno.html .