INTERVISTA A MONS. FERNANDO OCARIZ, VICARIO GENERALE DELL'OPUS DEI - 'di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org - da 'IL CONSULENTE RE' 2/2002
L' "anticlericalismo buono" del Fondatore dell'Opus Dei
“La santità non è cosa per privilegiati (…) Il Signore ci ha chiamati per ricordare a tutti che, in qualsiasi stato e condizione, in mezzo ai nobili impegni terreni, possono essere santi: che la santità è possibile”. Così in una lettera del 24 marzo 1930 il Beato Escrivà de Balaguer, di cui il 9 gennaio ricorreva il centenario della nascita.
La sua creatura, l’Opus Dei (oggi Prelatura), l’ha ricordato in un Convegno internazionale svoltosi a Roma dall’8 al 12 gennaio 2002, avente come tema “La grandezza della vita quotidiana” e aperto con una sostanziosa prolusione dall’attuale Prelato monsignor Javier Echevarrìa. Nel corso del Convegno i 1200 presenti di 57 nazioni hanno potuto approfondire tra l’altro le tematiche della famiglia, dello sviluppo, dell’educazione e dell’integrazione sociale, considerate alla luce del messaggio del fondatore. Molto intensa la Celebrazione eucaristica di mercoledì 9, impreziosita anche dalle musiche del maestro Pablo Colino, che la sera seguente – con il coro dell’Accademia Filarmonica Romana, della cappella Giulia e l’orchestra “Gli amici dell’armonia” – ha entusiasmato i congressisti con un concerto di canti natalizi, cori classici e melodie amate da Escrivà (come la “Cancion del Sembrador”, il verdiano “O Signore, dal tetto natio”, il sanremese “Aprite le finestre al nuovo sole”). Parte importante ha avuto il sociale: durante lo stesso concerto sono stati raccolti fondi per il “Centre hospitalier Mongole” di Kinshasa, mentre in una conferenza-stampa sono state presentate iniziative di carattere sanitario e educativo nel Congo, in Nigeria, Perù, Colombia, Venezuela, Polonia, Spagna, Uruguay e nel Messico. Tra le prolusioni e relazioni ci ha particolarmente colpito per il suo rigore quella del Vicario generale della Prelatura, il cinquattottenne monsignor Fermando Ocariz. Cui abbiamo chiesto, in un’intervista rilasciataci presso la Pontificia Università della Santa Croce, di precisare la valenza di alcune affermazioni del Beato riguardanti il rapporto tra Opus Dei, la Chiesa, la politica. Come si configura insomma l’ “anticlericalismo buono” di Escrivà de Balaguer?
Monsignor Ocariz, nella Sua prolusione Lei ha parlato anche del pensiero del Beato Escrivà su un tema centrale nella vita di un laico cristiano: il suo rapporto con la società civile. Il Beato, ad esempio nella celebre omelia “Amare il mondo appassionatamente”, ha evidenziato la necessità di essere pervasi di una ‘mentalità laicale’ anche nelle questioni politiche. Che cosa significa esattamente questo?
Significa, a mio avviso, aver compreso a fondo le conseguenze implicite nella vocazione cristiana dei fedeli laici: essi, come insegna il Concilio Vaticano II, hanno in modo speciale il ruolo di ‘cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e orientandole secondo Dio’. Perciò, intervenendo nelle questioni politiche, il cristiano le affronta nella prospettiva della responsabilità che gli compete in quanto cittadino e della missione che in quanto cristiano gli è propria. Nell’insegnamento del Beato Josemarìa, la mentalità laicale è tanto distante dal laicismo quanto dal clericalismo, proprio perché comporta la consapevolezza della responsabilità personale di dover agire nelle questioni temporali (professionali, sociali, politiche…) con competenza professionale e con spirito cristiano, cioè secondo Dio ed al servizio del prossimo.
Secondo il Beato Escrivà fra le conseguenze dell’applicazione di una coerente ‘mentalità laicale’ nell’impegno politico si trova “l’essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità”. Nella prassi questo che cosa comporta?
Comporta, ovviamente, il non pretendere di scaricare su altri, o sulla Chiesa, la conseguenza delle proprie decisioni. Inoltre direi che ciò significa anche non aver paura – o, se viene, superarla – di dare una testimonianza personale chiara in difesa della verità e della giustizia, anche quando in certi ambienti una condotta del genere possa apparire controcorrente o addirittura pericolosa per la carriera professionale o politica. Il cattolico si proporrà sempre di promuovere la concordia, la serenità e l’apertura di spirito nel confronto delle opinioni; ma non certo a costo di ridurre il cristianesimo entro l’ambito strettamente privato: perché così, in realtà, lo stesso bene temporale, terreno, della società civile ne verrebbe seriamente compromesso.
Altra conseguenza, secondo il Beato Escrivà: “essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane”. Che cos’è questa, monsignor Ocariz? Forse una presa di distanza da partiti esplicitamente cattolici?
“Non servirsi della Chiesa” non vuol dire negare, per principio, l’opportunità che esistano partiti esplicitamente cattolici. Significa invece ricordare ai cattolici che intervengono in politica, ma anche ai non cattolici, che non debbono immischiare la Chiesa nella difesa degli interessi di partito. Insomma, bisogna tutelare la libertà della Chiesa nel compimento della sua missione e, al contempo, difendere la legittima autonomia delle realtà temporali, in modo che i laici le santifichino senza servirsi della Chiesa: in altre parole, ricevendo dalla Chiesa niente di più – e niente di meno – che la Parola di Dio ed i Sacramenti. Tutto questo comporta anche la giusta difesa della libertà personale dei cristiani in tutti quei campi che il Signore ha lasciato alla libera opinione degli uomini. Anche a questo proposito la predicazione del Beato Josemarìa fu assai chiara ed incisiva: egli non mancò di ribadire con frequenza che nessuno può pretendere di ridurre la fede ad ideologia terrena, né considerarsi investito della capacità di squalificare coloro che non la pensano come lui nelle materie che, per loro natura, ammettono diverse soluzioni conformi con la dottrina di Cristo.
Tra gli ostacoli possibili all’espressione di una vera ‘mentalità laicale’ lo spiritualismo, il materialismo, il clericalismo. A proposito di quest’ultimo Lei ha citato nella prolusione ‘l’anticlericalismo buono’ promosso dal Beato? In quale senso si può sviluppare un ‘anticlericalismo buono’?
L’anticlericalismo ‘buono’ a differenza dell’anticlericalismo ‘cattivo’, nasce dall’amore per la Chiesa; in particolare dall’amore per il sacerdozio unito ad una profonda comprensione del ruolo ecclesiale dei laici. Questo anticlericalismo ‘buono’ ha molte espressioni pratiche, che si oppongono alle diverse forme di clericalismo. Forse una delle sue componenti essenziali consiste nel rifiuto di tutto ciò che comporta, tanto nell’attività del fedele laico quanto in quella del sacerdote, l’uso di una missione sacra per finalità terrene.
Monsignor Ocariz, può precisare?
Il laico, ad esempio non deve pretendere di servirsi della gerarchia ecclesiastica, o semplicemente della propria condizione di cattolico, per ottenere vantaggi professionali immeritati; allo stesso modo il sacerdote non deve pretendere di ridurre la funzione dei laici a quella di semplici collaboratori in attività ecclesiastiche. Certamente la collaborazione dei laici alle funzioni proprie del sacerdote – entro certi limiti – è possibile e talvolta anche molto opportuna. Ma dall’insegnamento del Beato Josemarìa risulta evidente che – come insegnò il Concilio Vaticano II – lo specifico dei laici non è prendere parte alle funzioni dei ministri sacri, bensì agire liberamente e responsabilmente nelle strutture temporali, animandole col lievito del messaggio di Cristo. Ciò tuttavia non equivale ad affermare una separazione – e tanto meno un’opposizione – fra la missione dei pastori e la missione dei laici.
Il Beato Escrivà considera clericalismo quello dei Pastori della Chiesa che danno indicazioni ai cristiani quando in politica si prospettano scelte importanti in campo morale e sociale?
Certamente no. La funzione del Magistero è parte integrante, irrinunciabile, della missione dei vescovi. Essi debbono predicare il Vangelo anche nelle sue implicazioni morali e sociali. Naturalmente, in circostanze normali, si tratta di un insegnamento che riguarda i principi dottrinali e le loro conseguenze necessarie di ordine operativo. Tanto per fare un esempio pratico: sarebbe assurdo qualificare di ‘clericalismo’ il discorso papale del 28 gennaio, quando Giovanni Paolo II ha riaffermato che la legge civile dovrebbe proteggere il matrimonio indissolubile. D’altra parte, in circostanze eccezionali, i vescovi possono anche avere il dovere di chiedere ai cattolici di mantenere una concreta unità di azione politica, non necessaria in circostanze normali, qualora essa apparisse indispensabile per la libertà di una Chiesa minacciata da un’ideologia totalitaria. Ove la Gerarchia episcopale di un Paese decidesse di intervenire in questo modo, ciò non costituirebbe una forma di clericalismo, bensì di coerenza nel compimento di un aspetto della sua missione pastorale.
Monsignor Ocariz, l’ Opus Dei si può considerare un vero e proprio partito di cattolici, anche se non istituzionalizzato?
No, per niente. Ogni fedele della Prelatura ha le proprie convinzioni politiche, scientifiche, culturali o artistiche, assunte in nome della stessa libertà di cui godono tutti gli altri comuni cittadini cristiani. Vale a dire senza altri limiti se non quelli che derivano dalla fede e dalla morale cattoliche. Pensi che il Beato Josemarìa affermò che se nell’ Opus Dei si fosse cercato anche solo di suggerire l’adesione a qualsiasi linea politica, egli stesso sarebbe stato il primo a lasciare l’Opera; e persino nelle questioni teologiche opinabili, proibì espressamente che si costituisse una dottrina propria dell’Opus Dei. Per quanto riguarda la militanza politica, non solo in teoria ma anche di fatto, esiste una notevole varietà di opzioni fra i fedeli dell’Opus Dei.
Ci può fare qualche esempio concreto in materia?
R: Per esempio negli Stati Uniti troviamo fedeli che simpatizzano per i democratici e altri per i repubblicani. Analoga la situazione in Gran Bretagna, dove si ritrovano aderenti al partito conservatore e a quello laburista. Nella Spagna degli Anni Cinquanta-Sessanta oltre ai fedeli che, insieme a molti altri cattolici, collaboravano con il regime di Franco, c’erano quelli costretti all’esilio a causa della loro opposizione attiva. Tutti avevano e hanno in comune, del resto con chi si sforza di essere un buon cristiano, l’impegno di servire lealmente la società affrontando i problemi umani non solo con competenza professionale, ma soprattutto alla luce del Vangelo.