TERREMOTO/ LA CHIESA SI CONFERMA AL SERVIZIO DELLA PERSONA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 26 agosto 2016
Immediato l’impegno della Chiesa italiana per l’aiuto urgente a chi è stato colpito dal gravissimo terremoto di Amatrice, Accumoli e Pescara/Arquata del Tronto: dalla Cei alle organizzazioni cattoliche è tutto uno slancio – secondo una consolidata tradizione - di solidarietà concreta. Il coinvolgimento e le riflessioni di mons. Giovanni d’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno e di mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti
Sono giorni di tristezza particolare e di riflessione intensa sulla fragilità umana questi che seguono convulsi la scossa fatale di terremoto delle 03.36 del 24 agosto, che ha gettato nel lutto e nella disperazione in particolare le comunità di Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto/Arquata del Tronto. Stringe il cuore ad esempio essere costretti a fissare nella memoria le macerie di quelle che furono le abitazioni, le chiese, i palazzi del corso principale dell’amata e nobile città di Amatrice. Eppure è successo (e non era imprevedibile) e ora si tratta, per le popolazioni superstiti, di intraprendere tra comprensibili, gravi difficoltà affettive, psicologiche, economiche il cammino della ricostruzione: di una vita, di una casa, di un tessuto sociale distrutto.
Come in casi analoghi (e forse ancora di più) il Gran Cuore d’Italia ha pulsato con forza e ha trovato espressione immediata nelle migliaia di persone (vigili del fuoco, volontari della protezione civile, forze dell’ordine, esercito) che hanno raggiunto da subito le zone più gravemente colpite e hanno operato con una tenacia sentita e ammirevole (anche a mani nude, insieme con gli abitanti in grado di muoversi) prima di tutto per strappare quanti più vivi possibile da sotto le macerie. Al momento in cui scriviamo i salvati sono ufficialmente 238: un numero considerevole, cui purtroppo si accompagnano le 278 salme fin qui estratte. Un ‘miracolo laico’? Non parleremmo né di ‘miracolo’ né di l'aico’, ma di espressione non nuova e molto intensa di quanto è in grado di offrire il Gran Cuore d’Italia, quando lo Stellone mostra di abbandonare la Penisola, cedendo il passo alla Natura matrigna favorita da un’atavica e non certo incolpevole trascuratezza/faciloneria umana: “Tanto a noi non succederà…”
E’ in circostanze come queste che rifulge da sempre anche la disponibilità concreta a 'sporcarsi le mani' della Chiesa cattolica (vedi anche la nostra indagine - pubblicata nel 2013 da Rubbettino - "L'Impegno"), di cui il Gran Cuore dalle profonde radici cristiane è un’indubbia espressione. Con il che non si vuole certo negare l’abnegazione commovente nell’aiuto mostrata pure da chi non crede o da chi appartiene ad altre confessioni o religioni, ma solo evidenziare che anche costoro in qualche modo non possono non avere respirato l’aria della solidarietà cristiana che si respira da tanti secoli in questa terra di grandi virtù e di altrettanto grandi fragilità.
Da quotidiani come 'Avvenire' , 'Repubblica' e 'Il Messaggero' e agenzie come il Sir (della Conferenza episcopale italiana) riproduciamo alcune notizie e considerazioni riguardanti il coinvolgimento profondo del mondo cattolico nel soccorso alle comunità terremotate.
In primo luogo citiamo i sacerdoti di Amatrice, Accumoli, Pescara/Arquata del Tronto, che immediatamente si sono prodigati scavando anch’essi a mani nude.
Come ha fatto il vescovo di Ascoli Piceno, mons. Giovanni d’Ercole, che ha subito raggiunto la zona marchigiana del terremoto. L’orionino “don Giovanni”, già inviato all’ Aquila come vescovo ausiliare dopo il terremoto e poi trasferito ad Ascoli Piceno, ha tra l’altro detto a ‘Repubblica’: “No, non mi vesto da vescovo. Non ha senso, soprattutto in giorni come questi”. Perché “la mia missione non è esercitare un ruolo ma condividere la vita di tutti, quando un abbraccio vale più di una predica". Mons. D’Ercole è naturalmente confrontato con le domande più spontanee e più disperate: “Ma perché Dio permette tutto questo? Perché ha voluto prendere mia figlia di 36 anni e non me che sono anziana?". Il vescovo parla a lungo con l’anziana e le dice: “Grida il tuo dolore, gridalo forte, perché Dio ti sta ascoltando". Mons. D’Ercole abbraccia tutti: "Nessuno ha inveito contro di me. Io non impongo la mia presenza. Mi avvicino con rispetto e col pudore necessario di fronte all'intimità del dolore. Anche quando incontri chi non ama la Chiesa, se coglie in te la semplicità di una relazione, non dico che ti accetti ma sicuramente ti rispetta".
Ad ‘Avvenire’ (edizione di venerdì 26 agosto) dice ancora il vescovo di Ascoli Piceno: “Ho capito che tutti noi abbiamo bisogno di un abbraccio che ci sostenga (…) Il terremoto ci dimostra che nessuno basta a se stesso, che ciascuno di noi ha bisogno degli altri. Che nessuno può considerarsi autosufficiente”. E sui molti che “interrogano Dio” in questi momenti, aggiunge mons. D’Ercole: “Tanti lo fanno. Magari solo con gli occhi, e tu capisci che c’è, implicita, questa domanda: Ho pregato, perché Dio non mi ha ascoltato? Qualcuno ha lo sguardo indurito e vorrebbe dire: Basta, ho perso la fede, non credo più. (…) Tanti esprimono chiaramente quello che non riescono a capire: Se Dio è buono, perché è capitato questo? Come tenta di rispondere il vescovo orionino? “Ho imparato a non dare risposte immediate. Sia perché il silenzio esprime di più, e più profondamente. Sia perché in queste situazioni le parole risultano talvolta inutili. Meglio un abbraccio silenzioso in cui c’è tutto il mistero di quell’incomprensione che ognuno di noi ha di fronte a sé”.
Un altro vescovo ha visto distruzioni e lutti pesantissimi nella sua comunità. E’ mons. Domenico Pompili, vescovo della diocesi di Rieti, cui appartengono Amatrice ed Accumoli. L’ex-portavoce della Cei era in pellegrinaggio a Lourdes ed è rientrato il giorno stesso del terremoto, accorrendo sui luoghi della tragedia e celebrando una santa messa tra gli sfollati di Amatrice. All’agenzia Sir ha evidenziato un dato fondamentale: “Il sisma ha colpito al cuore una comunità che aveva un legame genetico e affettivo molto forte con questa terra. La prima cosa da fare adesso è restare accanto alle persone colpite. Si tratta in larga parte anche di persone anziane. Restiamo accanto a loro in questo momento. Il retro pensiero che si sta affacciando in queste ore tra la gente è di restare sola quando, fra qualche tempo, il freddo comincerà a mordere”.
E ad ‘Avvenire’ (sempre di venerdì 26 agosto) il vescovo di Rieti conferma quanto già rilevato dal collega di Ascoli Piceno: “Penso che non si tratti di dire parole, ma di mettersi al fianco di questi uomini, donne e bambini – quanti bambini – che stanno vivendo un momento terribile della propria vita”. Continua ‘don Domenico’: “Io stesso in questi giorni nella sola Amatrice ho benedetto un centinaio di salme raccolte in una delle tendopoli, in attesa di identificazione”. Per i superstiti, annota poi mons. Pompili, “è come vivere in un mondo sospeso, in cui il presente appare cancellato e il futuro appare cancellato”. E’ molto presente la paura di essere dimenticati, timore non peregrino: “Purtroppo ci sono molti episodi del passato che hanno dimostrato che, dopo l’iniziale attenzione, è seguita una progressiva disattenzione”.
‘Don Domenico’ affronta poi un altro argomento, di indubbia importanza per l’identità del Paese: “Solo due sabati fa ero a Sant’Angelo, frazione di Amatrice, per la riapertura della chiesa locale dopo un periodo di restauri. E oggi non c’è più nulla”. Purtroppo “questo terremoto ha cancellato un grande patrimonio artistico ed ecclesiastico che ha sempre rappresentato le radici profonde di questa popolazione”.
Un patrimonio che sarà recuperato? Qui ci permettiamo di dubitarne: in Emilia, nella diocesi di Carpi, quale trattamento è stato riservato alle chiese danneggiate o distrutte? Non vorremmo che, se si riuscisse a ridare vita ad Amatrice, lo si facesse con una serie di casette prefabbricate, con magari al centro un supermercato e una banca, ma senza una chiesa (o con una saletta ‘interreligiosa’ nell’immobile del supermercato). Se così sciaguratamente fosse, continuerebbe la sparizione degli edifici religiosi, dei campanili, delle croci dal paesaggio italiano, con un grave e sicuro danno non solo per la sopravvivenza di parrocchie ben riconoscibili, ma per l’identità della Nazione. Perdipiù in un tempo in cui cresce il numero delle moschee (ed anche dei minareti, segni ben visibili di una presenza islamica a livello di territorio… non per niente e a giusta ragione il popolo svizzero il 29 novembre 2009 ne ha vietato a larga maggioranza la costruzione di nuovi).
Torniamo all’impegno del mondo cattolico per cercare di alleviare la nuova e terribile quotidianità delle comunità terremotate. La Cei ha stanziato da subito per gli aiuti immediati un milione di euro (tratto dall’8 per mille); la Carita italiana centomila euro e 50mila quella tedesca; centomila euro – sempre per le prime necessità - dall’arcidiocesi di Torino, 50mila da quella di Milano, 30mila da Brescia, 20mila da Bolzano. Solidarietà concreta anche da molte altre diocesi. La Cei ha poi indetto una colletta nazionale per domenica 18 settembre, cui si sono già ad esempio associate le Missioni cattoliche di lingua italiana in Svizzera. Estesa la solidarietà espressa da diverse Caritas nazionali, europee, di tutto il mondo. Nel campo del volontariato è tutto un fiorire di iniziative, che vanno dall’offerta di ospitalità ai terremotati (vedi ad esempio la Comunità Papa Giovanni XXIII) alla presenza nelle zone disastrate di un gran numero di volontari cattolici, dalle Misericordie all’Unitalsi, dalle Acli ai Cavalieri di Malta, dalla Focsiv a tante altre realtà più piccole ma non meno generose del mondo cattolico, accanto naturalmente a ogni sorta di associazioni nazionali, regionali, provinciali di categoria del mondo del lavoro. Anche papa Francesco, che ha sostituito mercoledì 24 agosto la catechesi dell’Udienza generale con la recita del Rosario per i colpiti dal terremoto, ha inviato una squadra di sei vigili del fuoco e di cinque gendarmi pontifici (questi ultimi per collaborare con le forze dell’ordine italiane nella repressione dello sciacallaggio, una realtà odiosissima purtroppo sempre presente in eventi del genere).
In ambito vaticano registriamo una dichiarazione all’agenzia Sir del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, che osserva come “il dolore, nel momento in cui si prova, rischia di oscurare il nostro orizzonte e di farci perdere di vista le ragioni della speranza. Credo che la speranza stia nella partecipazione corale degli italiani e del mondo. Non bisogna lasciare sola questa gente. (…) Sarà dura ma con l’aiuto di tutti si potrà fare”.
E concludiamo con mons. Pompili, che – sempre al Sir e affrontando un altro argomento doloroso– ha detto che “tutti devono fare il loro dovere e tutte le responsabilità devono essere acclarate e non solo ad Amatrice, ma in tanti luoghi di questo Bel Paese che è tanto sismico ma impreparato a questi eventi severi che in altri contesti geografici avrebbero avuto meno effetti tragici”. In ogni caso “sulla prevenzione, chi ha la responsabilità a vari livelli deve operare una profonda riflessione”.