LICEO GIULIO CESARE/ SHOAH: UNA MEMORIA VIVA E FECONDA ANCHE PER L’OGGI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 31 gennaio 2019
Il Convegno per il Giorno della Memoria promosso dal Liceo Giulio Cesare di Roma. Le testimonianze di Giorgio Ajò e di Gianni Polgar. Cultura, razzismo, responsabilità storiche. Il multiforme antisemitismo odierno, che non raramente è ‘coperto’ dall’antisionismo.
E’ questo un periodo dell’anno in cui non mancano stimoli forti all’esercizio della memoria storica. Ad esempio tra pochi giorni, il 10 febbraio, ricorderemo i massacri delle foibe (1943-46) e l’esodo istriano, fiumano e dalmata (fino al 1956), conseguenti alla presa del potere in quelle terre adriatiche da parte dei partigiani comunisti titini. Come disse il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2004 (anno di istituzione del Giorno del Ricordo), “gli italiani delle terre d’Istria e Dalmazia furono colpiti da una violenza cieca ed esecranda e dalla sventura di dover abbandonare case e luoghi familiari”. E tre anni dopo il suo successore Giorgio Napolitano, cresciuto nel Pci, osservò con parole di verità: “Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una ‘pulizia etnica’.”. Su quei tristi eventi notiamo che è uscito qualche mese fa il film “Red Land – Rosso Istria” (regista Maximiliano Hernando Bruno) che ricostruisce con onestà storica e crudezza di immagini la vicenda della studentessa istriana Norma Cossetto (Medaglia d’oro al Merito civile nel 2004), torturata, violentata e uccisa dai comunisti titini nel 1943.
E’ del 2000 invece la legge dello Stato che fissa al 27 gennaio di ogni anno (nel 1945 in quel giorno furono abbattuti i cancelli di Auschwitz) la “Memoria della Shoah, delle leggi razziali, dell’internamento degli italiani nel Reich, degli atti di eroismo contro lo sterminio degli ebrei”. Come per il Giorno del Ricordo le scuole di ogni ordine e grado sono invitate a organizzare incontri che rinnovino la coscienza di quel che accadde.
Anche quest’anno il Liceo classico Giulio Cesare di Roma ha dunque promosso mercoledì 30 gennaio 2019 una mattinata di riflessione, in particolare “sulla famiglia e l’infanzia durante le leggi razziali e le deportazioni”. E’ così che gli studenti dell’ultimo anno hanno avuto la possibilità di ascoltare alcune testimonianze di membri della Comunità ebraica, oltre che di quattro loro compagne che hanno vissuto nell’autunno scorso l’esperienza del viaggio della Memoria ad Auschwitz (organizzato dal Comune di Roma), comprendente per l’occasione anche la visita al campo di lavoro di Neuengamme e della scuola Bullenhuser di Amburgo, nella cui cantina furono impiccati i bambini ebrei già sottoposti a sperimentazioni mediche agghiaccianti.
Nel saluto iniziale la preside Paola Senesi ha ricordato il flash mob del 14 dicembre 2018, proposto dagli studenti e coralmente condiviso, posto sotto il motto “Ricordare per non inciampare” e conseguente alla rimozione di venti ‘pietre d’inciampo’ nel rione Monti (forse ad opera di macabri e cinici collezionisti). Ed anche la posa nel cortile del liceo, lunedì 28 gennaio 2019, di una targa commemorativa delle pietre d’inciampo su iniziativa del Miur e dell’agenzia di stampa Dire.
Lucrezia Colmayer e Emanuele Gisci hanno portato il saluto istituzionale del II Municipio, mentre Yoseph Tesciuba - consigliere dell’Unione giovani ebrei d’Italia – ha voluto evidenziare il dovere che spetta ai giovani non solo di ricordare, ma anche di operare attivamente perché quanto accaduto non si ripeta. Attenti dunque a che i semi di un nuovo antisemitismo non si diffondano! Il medesimo concetto è stato condiviso da due rappresentanti degli studenti, Lucia Palleschi e Luca Turco.
La presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello ha subito evidenziato che lo scopo della legge del 2000 istitutiva della Giornata della Memoria non era certo di invitare a ricordare occasionalmente la Shoah o a stimolare un senso di pietà per le vittime. L’obiettivo invece era una riflessione profonda sulle ragioni che hanno portato alla Shoah così da rendere consapevoli soprattutto i giovani della necessità di contrastare con ferma convinzione ogni deriva antisemita. “Tutto il resto è retorica – ha concluso Ruth Dureghello rivolgendosi agli studenti – Non permettete alle vostre coscienze di essere vittime di quel che vivrete, fate in modo che ne siano protagoniste”.
GIORGIO AJO’: GRATITUDINE ETERNA AL MAGGIORE RAFFAELLO TANI E A SUA MOGLIE JOLANDA SALVI
La prima testimonianza è venuta da Giorgio Ajò (nato nel 1937), della cui vicenda singolare e fortunata i nostri lettori già conoscono diversi dettagli (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/600-1944-giorgio-ajo-unico-bambino-ebreo-nella-scuola-statale-dell-italia-occupata.html). Ajò ha evidenziato ancora una volta la gratitudine per l’aiuto decisivo che Raffaello Tani (maggiore della Guardia di Finanza) e sua moglie Jolanda Salvi (ambedue oggi tra i ‘Giusti di Israele’) diedero a suo padre che così potè salvarsi dalla razzia tedesca del 16 ottobre 1943. Non solo, ma tornato il piccolo Giorgio a Roma dopo la Liberazione, lo stesso Tani gli procurò la penicillina fondamentale per combattere una pericolosa broncopolmonite. A luglio del 1943, dopo il bombardamento alleato di San Lorenzo, la famiglia fuggì a Perugia (poco dopo si ricongiunse anche il padre), trasferendosi poi a Agello, frazione di Magione sul Lago Trasimeno. Lì Giorgio Ajò (ufficialmente Sergio De Arcangelis, la sua vera identità era conosciuta solo dal parroco) frequentò la prima elementare della scuola comunale e divenne chierichetto, imparando l’intera messa in latino.
GIANNI POLGAR/1: E’ MOLTO DURO ESSERE COSTRETTI A NEGARE LA PROPRIA IDENTITA' PER SALVARSI
Di timbro diverso la testimonianza portata dal fiumano (con genitori di origine ungherese) Gianni Polgar, figlio di un noto avvocato che, dopo la promulgazione delle scellerate leggi razziali, si trasferì a Roma con la famiglia, diventando segretario delle Comunità israelitiche italiane. Il piccolo Gianni, nato nel 1936, viveva con cruccio la ‘diversità’ del’essere ebreo nel tempo delle leggi razziali e guardava con invidia i “figli della lupa” che ogni settimana si adunavano per il ‘sabato fascista’. Non solo: doveva frequentare la sezione ebraica della scuola ‘Enrico Pestalozzi’ a Castro Pretorio, con ingresso separato e orario diversi da quello dei coetanei. A settembre del 1943 l’occupazione tedesca fece precipitare la situazione. I tedeschi chiesero cinquanta chili d’oro agli ebrei (che furono aiutati nella raccolta da “molti non ebrei”) e “qualche giorno prima della razzia del 16 ottobre si fecero consegnare le armi da duemila carabinieri, poi deportati in Germania”. Un fatto questo non molto conosciuto e che evidentemente mostra come i tedeschi temessero una qualche forma di resistenza quando fosse scattata l’operazione anti-ebraica. Gianni Polgar e la sua famiglia riuscirono a salvarsi, rifugiandosi in varie parti della città, finchè a fine ottobre Gianni e il fratello Tommy si ritrovarono allievi del collegio S. Giuseppe di Merode a piazza di Spagna. Gianni (come il fratello) dovette cambiare identità (lo sapevano solo direttore e vicedirettore) e chiamarsi “Franco De Renzini”, servire messa per meglio camuffarsi, fare la Prima Comunione e la Cresima. Certo, ha evidenziato Polgar, non era facile psicologicamente per un bambino fingere di non essere più se stesso, sradicato inoltre dal contesto familiare. La nonna e alcuni parenti di Polgar, restati a Fiume, nel 1944 furono presi dai tedeschi e scomparvero.
GIANNI POLGAR/2: CULTURA, RAZZISMO E RESPONSABILITA’
Nella seconda parte della testimonianza Polgar ha spiegato i motivi per cui parla sempre, in relazione alla Shoah, di “tedeschi” e non di “nazisti”. Normalmente non condivide la teoria della “colpa collettiva di un popolo” (di cui la comunità ebraica è stata vittima per prima), ma “in questo caso esiste una tale sommatoria di comportamenti individuali che tranquillamente si può parlare di ‘tedeschi’ e non di ‘nazisti’ “. Del resto, ha continuato Polgar, tutto ciò non è stato casuale. Già nel ‘secolo dei Lumi’ trovavamo un Voltaire “profondamente antisemita” e mercante di schiavi; poi la cultura tedesca ha preparato il campo alla diffusione del razzismo, anche con Fichte (“Discorsi alla nazione tedesca”) e Hegel (filosofia della storia, il popolo germanico deve portare avanti la “fiaccola della civiltà”). Dal razzismo all’antisemitismo il passo è stato breve e Hitler “ha concretizzato” tale concetto. Per Polgar la “maggior parte dei tedeschi” non ha voluto o saputo reagire. E reagire, anche a quei tempi, era possibile come dimostra il ‘no’ della Bulgaria alla richiesta tedesca di consegnare gli ebrei.
Allora, se si può oggi riconoscere che la Germania ha fatto i conti con la storia e così un po’ anche la Francia, occorre evidenziare che l’Italia tali conti non li ha mai fatti. Pesa certo su questo l’amnistia (esclusi i reati comuni) proposta dall’allora ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti (segretario del Pci) e approvata dal governo nel giugno 1946. Resta scandaloso ed emblematico il fatto che perfino le leggi razziali del 1938 siano state abolite nell’ultimo comma “solo due anni fa”: quando si pose nel secondo dopoguerra tale questione, non mancarono resistenze di ambienti diversi, tra cui una parte di quelli cattolici rappresentati dall’influente gesuita Pietro Tacchi Venturi.
Concludendo Polgar ha richiamato il fatto che in ogni persona umana coesistono – in dosi diverse - bontà e cattiveria. Una educazione “sana e positiva” ha proprio il compito di impedire alla ‘bestia che è in noi’ di emergere. Nella storia è emersa purtroppo tante volte e continua ad emergere: oltre alla Shoah, come non ricordare i massacri italiani in Libia (1911), in Abissinia (1936 in poi), quelli dei khmer rossi in Cambogia (sterminio di quasi un terzo della popolazione), le decine di milioni di morti per responsabilità dei regimi comunisti. E ora troviamo l’estremismo islamico dell’Isis. Insomma, la ‘bestia’ è sempre in agguato e quando si scatena “è terribile e sfrenata”.
LA TESTIMONIANZA DI QUATTRO STUDENTESSE
Hanno poi letto la loro testimonianza – coordinate dalla professoressa Paola Malorni - quattro studentesse partecipanti al già citato ultimo ‘Viaggio della Memoria”. Qualche spunto. Rebecca Cortese (Ghetto di Cracovia): “La ghettizzazione, agghiacciante e tremenda già in se stessa, è solo l’inizio dell’Olocausto e rende possibili i futuri anni di violenta persecuzione effettuata con le deportazioni a retate degli ebrei nei luoghi di messa a morte”. Ludovica Mastrostefano (Auschwitz-Birkenau): “La terra su cui si cammina è quella sopra la quale migliaia di persone sono crollate per il freddo, la fame o la fatica”. Francesca Cassinis (Campo di concentramento di Neuengamme): “Mi hanno spiegato che il campo doveva essere volutamente privo di ogni elemento che gli conferisse vitalità: solo le pietre erano concesse, con il fine di reprimere ogni speranza e conforto in coloro che entravano”. Martina Vitale (scuola Bullenhuser) “Travolgente, crudo, impressionante: potrei usare milioni di aggettivi per esprimere le emozioni provate nel momento in cui ho varcato la soglia della scuola Bullenhuser in cui furono trucidati venti bambini ebrei (…) A Neuengamme erano stati oggetti di esperimenti sulla tubercolosi, assolutamente infondati, che avevano il puro scopo di creare sofferenza”.
L’ODIERNO ANTISEMITISMO E’ MULTIFORME E SPESSO SI ‘COPRE’ CON L’ANTISIONISMO
Sono seguite poi alcune domande sul racconto dei genitori, sulla vita nel primo dopoguerra, sui modi con cui la Comunità ebraica contrasta l’antisemitismo, sui rapporti con le istituzioni della Repubblica, sui motivi per cui le leggi razziali sono state abolite nell’ultimo comma solo due anni fa (e qui, osserviamo, varrebbe la pena di approfondire seriamente la questione), sul processo di Norimberga e sulla pena di morte. A quest’ultimo proposito Polgar si è dichiarato fermamente contrario; Ajò – normalmente contrario – ha però fatto eccezione per le condanne a morte dei gerarchi nazisti.
Si è parlato anche delle forme assunte oggi dall’antisemitismo. Per Yoseph Tesciuba esso è multiforme e anche in parte diverso da quello del secolo ‘tradizionale’. Oltre al crescere, non solo in Italia ma un po’ in tutta Europa, di atti antisemiti compiuti da elementi di estrema destra, preoccupa molto la tendenza – che è ben presente invece a sinistra – all’antisionismo, critica forte della politica dello Stato di Israele. Le critiche certo sono pienamente legittime, ma tale antisionismo – non a sostrato cristiano - si rivela de facto solo una copertura dell’antisemitismo. Basti pensare al doppiopesismo con cui certe organizzazioni internazionali giudicano la politica israeliana, per condannarla sempre e comunque.
Sull’argomento Gianni Polgar ha voluto ricordare come in sede internazionale il “muro” per antonomasia sia quello (in realtà per molti chilometri solo un reticolato) che separa Israele dai Territori: “Nel mondo di muri ce ne sono 77. Possibile che sia sempre nel mirino quello israeliano? Qui siamo in presenza di un evidente pregiudizio anti-ebraico, legato al conflitto israelo-palestinese, il che comporta conseguenze molto pericolose”. Anche per Giorgio Ajò “l’antisionismo rafforza ancora di più l’antisemitismo di base, argomento molto forte tra le sinistre che hanno sempre osteggiato le politiche di Israele”. E con questo chiudiamo. Ma la riflessione è sempre aperta.