INVOCAZIONE INUTILE? MA UN PAPA NON PUO’ ARRENDERSI ALLA GUERRA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 15 luglio 2014
In questi giorni spesseggiano non solo in una parte della Curia critiche di vario tipo all’agire di Papa Francesco: c’è chi è perplesso per la riforma in campo economico, chi per alcuni passi delle ultime interviste o colloqui che dir si voglia, chi perché non ha mai digerito l’Invocazione alla pace dell’8 giugno nei Giardini vaticani. Ma se la pace non la invoca il Papa, anche in modi inusuali, chi altri lo può fare meglio?
In Curia ( meglio: in una parte della Curia) e altrove si gonfiano in questi giorni i sussurri e prende corpo il mugugno. Generalmente discreto, intendiamoci, ma ben presente. C’è chi non apprezza più di quel tanto l’irrompere dello stile anglosassone, “corredato di preziose consulenze esterne”, per portare aria fresca in torrioni e saloni avvezzi al frusciar di banconote. C’è chi stenta ad adeguarsi allo stile comunicativo di Francesco e ritiene che dia un po’ troppe interviste: inoltre ne critica alcuni contenuti. Nella penultima, data a un giornale romano, trova ad esempio assai spensierata la citazione del romanesco Campa e fa’ campa’, “lontano mille miglia” dal Damose da fa’, per non parlare del Duc in altum di Giovanni Paolo II. Ma anche l’ultima intervista-colloquio al noto Fondatore è stata recepita con perplessità e pure irritazione da non pochi per gli accenni imprecisi e dunque generalizzabili che il Papa avrebbe fatto (secondo Eugenio Scalfari, duramente bacchettato da un padre Lombardi cui rende ogni volta il compito più arduo) a “cardinali” tra i pedofili (in realtà almeno due sono rei confessi: i cardinali Groer e Keith O’ Brien, mentre ai confratelli Brady, Mahony e Law è stato rimproverato di aver sottovalutato o taciuto sui gravissimi fatti addebitati a loro sacerdoti). Non solo: nel mirino di alcuni critici anche la presunta affermazione papale su una risoluzione personale (senza specificare se fondata su una discussione collegiale) una volta per tutte del problema del celibato sacerdotale: “Una soluzione la troverò”.
L’aggravarsi della crisi israelo-palestinese, con le immagini terribili prima dei tre seminaristi ebrei rapiti e assassinati, poi delle famiglie palestinesi costrette ad abbandonare la loro casa in cinque minuti a causa dei bombardamenti israeliani, ha poi dato voce (sempre generalmente discreta) a chi aveva ritenuto perlomeno inutile l’ “Invocazione per la pace” dell’8 giugno nei Giardini Vaticani. “Mania di protagonismo, scoop pubblicitario, spreco di tempo e di mezzi” si era sentito più volte sussurrare da prelati d’ogni colore magari al termine di una conversazione su tutt’altri argomenti. E’ vero che l’idea di Francesco aveva stupito la Curia e faticato, almeno inizialmente, a trovare consensi in numero decoroso. C’era chi sosteneva che invitare il pur stimato presidente Peres era ‘inutile’, data la prossima scadenza del suo mandato e la diversa posizione del primo ministro Netanyahu, uomo forte di Israele. Chi invece riteneva troppo irrituale e quasi sacrilego acconsentire a iman vari di pregare pubblicamente in Vaticano. Eppure l’ “Invocazione” in sé era sostanzialmente riuscita (a parte le aggiunte bellicose in arabo di uno degli iman). E’ la realtà delle cose che poi ha confermato l'enorme difficoltà di dare una svolta pacifica a una situazione incancrenita da decenni e che ha già richiesto il sacrificio di decine di migliaia di persone. Quante madri israeliane e palestinesi hanno in questi anni dovuto piangere i loro figli!
Qui è lecito osservare che l’ “Invocazione” era stata definita dallo stesso Papa come momento di preghiera. Dunque non ci si dovevano attendere effetti politici positivi, in ogni caso a breve termine. Lo Spirito certo semina nei cuori: a volte essi si scuotono, a volte no. Non raramente si svegliano (“si convertono”) dopo mesi, anni. E intanto i razzi devastano da una parte, le bombe distruggono dall’altra. Ma poi, un giorno, uno comprende, cambia vita e, se ha il potere, modifica il corso della storia. La preghiera, per chi ci crede, ha effetti imprevedibili. Può un Papa non credere nel valore della preghiera? Può un Papa non invitare a credere (di più) nella preghiera cristiani e anche ebrei e anche musulmani e perfino non credenti? Può un Papa non cercare di attirare sulla preghiera l’attenzione universale? E per riuscire a centrare l’obiettivo escogitare incontri in forme ‘audaci’, in sé semplici, antiche e ormai quasi ‘dimenticate’ dalla nostra società? Può un Papa rassegnarsi, come tutti noi siamo tentati di fare, davanti all’impossibilità umana di districare una situazione apparentemente senza vie praticabili d’uscita? Può arrendersi? Non l’ha fatto ad esempio Giovanni Paolo II, con purtroppo scarso successo, per scongiurare le due guerre contro l’Iraq. E’ stata però quella di papa Wojtyla una testimonianza di grande valore umano davanti ai tanti che a lui guardavano, per mostrare che qualcuno ancora c’era che portava alta la bandiera della speranza cristiana. Anche papa Francesco rende tale testimonianza, in modi magari inusuali e fantasiosi ma in grado di incidere in qualche modo nei cuori. Lo fa con appassionata e dolente convinzione. Sapendo anche che da un Papa non ci si può attendere mai la resa davanti all'ineluttabilità di una guerra. Mai.