FRANCESCO: LETTERA SUL PRESEPE/MESSA CONGOLESE (CON QUALCHE NOTA) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 1 dicembre 2019
Il Papa ha firmato oggi a Greccio un documento di grande spessore anche emotivo sul Presepe. E’ una bella tradizione da sostenere e valorizzare sia in famiglia che in scuole, ospedali, piazze. In mattinata un’allegria inconsueta nella Basilica di San Pietro, portata dalla messa in rito zairese presieduta da Francesco. Un appello drammatico. Un’omelia con diversi spunti di interesse (anche controversi).
Ecco un documento di Francesco che merita di essere diffuso, letto e meditato da tutti i cristiani. E’ la Lettera apostolica “Admirabile signum” sul significato e il valore del presepe, firmata dal Papa poco prima delle cinque nella grotta di Greccio, il luogo che il 25 dicembre 1223 ospitò la prima rappresentazione del presepe come lo conosciamo voluta da san Francesco. Accompagnato da mons. Domenico Pompili (vescovo di Rieti), dal padre guardiano Francesco Rossi e da mons. Rino Fisichella (che presiede il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione), Jorge Mario Bergoglio verso le quattro ha raggiunto la grotta: lì ha sostato in preghiera e ha firmato la Lettera. Un breve incontro con frati e suore, con un gruppo di bambini del luogo e con alcuni figuranti del tradizionale Presepe vivente; poi è entrato nella chiesa del santuario dove, dopo una sua breve meditazione, è stata data lettura della Lettera. Un coro di pueri cantores della diocesi di Roma ha intervallato con canti natalizi tra i più amati le varie parti del testo.
ALLESTIRE IL PRESEPE IN FAMIGLIA E IN LUOGHI PUBBLICI COME SCUOLE, OSPEDALI, CARCERI, PIAZZE
Attraverso lo strumento della Lettera, che è sicuramente anche molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, il Papa scrive – con parole di indubbia valenza sociale, oltre che strettamente religiosa - di voler “sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata”.
ALCUNI PASSI DALLA LETTERA APOSTOLICA (EDITA DALLA LIBRERIA EDITRICE VATICANA)
Invitiamo chi ci legge a volersi procurare il documento (edito dalla Libreria Editrice Vaticana), anche in funzione di una buona preparazione al Natale veniente. Vale proprio la pena di leggerlo nella sua interezza! In questa sede ne offriamo però qualche passo assai significativo (oltre a quello già citato).
. Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura
. Veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto dal Papa Onorio III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Ed è possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica tradizione, le tavole della mangiatoia.
. Le Fonti Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.
. San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio. Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza.
. Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza
. Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.
.. Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto
. Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina.
. Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale.
. Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.
. Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. (…) La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.
. I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.
. Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita.
IN SAN PIETRO LA MESSA CONGOLESE. UNA FEDE CHE DA’ ALLEGRIA. UN APPELLO DRAMMATICO. UN’OMELIA CON SPUNTI INTERESSANTI (E CONTROVERSI)
Allegria questa mattina in San Pietro. Allegria non gratuita, ma sgorgata con tutta la sua carica travolgente di fede nella messa presieduta in Basilica da papa Francesco per i 25 anni della Cappellania cattolica congolese di Roma, fondata nel 1994 per volontà del cardinale Frédéric Etsou (arcivescovo di Kinshasa) nella chiesa della Natività di Gesù che si affaccia su piazza Pasquino, vicino a piazza Navona. La messa (ridotta nei tempi rispetto al consueto) è stata celebrata presso l’Altare della Cattedra in rito zairese (congolese), un adattamento del rito romano ordinario approvato dalla Congregazione competente nel 1988 (ulteriore adattamento di stamattina: lo scambio della pace anticipato a dopo l’omelia): si è fatta insomma vedere e sentire la partecipazione attiva dei presenti connotata da danze e canti accompagnati da strumenti tradizionali. Di particolare intensità la processione per l’Offertorio e i canti del coro alla Comunione. E’ stata una celebrazione certamente e pienamente cattolica, diremmo anche edificante per quelle parrocchie d’Occidente in cui a volte alcuni presenti, spesso affetti da mutismo acuto, sembrano più attenti allo smartphone che a quanto accade sull’altare.
Tre gli spunti più interessanti nell’omelia di Francesco. Fondandosi sul brano evangelico di Matteo sulla venuta del Figlio dell’uomo (24,37-44), il Papa ha detto: “Che cosa accadde ai giorni di Noè? Accadde che, mentre qualcosa di nuovo e sconvolgente stava per arrivare, nessuno ci badava, perché tutti pensavano solo a mangiare e a bere (cfr v. 38). In altre parole, tutti riducevano la vita ai loro bisogni, si accontentavano di una vita piatta, orizzontale, senza slancio. Non c’era attesa di qualcuno, soltanto la pretesa di avere qualcosa per sé, da consumare.(…)”. Attesa versus pretesa: un binomio che merita qualche riflessione approfondita, che probabilmente riguarda noi tutti.
Quel “da consumare” ha poi offerto di nuovo il destro a papa Francesco per un violento attacco al “consumismo”: Il consumismo è un virus che intacca la fede alla radice, perché ti fa credere che la vita dipenda solo da quello che hai, e così ti dimentichi di Dio che ti viene incontro e di chi ti sta accanto. Il Signore viene, ma segui piuttosto gli appetiti che ti vengono; il fratello bussa alla tua porta, ma ti dà fastidio perché disturba i tuoi piani – e questo è l’atteggiamento egoistico del consumismo. (…). E’ lecito pensare che il virus sia l’esasperazione del consumismo, non il consumismo in sé (che è un fenomeno connotato anche da aspetti positivi per la vita quotidiana degli umani). Inoltre quel mettere in relazione automatica il consumismo che provocherebbe “fastidio” creato dal “fratello che bussa alla tua porta” e che “disturba i tuoi piani” può sembrare un po’ (un po’ tanto, ma tanto tanto) eccessivo.
Terzo spunto di riflessione offerto da papa Francesco è contenuto in quest’altro passo dell’omelia, sempre a proposito del “consumismo” (per noi sarebbe più adeguato parlare di “esasperazione del consumismo”): “Allora si vive di cose e non si sa più per cosa; si hanno tanti beni ma non si fa più il bene; le case si riempiono di cose ma si svuotano di figli. Questo è il dramma di oggi: case piene di cose ma vuote di figli, l’inverno demografico che stiamo soffrendo”. Case piene di cose ma vuote di figli, un’immagine papale certo purtroppo azzeccata.
Proseguendo il Papa ha di nuovo puntato il dito contro il “consumismo” in rapporto a quello che poco prima aveva chiamato “fastidio” e ora è sfociato – secondo lui - in “odio”: “Si butta via il tempo nei passatempi, ma non si ha tempo per Dio e per gli altri. E quando si vive per le cose, le cose non bastano mai, l’avidità cresce e gli altri diventano intralci nella corsa e così si finisce per sentirsi minacciati e, sempre insoddisfatti e arrabbiati, si alza il livello dell’odio. “Io voglio di più, voglio di più, voglio di più...”. Lo vediamo oggi là dove il consumismo impera: quanta violenza, anche solo verbale, quanta rabbia e voglia di cercare un nemico a tutti i costi! Così, mentre il mondo è pieno di armi che provocano morti, non ci accorgiamo che continuiamo ad armare il cuore di rabbia”. Imputare al “consumismo” anche la “violenza verbale” e la “voglia di cercare un nemico a tutti i costi” (e qui - ma poteva forse mancare? - si intravvede una critica al Male Assoluto, cioè ai ‘sovranisti’, peste dell’umanità…) appare onestamente assai fuori luogo.
Concludendo l’omelia, papa Francesco ha evidenziato la necessità di pregare per la pace nel Congo: “Quando apriamo il cuore al Signore e ai fratelli, viene il bene prezioso che le cose non potranno mai darci e che Isaia annuncia nella prima Lettura, la pace: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4). Sono parole che ci fanno pensare anche alla vostra patria. Oggi preghiamo per la pace, gravemente minacciata nell’Est del Paese, specialmente nei territori di Beni e di Minembwe, dove divampano i conflitti, alimentati anche da fuori, nel silenzio complice di tanti. Conflitti alimentati da coloro che si arricchiscono vendendo le armi”.
Pregare, ma anche operare nella quotidianità per la pace, ha chiesto con forza al Papa nel suo ringraziamento suor Rita Mboshu Kongo della Comunità cattolica congolese di Roma. La suora si è augurata che Francesco possa celebrare presto la messa congolese in loco e che si propongano “come modelli per la Chiesa universale” i due beati martiri Anuarite e Bakanja. E poi ecco l’appello vibrante e drammatico per la pace nel Congo: “Purtroppo, il Congo è affetto da un cancro, il cancro della guerra e dell'insicurezza le cui vittime sono i poveri ed innocenti, particolarmente le donne e i bambini. Nel Congo, soprattutto a Beni, non passa un giorno senza che sia ucciso o massacrato un innocente. In meno di 20 anni, stiamo registrando un record mai conosciuto nella storia umana e di cui nessuno parla: circa 6 milioni dei congolesi uccisi. È un genocidio che non si conosce, ma che denunciamo con forza: si svolge in totale silenzio a livello globale. Non è giusto, è offensivo nei nostri confronti. È assurdo per qualsiasi amico della vita e della pace. Vi chiediamo di continuare a pregare per il nostro Paese, (e noi considerando l’efficacia della sua parola), Le chiediamo di sfidare tutte quelle grandi nazioni i cui leader sono senza cuore e che, per interessi economici e politici egoistici, continuano a fare del Congo una giungla dove tutti possono entrare e usarla, come fossero padroni.
Santità, vogliamo la pace, niente altro che la pace, la pace senza indugio, la pace incondizionata per il nostro Paese”.
In effetti si è appreso oggi che, riuniti in assemblea straordinaria a Bukavu, i vescovi diocesani della regione del Kivu hanno indetto per lunedì 2 dicembre una giornata “di lutto e di preghiera” che sarà seguita in tutta la rete ecclesiale (comprese scuole e università) in segno di “comunione e solidarietà con le vittime delle violenze nella regione”.