1991/ALVARO LOJACONO BARAGIOLA, BR: UN VIDEO, UNA STORIA SVIZZERA - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 17 gennaio 2019
Il 23 maggio 1991 eravamo alla stazione di Ittigen, in attesa del treno per rientrare a Palazzo federale, dove lavoravamo per il ‘Corriere del Ticino’. Avevamo alcuni minuti di tempo e incominciammo a sfogliare la documentazione ricevuta in occasione di una conferenza-stampa per il Settecentesimo della Confederazione…
Era di giovedì. Poco dopo mezzogiorno del 23 maggio 1991 eravamo seduti su una panchina della stazione di Ittigen, in attesa del treno per rientrare nella vicina Berna, a Palazzo federale. Avevamo seguito da corrispondente del Corriere del Ticino una conferenza-stampa nell’ambito delle iniziative promosse per il Settecentesimo della Confederazione elvetica (nata convenzionalmente nel 1291). Stavolta si presentavano le Bulles d’utopie audiovisive, prodotte dalla “creatività di artiste e artisti attivi in campo audiovisivo, anche di quelli non professionisti”; bulles “affettuose e dolenti”, che trasmettono “una visione, un’idea o un’atmosfera”. 226 bulles, di una durata tra i 7 e i 138 secondi) costate globalmente 3 milioni e 250 mila franchi svizzeri (in gran parte soldi confederali, con un’aggiunta di 200mila franchi da parte della Radiotelevisione svizzera).
Eravamo lì sulla panchina e nei minuti dell’attesa abbiamo incominciato a sfogliare la copiosa documentazione ricevuta (tra cui si trovava una videocassetta con le bulles ). Uno sguardo all’elenco degli autori e… alla bulle numero 34 – intitolata “Lo denuncio” -spunta un certo Alvaro Lojacono Baragiola, “giornalista radiofonico”. Subito nella nostra mente è stato un affollarsi di ricordi, dall’uccisione dello studente di destra Mantakas a quella del giudice Tartaglione… al rapimento di Aldo Moro a via Fani e all’uccisione della sua scorta.
Tornati a Berna, abbiamo subito visto la cassetta e ci siamo poi precipitati nell’Ufficio del Delegato del Consiglio federale (Governo nazionale) per il Settecentesimo, Marco Solari: quanto più raccontavamo, tanto più l’amico Marco si agitava (tilt completo), tanto da far temere uno svenimento (che non ci fu).
Sul Corriere del Ticino del giorno dopo, 24 maggio 1991, apparve (con un occhiello in prima pagina) il nostro articolo intitolato “Baragiola promosso a ‘artista del Settecentesimo’. Eccovene l’incipit, in cui si descrive il video…
“Una sirena della polizia. Urlo rauco, abbaiare di cane. Sul video sbarre di prigione. Una voce: Lo denuncio perché è un bastardo. Lo denuncio perché è un pervertito. (…) Lo denuncio perché è un maniaco. Lo denuncio perché è uno str… (ci scusiamo per la censura). Lo denuncio perché ha guardato le t… (idem) di mia moglie. Lo denuncio perché s’impara (… - piccola pausa, sbarre sul video sempre più oscuro). Lo denuncio perché sono coerente. Lo denuncio perché ho bisogno di un capro espiatorio. Lo denuncio perché bisogna fare piena luce. (…) Lo denuncio perché non è svizzero. Lo denuncio perché si fa gioco delle istituzioni. (…) Lo denuncio per sentirmi in pace con Dio. (piccola pausa). Lo denuncio così posso fare un film. (pausa). Una voce femminile: A causa della testimonianza di un brigatista pentito Alvaro Lojacono è stato condannato all’ergastolo in Svizzera. E’ ormai buio. Si sente il fragore di un’esplosione. Fine, a 135 secondi dall’inizio”.
Fragore la bulle numero 34 l’ha certo suscitato a suo tempo. Come? Il terrorista rosso premiato dalla Confederazione per un video tra l’altro insultante verso la giustizia elvetica? C’è anche chi provò allora a giustificarsi. Disse il regista Yves Yersin, responsabile (insieme con lo zurighese Peter-Christian Fueter) della Commissione per la selezione delle bulles: “Abbiamo operato secondo i principi della coerenza dell’opera, del suo interesse, delle qualità artistiche. (…) Il Settecentesimo deve dare la parola a tutti, pure a quelli che gridano la loro innocenza dal chiuso di una prigione”. Non da meno quello che ci ha detto all’epoca Christian Zeender, capo del Servizio cinematografico dell’Ufficio federale della Cultura: “I presenti (alla selezione) sono stati impressionati molto favorevolmente; raramente hanno detto di aver visto qualcosa di simile. (…) Non siamo sotto un regime comunista perché lo Stato possa intervenire contro la libertà dell’arte”.
L’indignazione popolare portò allora alla presentazione di alcuni atti parlamentari in sede cantonale (al Gran Consiglio ticinese un’interpellanza del liberale-radicale Luciano Giudici) e in sede nazionale, con le domande scritte sull’argomento inoltrate dal democristiano ticinese Mario Grassi e dalla liberale-radicale bernese francofona Geneviève Aubry. In Consiglio nazionale rispose il 10 giugno 1991 il consigliere federale (ministro) Jean-Pascal Delamuraz: “Non vogliamo un Ministero della Cultura che decida che cosa è arte e distribuisca le pagelle”. Ma ci sono dei limiti, superati i quali non si può più parlare di arte. E’ questo il caso della bulle numero 34: sarebbe grave se lo Stato coltivasse il masochismo fino a permettere la circolazione nel Settecentesimo di boomerang come la bulle numero 34, targato Alvaro Lojacono Baragiola. Alla chiara risposta di Delamuraz, il Delegato Marco Solari – che viveva giorni di angoscia cercando di barcamenarsi tra tutela dei collaboratori e indignazione popolare - non potè far altro che ritirare la bulle anche nella versione depurata dell’ultima frase (sì… perché erano spuntate due versioni, una senza quel finale).
Sulla vicenda, nel Corriere del Ticino, vedi i nostri articoli apparsi il 24 maggio, il 25 maggio, il primo giugno, il 4 giugno, l’11 giugno 1991.
Non guasta riandare per qualche cenno alla vita di Alvaro Lojacono Baragiola, che oggi è dipendente – consulente nell’ambito di ‘sicurezza e conflitti’ (!!!) - dell’Università cattolica di Friburgo.
Nato nel 1955, è figlio di Giuseppe Lojacono – economista ed esponente romano del Pci - e di Ornella Baragiola, di buona famiglia comasca ma di nazionalità svizzera (acquisita dalla madre Olga Clericetti). Alvaro è cresciuto - con il cognome Lojacono - nel Ticino, presso la madre Ornella (i genitori si erano separati). A quattordici anni raggiunse il padre a Roma ed entrò quasi subito nell’estremismo di sinistra (Potere Operaio), infine approdò alle Brigate Rosse. Nel 1975 fu implicato nell’assassinio dello studente greco di destra Mikis Mantakas (ucciso davanti alla sede del Msi di via Ottaviano a Roma) e poi condannato a 16 anni di carcere; nel 1978, sempre a Roma, in quello del giudice Girolamo Tartaglione (insieme con Alessio Casimirri); ancora nel 1978 (e ancora con Casimirri) fu tra i componenti del commando che rapì Aldo Moro a via Fani, uccidendo i cinque uomini della scorta. Inoltre gli sono state imputate alcune rapine a mano armata nel 1979. E’ stato condannato a 16 anni per l’omicidio Mantakas (in Italia), all’ergastolo (poi ridotto a 17 anni, infine è stato liberato dopo 11) in Svizzera per l’omicidio Tartaglione, all’ergastolo in Italia per la partecipazione al rapimento di Aldo Moro (doveva presidiare la via di fuga).
All’inizio degli Anni Ottanta, Alvaro Lojacono Baragiola lascia Roma – con l’aiuto di ambienti del Pci, di Paolo Bufalini per l’avvocato della Dc nel processo Moro – per l’Algeria, poi il Brasile. Si ricorda però di avere una madre svizzera e dunque di poter richiedere tale nazionalità: gli è concessa senza problemi (è prassi comune) il 19 giugno 1986. Alvaro rientra dunque nella Confederazione. Il 28 gennaio 1987 il Governo ticinese però approva anche un’altra richiesta di Alvaro Lojacono: quella del cambio di cognome… sarà Baragiola. Una richiesta di tal genere normalmente dovrebbe passare attraverso gli uffici di polizia (che naturalmente avrebbero scoperto il passato del richiedente, gravato di diversi mandati di cattura internazionale)… ma, com’è come non è, così non successe. Sarà stata pura e semplice casualità. Ha rilevato il Corriere della Sera dell’11 ottobre 2017, a firma Andrea Galli (un omonimo dell’odierno bravo collega di Avvenire), che Alvaro era “convinto che la seconda cittadinanza svizzera l’avrebbe protetto. Aveva ragione. Utilizzò la potenza dei soldi e la rete di relazioni della famiglia”. Che risiedeva nella monumentale Villa Orizzonte a Castelrotto di Croglio (Malcantone, a pochi chilometri da Lugano); e lì non mancavano occasioni di party con la crème ‘progressista’ del Cantone….
Intanto Alvaro – da collaboratore esterno - viene stipendiato dal settembre 1987 dalla Radio della Svizzera italiana (terza rete) come intrattenitore e ideatore di quiz (!!!). Nel 1988 la polizia ticinese, con un’azione congiunta con quella italiana, decise di porre fine alla sua latitanza per modo di dire, molto dorata in ogni caso e lo arrestò. Come detto, fu condannato dapprima all’ergastolo per l’omicidio Tartaglione, ma la pena fu ridotta a 17 anni, infine a nove di reclusione (due di semilibertà), così che nell’ottobre del 1999 Lojacono Baragiola lasciò la prigione. La vicenda della bulle sopra ricordata va ricondotta a questo periodo (1990-91). La magistratura elvetica invece rinunciò ad aprire un’indagine sul suo coinvolgimento nel rapimento di Aldo Moro (i co-indagati non volevano comparire davanti alla giustizia svizzera). Di estradizione nemmeno a parlarne, come cittadino svizzero. Nel giugno del 2000, raggiunta la madre nella villa dell’Ile Rousse in Corsica (vicino a Bastia), il terrorista rosso fu di nuovo arrestato dalla polizia francese… ma senza conseguenze (niente estradizione in Italia). Ora è riapparso a Friburgo, dove ribadiamo che collabora con l’Università cattolica (Ufficio del dipartimento di scienze sociali) su questioni di sicurezza e conflitti (!!!). Chi l’ha contattato riferisce che vuol essere lasciato stare… Ha osservato il Corriere della Sera: “C’è una sorta di comandamento che accomuna questi terroristi all’estero: godersi il presente, indipendentemente dalle tragedie commesse”. E di tale scelta Alvaro Lojacono Baragiola, “meticoloso, preciso, un vero cecchino, brigatista di primissimo livello”, è stato “il massimo interprete”.