BORROMINI/ PAOLO PORTOGHESI CITTADINO ONORARIO DI BISSONE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 25 gennaio 2019
La cerimonia a Roma, nella Sala Alessandrina del complesso della Sapienza, adiacente alla chiesa borrominiana di Sant’Ivo. Un premio alla passione di una vita per l’architetto Paolo Portoghesi, che dell’artista di Bissone (sul lago di Lugano) è uno dei maggiori studiosi. Tra i presenti nella serata del 18 gennaio anche il nuovo ambasciatore di Svizzera a Roma Rita Adam.
Bissone, comune ticinese dirimpettaio di Melide (cui è collegato dal ponte omonimo), è de facto una striscia di terra sulle rive del Lago di Lugano popolata da poco meno di mille abitanti. Un grappolo di case, stradine, porticati, un’ampia piazza. Villaggio originariamente di pescatori…. eppure… “ricco di cultura” e lì - dove “l’acqua dialoga con il cielo” e “luce ed ombra sono fondamentali“ - ha passato i primi anni di vita “un insieme di persone, unite dallo specchio di un lago”…ed esse “hanno costruito in tutta Europa” arricchendola con il loro talento. Hanno contribuito anche al fulgore artistico di Roma, con il Borromini e prima di lui con i maestri comacini, con Domenico Fontana (nativo di Melide), Carlo Maderno (Capolago) e tanti altri.
Parole - quelle virgolettate - di Paolo Portoghesi, pronunciate venerdì 18 gennaio 2019 a Roma, durante il ‘grazie’ per essere divenuto cittadino onorario proprio di Bissone.
Era d’autunno. Del 1967, a trecento anni dalla morte di Francesco Castelli detto il Borromini. Al Liceo di Lugano molto si discusse sulla meta del viaggio di maturità. C’erano gli ‘scientifici’ goderecci che ambivano all’ Oktoberfest di Monaco di Baviera. E c’erano i ‘letterari’ più austeri che vagheggiavano invece Roma. E a Roma s’andò, accompagnati dal rettore del liceo, l’intellettuale Adriano Soldini e dal docente di storia dell’arte, il professor Cattaneo. Proprio a Roma ascoltammo per la prima volta uno studioso allora trentaseienne, ma già noto per i suoi approfondimenti borrominiani, Paolo Portoghesi. Un itinerario indimenticabile, che contribuì a rafforzare in noi una ‘vocazione’ romana, che poi la vita ci diede occasione di soddisfare. Era d’autunno. Del 1967.
Oggi il professor Portoghesi ha ottantasette anni, è stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano negli anni sessantottini (che non ha mai rinnegato) e professore ordinario presso la Facoltà di Architettura della Sapienza. Fin da studente si è interessato di Borromini e ne è progressivamente divenuto uno dei maggiori interpreti. Fondamentali in particolare i volumi del 1964 su Borromini nella cultura europea, del 1966 su Roma barocca, del 1967 su Borromini: l’architettura del linguaggio.
A Portoghesi il comune di Bissone ha voluto conferire la cittadinanza onoraria con la motivazione seguente: "Per la lunga fedeltà e la straordinaria, ineguagliabile passione profuse nello studio fecondo dell’opera di Francesco Borromini, nostro illustre concittadino e protagonista della Roma barocca".
Non a caso la cerimonia si è svolta a Roma. Non solo, ma all’interno di una delle opere ideate e sviluppate dall’artista bissonese, la bella Sala Alessandrina, suddivisa in tre campate e parte del complesso della Sapienza (sede dal Cinquecento al Novecento dello Studium Urbis, l’Università fondata da Bonifacio VIII nel 1303), che comprende anche uno dei capolavori borrominiani, la chiesa di Sant’Ivo caratterizzata dal mirabile lanternino.
Da Bissone è calata una nutrita delegazione, guidata dal sindaco Andrea Incerti e da uno dei suoi predecessori, Gianni Moresi (Promo Bissone, che ha coordinato la serata). Non poteva mancare il rappresentante della Confederazione Elvetica, il neo-ambasciatore a Roma Rita Adam, accompagnata tra gli altri dal ministro Dagmar Schmid Tartagli. In prima fila di una sala gremita di ‘bella gente’ (per la gioia dei fotografi) anche Gianni Letta. Due i relatori principali, i professori Nicola Soldini (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana) e Bruno Adorni (Politecnico di Milano e Università di Parma).
Ha fatto gli onori di casa il direttore dell’Archivio di Stato Paolo Buonora, mentre Andrea Incerti ha illustrato le ragioni del conferimento della cittadinanza onoraria, chiedendo anche a Portoghesi (che ha subito acconsentito) di potergli dare del tu, un po’ come accade per chi la riceve dal Campidoglio.
L’ambasciatore elvetico presso il Quirinale Rita Adam (viene da Tunisi, ha da poco sostituito Giancarlo Kessler trasferito all’Ocse a Parigi) ha rilevato che “nei discorsi ufficiali che riguardano le relazioni bilaterali tra la Svizzera e l’Italia viene sovente citato il contributo degli architetti provenienti dai territori lombardi, facenti parte dell’odierno Canton Ticino”, da Carlo Maderno a Domenico e Carlo Fontana, da Francesco Borromini “sino al maestro ancora vivente Mario Botta”. Come mai tanto fulgore artistico in questa zolla di terra lacustre appena a sud delle Alpi? Rita Adam pensa che nel Ticino “si sia costituita quella che ai nostri giorni chiameremmo una filiera produttiva completa che, a partire dalla capacità realizzativa esercitata da maestranze molto specializzate – i muratori o i famosi stuccatori – risaliva al capomastro e ancora su fino al progettista/artista”. Il quale “si affermava proprio perché estrema espressione di questo insieme di competenze”.
Più ‘tecnico’ l’intervento del professor Nicola Soldini (figlio tra l’altro del già citato Adriano, rettore del Liceo di Lugano dal 1963 al 1971), che ha rievocato la contesa storiografica borrominiana degli Anni Venti del Novecento tra il tedesco Hempel e l’austriaco Sedlmayr. La seconda metà del secolo si apre con il contributo rilevante – e meno animoso – di Giulio Carlo Argan, cui negli Anni Sessanta/Settanta segue il fiorire di una pubblicistica borrominiana eccezionale, occasionata dal trecentesimo della morte dell’artista di Bissone. In tale contesto brilla il “Borromini” di Portoghesi, caratterizzato da “sintesi e originalità, o meglio sintesi e laboratorio”. Ha detto Soldini: “Viene da lontano, poiché è il frutto di una maturazione nuova e appassionata, coltivata sin dagli anni giovanili se non adolescenziali, quando – come spesso racconta Portoghesi – alzava gli occhi verso la spirale del Sant’Ivo; poi attraverso una costante, puntuale attenzione critica durante gli anni Cinquanta. Fedeltà, la sua, immutabile di lungo corso”. Si può anche notare che, a differenza di Argan, Portoghesi approda alla monografia su Borromini partendo dal contesto del barocco, inserendo dapprima il grande architetto nella cultura europea, poi in quella romana.
Il professor Bruno Adorni ha voluto evidenziare soprattutto il suo essere stato allievo di Portoghesi a Milano, negli anni del Sessantotto e ne ha decantato le qualità umane e didattiche: “Appariva come un uomo di cultura che aveva piacere nel dispensare le sue conoscenze, ti prendeva per mano e ti accompagnava sulla via della migliore comprensione del fatto architettonico”.
E’ poi toccato prendere la parola al festeggiato: “La concessione della cittadinanza onoraria è un’occasione per ripensare alla propria vita”. E così – ha continuato Portoghesi - posso riconoscere di amare, oltre a Borromini, anche la natura. Svisceratamente. Ho scoperto Bissone negli Anni Sessanta, immersa com’è in un paesaggio meraviglioso. Penso che “se Borromini non avesse vissuto lì i suoi primi anni di vita, non avrebbe potuto fare quello che ha fatto”. Portoghesi ha rievocato poi un’ ‘illuminazione’ avuta in San Giovanni in Laterano, in cui è ben presente la mano dell’architetto ticinese grazie anche “a più di duecento angeli, bambini paffuti tutti diversi l’uno dall’altro, che disegnava lui stesso” a mo’ di “recupero del momento di assoluta purezza dell’infanzia”. Non è mancato nelle parole di Portoghesi un ricordo ardente (naturalmente opinabile) del Sessantotto, da reduce non pentito: “In quegli anni, insieme con diversi errori, abbiamo realizzato quello che dovrebbe essere la scuola: una ricerca comune di studenti e professori. Abbiamo provato, tutto questo è fallito, però nel nostro ricordo è ancora vivo”.
Rinfresco e conversari sul loggiato, mentre una splendida luna corteggiava il lanternino di Sant’Ivo. Poco lontano, a San Giovanni dei Fiorentini, la lapide apposta nel 1994 -con il patrocinio dell’allora ambasciatore di Svizzera Francis Pianca - ricorda l’artista che lì riposa (morto suicida o forse no, come ha prospettato Francesco Scoppola nell’ “Osservatore Romano” del 10 gennaio 2018): Franciscus Borromini Ticinensis/ Eques Christi/ qui imperiturae memoriae architectus/ divinam artis suae vim/ ad Romam magnificis aedificiis exhornandam vertit….”