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    SAPIENZA E VERTICI DELLA CHIESA -- TERRASANTA/ PAPA, MORLACCHI

    SAPIENZA E VERTICI DELLA CHIESA – TERRASANTA/ PAPA, MORLACCHI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 13 novembre 2023

    La prima lettura della messa di domenica 12 novembre 2023 offre l’occasione di riflettere sul dono  della Sapienza, anche in relazione alla sua presenza tra i vertici della Chiesa. Nel dopo-Angelus della stessa domenica papa Francesco lancia un nuovo, vibrante appello per un cessate il fuoco in Terrasanta. Quarta lettera ‘in tempo di guerra’ di don Filippo Morlacchi da Gerusalemme: ne riproduciamo ampi stralci.

     

    IL DONO DELLA SAPIENZA: LA SI RITROVA SEMPRE TRA I VERTICI VATICANI?

    Dalla prima lettura della messa di domenica 12 novembre 2023 (Sapienza 6, 12)

    La sapienza è splendida e non sfiorisce,
    facilmente si lascia vedere da coloro che la amano
    e si lascia trovare da quelli che la cercano.

    Ascoltato il passo, ci è venuta spontanea una domanda, cui ognuno potrà - se vuole e ci riesce - tentare una risposta: “Oggi la Sapienza è presente sempre oppure solo a intermittenza dentro le mura vaticane, tra i vertici del cattolicesimo?”

    Vertici che appaiono tanto inclusivi (Todos, todos, todos) a parole, ma nei fatti solo per alcune categorie di persone? Vertici tanto vogliosi di aprire – con quell’ambiguità inquietante di pensiero, con quelle contraddizioni patenti e quelle strizzatine d’occhio al politicamente corretto che abbiamo ben conosciuto in quest’ultimo decennio – sempre nuovi processi (suscettibili di creare grande confusione tra i fedeli) di ‘aggiornamento’ nella pastorale (di cui, sempre almeno a parole, non importa l’esito)? Vertici nel contempo insofferenti e drastici verso persone singole (magari consacrate) e gruppi di persone che testimoniano pubblica fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa? Dottrina - è bene ricordarlo - che prevede l’accoglienza per ogni persona, il suo affiancamento, ma non la legittimazione pubblica (leggi ‘normalizzazione’) degli eventuali suoi comportamenti palesemente contrastanti con essa.

    Sulla domanda abbiamo riflettuto e ci sembra di poter tentare qui una risposta, anche alla luce di alcuni sviluppi vaticani di questo ultimo periodo, in cui si sono illustrati in particolare i vertici del Dicastero per la cosiddetta Dottrina della Fede,  del Sinodo dei vescovi e dei non vescovi e magari qualche tanto illustre quanto gesuitico canonista.  

    Pensiamo perciò che, adattando alla bisogna una delle invocazioni dei fedeli sempre di domenica 12 novembre 2023, potrebbe essere opportuno pregare frequentemente così: “Ascoltaci. Signore… per il Papa, per i cardinali, per gli altri vescovi, per i sacerdoti, perché il Signore conceda loro il dono della Sapienza per occuparsi del bene del popolo cristiano e guidarlo oltre il tunnel di questa profonda crisi sociale, morale, spirituale”. Guidarlo oltre. Non: spingerlo nel.

    VOCI  SU QUANTO STA ACCADENDO IN TERRASANTA: PAPA FRANCESCO, DON MORLACCHI

    . Papa Francesco (dal dopo-Angelus di domenica 12 novembre 2023, dove ha dapprima parlato della gravissima situazione umanitaria nel Sudan a causa della persistente guerra civile):

    Il pensiero ogni giorno va alla gravissima situazione in Israele e in Palestina. Sono vicino a tutti coloro che soffrono, palestinesi e israeliani. Li abbraccio in questo momento buio. E prego tanto per loro. Le armi si fermino, non porteranno mai la pace, e il conflitto non si allarghi! Basta! Basta, fratelli, basta! A Gaza, si soccorrano subito i feriti, si proteggano i civili, si facciano arrivare molti più aiuti umanitari a quella popolazione stremata. Si liberino gli ostaggi, tra i quali ci sono tanti anziani e bambini. Ogni essere umano, che sia cristiano, ebreo, musulmano, di qualsiasi popolo e religione, ogni essere umano è sacro, è prezioso agli occhi di Dio e ha diritto a vivere in pace. Non perdiamo la speranza: preghiamo e lavoriamo senza stancarci perché il senso di umanità prevalga sulla durezza dei cuori.

    . Don Filippo Morlacchi (dalla quarta lettera ‘in tempo di guerra’ da Gerusalemme, scritta il 9 novembre 2023 - per la seconda ad esempio vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1159-terrasanta-papa-parolin-morlacchi-armenia-artsakh-papa-polonia.html ):

    . È passato più di un mese dal 7 ottobre (…) In Italia arrivano abbondanti notizie da Israele e da Gaza. Ciò che mi colpisce di più, nella maggioranza dei reportage sui giornali, e nella quasi totalità dei post diffusi sui media, è la tendenza a schierarsi acriticamente da una parte o dall’altra del conflitto. Il fenomeno sarebbe comprensibile, da parte di chi è più coinvolto dagli eventi; ma questi estremismi mi sembrano generalizzati. Sui social media tutto viene esasperato e banalizzato, e diventa occasione per un grossolano tifo da stadio. Il tono categorico con cui tante persone esprimono la propria interpretazione dei fatti mi lascia interdetto. (…)

    Il primo fenomeno di questi ultimi giorni che mi pare doveroso registrare e interpretare è il rigurgito di antisemitismo che sta dilagando in Italia e tutto il mondo. A Roma la commemorazione del 16 ottobre 1943 – data del tragico rastrellamento del ghetto, e della conseguente deportazione di più di mille ebrei romani nei campi di sterminio – sta diventando un appuntamento tradizionale che favorisce la costruzione di una memoria condivisa. È triste apprendere che, solo pochi giorni dopo la commemorazione, a Trastevere alcune targhe commemorative di ebrei vittime della Shoah – le cosiddette “pietre d’inciampo” – sono state vandalizzate. Simultaneamente sono ricomparse stelle di Davide e svastiche sui muri e nei cimiteri di numerose città europee. Alcune manifestazioni di solidarietà verso i palestinesi si sono trasformate in palcoscenico per l’esibizione di gesti antisemiti. Si tratta di comportamenti ingiustificabili, oltre che stupidi: da condannare senza appello. Comprensibilmente molti ebrei sono indignati e preoccupati, perché temono il riaffiorare dell’atavico pregiudizio antisemita. È sicuramente una preoccupazione legittima. Il pregiudizio antiebraico è profondamente radicato, e riemerge anche dopo periodi di latenza. Osservando le imponenti manifestazioni filo-palestinesi che hanno affollato le piazze di mezzo mondo in queste settimane, alcuni commentatori hanno scritto che l’antico antisemitismo sta assumendo il volto ipocrita della difesa dei diritti dei più deboli. È un’opinione sulla quale riflettere: è possibile, infatti, che le prese di posizione “pro-Palestina” siano generate da un antisionismo fazioso, e non da sincero amore per la giustizia. Ho letto appelli al cessate il fuoco e inviti alla pace che mi suonavano ideologici e fasulli, redatti da persone schierate acriticamente, senza adeguata conoscenza della situazione. Ed è anche possibile che in qualcuno, o forse in molti, la critica alle politiche di Israele – di per sé legittima – degeneri in odio cieco verso tutti gli ebrei indistintamente, cioè in antisemitismo.

    . D’altro canto, i bombardamenti su Gaza, oltre a colpire gli obiettivi strategici di Hamas, mietono migliaia di vittime civili e producono lutto e sofferenza nella popolazione. È irragionevole pensare che questa immane distruzione susciti nell’opinione pubblica anche reazioni sincere a difesa di vittime innocenti? Perché l’ipotesi che qualcuno voglia con purezza d’intenzione solamente impedire una strage di altri innocenti dovrebbe essere respinta come oltraggiosa? Perché solidarizzare con il dolore delle mamme e dei papà di Gaza dovrebbe implicare una connivenza con Hamas, o un latente pregiudizio antiebraico? Certo, è doveroso e urgente, oggi, condannare senza mezze misure l’antisemitismo, in tutte le sue forme; tutti siamo chiamati a farlo, noi cristiani per primi. Ma vorrei poter conservare la libertà di poter anche implorare pietà per la gente di Gaza, come ha fatto il Papa, senza per questo esser accusato di odiare il popolo ebraico. Vorrei sentirmi libero di abbracciare i figli di Israele senza esser costretto ad odiare il popolo palestinese perché mi sia consentito farlo. (…)

    . L’esasperazione del conflitto sta consolidando l’arroccamento sulle proprie posizioni da parte di entrambe le fazioni. Ciò produce un fenomeno che vorrei chiamare di “anestesia selettiva”. La concentrazione esclusiva sul proprio dolore impedisce qualunque forma di empatia nei confronti del dolore e delle ragioni della controparte, e dunque rende impossibile ogni forma di dialogo. (…) Per gli ebrei è la tragedia del 7 ottobre, la percezione di insicurezza nei confini nazionali, il sentirsi vittima di odio antisemita, il terrore di futuri attentati da parte di Hamas… Per i palestinesi è la storia di 70 anni d’ingiustizie patite, la tragedia dei morti sotto le bombe, la mancanza di prospettive per il futuro… Ognuno è ripiegato su di sé, e non riesce a offrire un minimo di comprensione o di disponibilità ad accogliere l’altro. La comunicazione così diviene impossibile. Ogni incontro si trasforma in scontro rabbioso e sterile, se non controproducente. La pace si allontana sempre più.

    . Su questo fronte – cioè la ricostruzione della disponibilità a contenere il proprio dolore per ascoltare quello dell’altro – ci sarà moltissimo da lavorare nei prossimi anni e decenni. Un delicato compito di mediazione e di educazione delle coscienze, al quale come cristiani saremo chiamati a offrire il nostro piccolo contributo. Dobbiamo ribadirlo con chiarezza: nessuna sofferenza da parte dei palestinesi potrà mai giustificare l’eccidio del 7 ottobre, anche se può aiutare a comprenderne i presupposti. Né le mostruosità commesse da Hamas e dai suoi affiliati possono legittimare la devastazione di Gaza, anche se aiutano a comprenderne le ragioni. Però tutti stanno annegando in un mare di sofferenza. Bisogna uscire da questo pantano morale. Di questo – credo – dobbiamo farci portavoce.

    . Vengo così alla situazione della nostra Chiesa. Qui a Gerusalemme tutto sommato si sta tranquilli. Certo, pochi giorni fa, nello stesso luogo dell’attentato della settimana precedente, un adolescente palestinese di 16 anni ha ucciso con un coltello da cucina una poliziotta israelo-americana di 20, e a sua volta è stato ucciso. Ogni commento è superfluo. Bisogna ricostruire una cultura di pace, cominciando dai bambini e dai ragazzi. Si percepisce malessere e paura. Ebrei e palestinesi cercano di evitarsi, per reciproco timore. Però – lo ripeto – a Gerusalemme non abbiamo la guerra vera e propria. Diversa è la situazione “oltre il muro”, ad esempio a Betlemme, dove l’isolamento crea disagi gravissimi. Eventualmente ne parlerò in una prossima lettera.


    . Noi cristiani ci sforziamo di fare la nostra parte e di non cedere alla logica della violenza. Domenica 29 ottobre nel santuario di Deir Rafat abbiamo celebrato la solennità di Maria “Regina di Palestina”, nostra patrona, consacrandole nuovamente questa Terra.

    . Le parole del patriarca, padre Pizzaballa, hanno sollevato alcune critiche sia da parte ebraica (o filo-ebraica), sia da parte araba (o filo-araba): segno che erano perfettamente equilibrate ed evangeliche. A Gaza, la minuscola comunità cattolica continua a pregare e a sperare, nonostante tutto il male che patisce, sostenuta dall’unico sacerdote ora presente e dalle tre piccole comunità di suore. Ci hanno mandato video che documentano la devastazione delle strade, della scuola cattolica, delle case… Un bomba ha fatto tremare la chiesa mentre i parrocchiani pregavano il Rosario. Ma la preghiera è proseguita, e i fedeli hanno continuato a invocare la pace senza odiare nessuno. Non cedono alla logica della violenza e della vendetta (…). La guerra farà il suo corso, è inevitabile. Ma poi si dovrà comunque ricostruire e ricominciare a vivere, uno accanto all’altro. La consapevolezza cristiana che il male si vince solo con il bene mi sembra una chiave importante per un futuro possibile.

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