TERRASANTA, PIZZABALLA E NOEMI DI SEGNI – NIGERIA: STRAGE DI CRISTIANI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 30 dicembre 2023
Mentre continua la dolorosa e scandalosa guerra fra cristiani in Ucraina, dalla Terrasanta barbaramente insanguinata si leva la voce del cardinale patriarca Pizzaballa. Gli auguri assai particolari di Noemi Di Segni (presidente dell’Ucei) al Papa e ai cristiani in Italia. In Nigeria strage natalizia (almeno 160 morti) di agricoltori cristiani da parte di pastori musulmani
Difficile in momenti come questi - in cui ricorrono incessantemente le parole ‘guerra’, ‘lutti’, ‘distruzioni - fare auguri che non suonino retorici per il nuovo anno. Ci limitiamo a questo: che nel 2024 chi ci legge sia allietato almeno da una cosa bella!
A UN ANNO DALLA MORTE DI JOSEPH RATZINGER/PAPA BENEDETTO XVI
Il 31 dicembre 2022 moriva novantacinquenne Joseph Ratzinger, papa emerito. Lo ricordiamo con affetto e con gratitudine, consci dell’ineludibile persistenza nella Chiesa cattolica dei contenuti del suo magistero, nonostante il tentativo ricorrente di modificarli o meglio eliminarli da parte di teologi improvvisati – berrette farfallone e accecate dalla brama di piacere al politicamente corretto - e di zucchetti zuzzurelloni, habitués della curva luteran-zwingliana.
TERRASANTA, PIZZABALLA E NOEMI DI SEGNI
Prosegue senza sosta il conflitto in Terra Santa. Che, se originato in quest’ultima fase dall’orribile. inaudito massacro compiuto il 7 ottobre dai terroristi islamici di Hamas (con l’aggiunta del sequestro di oltre 200 ostaggi), trova le sue radici più profonde nel non riconoscimento da parte di molti arabi – al di là di accordi governativi di vertice – del diritto all’esistenza di Israele tra il Giordano e il Mediterraneo e nell’indifferenza voluta degli Stati arabi alla sorte di centinaia di migliaia di palestinesi ammassati da decenni nei campi profughi (un disinteresse motivato dalla scelta di mantenere il più possibile una riserva di rabbia da utilizzare contro Israele al momento opportuno). In Cisgiordania poi i coloni israeliani ultraortodossi fanno di tutto per attizzare l’odio palestinese contro di loro, impegnati come sono in una sorta di pulizia etnica del territorio, terrorizzando, uccidendo e depredando con la complicità dell’esercito.
Anche i giorni di Natale hanno avuto i loro morti, con le forze israeliane che hanno proseguito la loro opera di “ripulitura” della Striscia di Gaza con la spietatezza che purtroppo le caratterizza in questi mesi. Una spietatezza che non giova alla popolarità di Israele (che certo originariamente difende il proprio diritto all’esistenza come Stato indipendente) in un mondo in cui riaffiora in misura preoccupante un antisemitismo che fino a qualche tempo fa si poteva ritenere espressione ormai soltanto di piccoli gruppi isolati.
Dopo il crudele e inaccettabile attacco alla parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1170-parrocchia-gaza-dolore-e-indignazione-ancora-riccardi-a-sant-ippolito.html ) e le conseguenti, addolorate e indignate reazioni cattoliche a ogni livello, il patriarca Pierbattista Pizzaballa, insieme con gli altri capi delle chiese cristiane, giovedì 21 dicembre ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog. Formalmente per uno scambio di saluti natalizi, in realtà – come è scritto in un comunicato ufficiale del patriarcato del 23 dicembre – per chiedere “un cessate il fuoco umanitario immediato e permanente e la protezione dei civili e delle istituzioni che forniscono loro aiuto e servizi” e per “ illustrare la posizione della Chiesa che chiede la fine dello spargimento di sangue a Gaza, della sofferenza dei civili e delle barriere imposte in Cisgiordania, soprattutto quelle che circondano la città Betlemme in questo tempo di festa”. La precisazione del 23 è stata originata dalla necessità di sopire alcune polemiche suscitate nel campo arabo cristiano da un incontro che era parso ad alcuni sul momento fuori luogo, considerate le circostanze.
La Betlemme che ha accolto domenica 24 dicembre Pizzaballa per il suo primo ingresso da cardinale in città era connotata dalla mestizia dei tempi: ridotti al minimo addobbi, luci, musiche, con gli scout silenti (e senza cornamuse). In piazza della Mangiatoia era stato allestito un presepe tra macerie e filo spinato. Non c’erano turisti e alla Messa di Mezzanotte era assente anche il presidente palestinese Abu Mazen. La chiesa di Santa Caterina, dove è stato celebrato il rito solenne, era comunque affollata di arabi cristiani. Che si presume abbiano apprezzato il fatto che il patriarca, accompagnato dal confratello cardinale Konrad Krajewski (elemosiniere pontificio, inviato dal Papa), abbia accettato di indossare nel pomeriggio una kefiah palestinese bianca e nera in segno di solidarietà con le loro sofferenze.
LA FORTE OMELIA DEL CARDINALE PATRIARCA PIERBATTISTA PIZZABALLA
Degna di nota l’omelia della Messa di Mezzanotte pronunciata dal patriarca. Ne riportiamo ampi stralci.
. Carissimi, il Signore vi dia pace! Vorrei stanotte dare voce a un sentimento profondo che credo proviamo tutti e che trova eco nel Vangelo appena proclamato: “perché non c’era posto per loro” (Lc 2,7). Come per Maria e Giuseppe, anche per noi, oggi qui, sembra che non ci sia posto per il Natale. Siamo tutti presi, da troppi giorni, dalla dolorosa, triste sensazione che non ci sia posto, quest’anno, per quella gioia e quella pace che in questa notte santa, proprio a pochi metri da qui, gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme.
. In questo momento non possiamo non pensare a tutti quelli che in questa guerra sono rimasti senza nulla, sfollati, soli, colpiti nei loro affetti più cari, paralizzati dal loro dolore. Il mio pensiero va a tutti, senza distinzione, palestinesi e israeliani, a tutti quelli colpiti da questa guerra, a quanti sono nel lutto e nel pianto e attendono un segno di vicinanza e di calore. Il mio pensiero, in particolare, va a Gaza e ai suoi due milioni di abitanti. Davvero quel “non c’era posto per loro” esprime bene la loro situazione, oggi nota a tutti e la cui sofferenza non cessa di gridare al mondo intero. Nessuno più ha un posto sicuro, una casa, un tetto, privati dei beni essenziali di vita, affamati, e più ancora esposti ad una violenza incomprensibile. Non sembra esserci posto per loro non solo fisicamente, ma nemmeno nella mente di coloro che decidono le sorti dei popoli. È la situazione in cui da troppo tempo vive il popolo palestinese, che pur vivendo nella propria terra, si sente dire continuamente: “non c’è posto per loro”, e attende da decenni che la comunità internazionale trovi soluzioni per porre fine all’occupazione, sotto la quale è costretta a vivere, e alle sue conseguenze.
. Mi sembra che oggi ciascuno sia chiuso nel suo dolore. Odio, rancore e spirito di vendetta occupano tutto lo spazio del cuore, e non lasciano posto alla presenza dell’altro. Eppure, l’altro ci è necessario. Perché il Natale è proprio questo, è Dio che si fa umanamente presente, e che apre il nostro cuore ad un nuovo modo di guardare il mondo.
. Non sarebbe Natale senza i Pastori. Pure il loro vegliare nella notte appartiene al Vangelo. E sono essi i primi a trovare il Bambino. L’evangelista Luca non indugia tanto sulla loro condizione sociale quanto sulla loro interiorità. Erano i pastori, quella notte, gente sveglia, abituati all’essenziale, capaci di azione, disponibili al nuovo, senza troppi calcoli o ragionamenti e perciò pronti al Natale. In un tempo inevitabilmente segnato da rassegnazione, odio, rabbia, depressione, abbiamo bisogno di cristiani così perché ci sia ancora posto per il Natale! A questa mia amata Diocesi, ai suoi presbiteri, ai seminaristi, ai religiosi e alle religiose, ai laici e alle laiche impegnate, a tutte le comunità parrocchiali con i loro gruppi e le loro associazioni, sento di dover ricordare che noi siamo eredi di quei pastori. So bene quanto è difficile restare svegli, disponibili all’accoglienza e al perdono, pronti a ricominciare sempre di nuovo, a rimettersi in cammino anche se è ancora notte. Solo così però noi troveremo il Bambino. Ma solo questa è la testimonianza che assicura al Natale ancora uno spazio in questo tempo e in questa terra, che da qui si irradia nel mondo intero. Noi siamo qui e intendiamo continuare a essere i pastori del Natale. Coloro, cioè, che pur in condizioni povere e fragili, hanno trovato il Bambino, ne hanno sperimentato la grazia e la consolazione, e vogliono annunciare a tutti che il Natale è, oggi come ieri, vero e reale.
. Carissimi, ho nel cuore un desiderio che si fa preghiera: Che la nostra volontà di bene, resa concreta dal nostro “sì” responsabile e generoso, dal nostro impegno ad amare e a servire, sia lo spazio nel quale Cristo possa nascere sempre di nuovo!
. Lo chiedo per me stesso e per la mia Chiesa di Terra Santa e per ogni Chiesa: che essa sia per tutti casa, spazio di riconciliazione e perdono per quanti cercano gioia e pace! Chiedo a tutte le Chiese nel mondo, che in questo momento guardano a noi non solo per contemplare il mistero di Betlemme, ma anche per sostenerci in questa tragica guerra: fatevi latori presso i vostri popoli e i loro governanti del “si” a Dio, del desiderio di bene per questi nostri popoli, per la cessazione delle ostilità, perché tutti possano ritrovare davvero casa e pace.
. Prego che Cristo rinasca nel cuore dei governanti e dei responsabili delle nazioni, e suggerisca loro il Suo stesso “Sì” che Lo ha portato a farsi amico e fratello nostro e di tutti, perché si adoperino sul serio per fermare questa guerra, ma soprattutto perché riprendano le fila di un dialogo che porti finalmente a trovare soluzioni giuste, dignitose e definitive per i nostri popoli. La tragedia di questo momento, infatti, ci dice che non è più tempo per tattiche di corto respiro, di rimandi ad un futuro teorico, ma che è tempo di dire, qui e ora, una parola di verità, chiara, definitiva, che risolva alla radice il conflitto in corso, ne rimuova le cause profonde e apra nuovi orizzonti di serenità e di giustizia per tutti, per la Terra Santa ma anche per tutta la nostra regione, segnata anch’essa da questo conflitto. Le parole come occupazione e sicurezza e le tante altre parole simili che da troppo tempo dominano i nostri rispettivi discorsi, devono essere rafforzate da fiducia e rispetto, perché questo è ciò che vogliamo che sia il futuro per questa terra e solo questo garantirà stabilità e pace vere.
. (a questo punto il patriarca ha chiesto la traduzione simultanea in arabo): Possa il Signore rinascere anche nella nostra comunità in Gaza: ero solito venire a trovarvi ogni anno e spendere qualche giorno da voi per le feste di Natale e solo Dio sa quanti tentativi ho fatto per essere lì con voi. Non siete soli e noi non vi abbandoneremo mai. Siate coraggiosi come lo siete state fino ad adesso: ora voi state sperimentando paura, tragedia e morte, ma in questo momento voi siete la nostra luce. Possiate davvero sentire tutto questo calore e questo nostro affetto da Betlemme.
. Il Natale è la luce che ci viene incontro, la luce che viene per noi. Uscite da qui con un sorriso e con gli occhi pieni di luce, nonostante tutto, perché oggi Gesù è con noi: questa è la nostra gioia e dobbiamo portare questa gioia dovunque andiamo, perché noi non abbiamo paura. Mai avere paura!
. Rinasca infine Cristo nel cuore di tutti, perché per tutti sia ancora Natale! Buon Natale!
UN MESSAGGIO ASSAI PARTICOLARE DI NOEMI DI SEGNI, PRESIDENTE DELL’UCEI
Assai particolare – e indubbiamente caratterizzato dall’eco delle persistenti polemiche a vari livelli tra personalità cattoliche e personalità israelite - il messaggio natalizio che Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) ha rivolto il 25 dicembre “a Papa Francesco, alle Chiese in Italia, ai fratelli e alle sorelle di fede cristiana”. Nel messaggio anche l’accenno preoccupato e critico al “risveglio di pregiudizi secolari” dovuto alla “distorsione” comunicativa di riferimenti geografici, storici e dottrinali. Di seguito il testo del messaggio:
. A Papa Francesco, alle Chiese in Italia, ai fratelli e le sorelle di fede cristiana
. Auguriamo che questo Natale sia un giorno di speranza nel quale tramandare il senso di una fede religiosa che rende la vita non solo il miracolo di una nascita, ma che considera la responsabilità di quella che prosegue ogni giorno.
. Che sia un giorno nel quale si affermi la fede che protegge la famiglia e le comunità, ben lontana da ogni forma di abuso e distorsione della fede, propria o altrui, nel nome di D-O per progettare ed eseguire massacri, per spargere e radicare odio. Speranza che protagonisti e simboli di questa festa siano propriamente citati nella sacralità loro attribuita, senza prestarli a significati politici. Che si argini la distorsione di quei riferimenti alla geografia, storia e cardini della fede che, nella spirale mediatica, promuovono realtà sostitutive, risvegliano secolari pregiudizi e seminano scetticismo e odio verso chi cerca convivenza e tramanda il valore della vita. Speranza che la parola PACE - SHALOM non sia lanciata in appelli che sollevano le coscienze da ogni responsabilità passata e futura.
. Che i luoghi sacri di Gerusalemme e della Terra di Israele siano spazi nei quali è data protezione alla libertà di preghiera, intima o corale che sia, e non al terrore e all’inganno. Speranza che finalmente le donne generatrici di questa sacra vita siano ricordate tutte e ogni nascituro possa ricevere quel dono di fiducia nel prossimo e nell’intelligenza umana per la costruzione del bene, che matura nel rispetto della verità.
Il giorno dopo, 26 dicembre, il quotidiano online Pagine ebraiche ha riferito del messaggio della presidente dell’Ucei paragonandolo alle parole pronunciate in occasioni recenti dal patriarca Pizzaballa, che – si stigmatizza - “ha espresso il suo linguaggio nel giorno di Natale, recandosi a Betlemme con la kefiah al collo”. Per Pagine ebraiche si deve constatare che Noemi Di Segni e Pizzaballa parlano “due linguaggi diversi” (così suona il titolo del commento). E per il cardinale francescano – da tempo nel mirino di critiche ebraiche assai approssimative - non suona come un complimento.
IN NIGERIA NATALE DI SANGUE PER LA STRAGE DI AGRICOLTORI CRISTIANI AD OPERA DI PASTORI MUSULMANI
Di almeno 160 morti e oltre 300 feriti è il bilancio dell’ennesimo attacco di pastori musulmani (Fulani), dal 23 al 25 dicembre 2023, a una ventina di villaggi abitati quasi esclusivamente da agricoltori cristiani nella diocesi nigeriana di Pankshin (stato di Plateau). Ha detto all’Aiuto alla Chiesa che soffre padre Andrew Dewan, direttore delle comunicazioni diocesane: “Le persone sono state uccise sommariamente, le case e il mais raccolto sono stati dati alle fiamme, come le chiese e le cliniche”. Sono parole tanto eloquenti che non necessitano di commento.
La strage è avvenuta in una regione centrale del Paese, laddove i pastori premono da nord in cerca di pascoli per le loro mandrie e gli agricoltori si vedono invadere le loro terre coltivate (una situazione che non è infrequente in Africa). In Nigeria i pastori, nomadi e in crescita numerica, sono islamici, perdipiù molto infiltrati dall’estremismo jihadista; perciò gli scontri per l’accaparramento delle risorse disponibili assumono indubitabilmente una valenza anche religiosa, essendo gli agricoltori – pure in crescita numerica - in gran parte cristiani. Del resto che la strage sia avvenuta nei giorni di Natale non sembra proprio frutto del caso.
Non stupisce quindi che la Nigeria, secondo le statistiche dell’ong Porte Aperte/Open Doors si ritrovi al sesto posto nella graduatorie dei Paesi in cui i cristiani sono perseguitati (5014 uccisi in quanto cristiani nel 2022). Purtroppo la realtà della condizione drammatica di molti cristiani in alcuni Paesi africani viene in genere, se non ignorata, almeno sottovalutata dai grandi mezzi di informazione. Eppure è una realtà, non un’opinione (sull’aiuto ai cristiani in Africa vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1171-casarini-il-pio-con-l-aureola-quadrata-due-convegni-ungheresi.html ).