PAROLIN/TRUMP, INTELLIGENZA ARTIFICIALE– CONVEGNO/CARLO D’ASBURGO - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 12 novembre 2024
Il 7 novembre alla Gregoriana un interessante convegno sugli effetti dell’uso dell’IA in guerra: tra i relatori il cardinale Parolin che a margine dell’incontro ha riflettuto sulla rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Carlo I d’Asburgo, ultimo imperatore d’Austria-Ungheria, ricordato a vent’anni dalla beatificazione in un convegno a Santa Maria dell’Anima, con tra gli altri i cardinali Mamberti e Tolentino.
CARD. PIETRO PAROLIN/LA RIELEZIONE DI DONALD TRUMP
Giovedì 7 novembre 2024 la Pontificia Università Gregoriana ha ospitato un attualissimo Convegno sugli effetti dell’utilizzazione dell’Intelligenza Artificiale nei moderni conflitti armati. Svoltosi nel settantacinquesimo anniversario delle Convenzioni di diritto umanitario di Ginevra (12 agosto 1949), è stato promosso dalle Ambasciate di Svizzera presso la Santa Sede e presso il Quirinale in collaborazione con lo stesso ateneo.
Prima del saluto istituzionale al Convegno (vedi più oltre) il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ha risposto ad alcune domande dei giornalisti sulla rielezione (stavolta ben chiara) di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. “Facciamo gli auguri… all’inizio del suo mandato gli auguriamo tanta saggezza perché questa è la virtù principale dei governanti secondo la Bibbia”. Così proseguendo: “Io credo che deve lavorare soprattutto per essere Presidente di tutto il Paese… quindi superare la polarizzazione, che si è verificata, che si è avvertita in maniera molto molto netta in questo tempo …e poi ci auguriamo che possa davvero essere un elemento di distensione e di pacificazione negli attuali conflitti che stanno sanguinando il mondo”.
A proposito della frase di Trump “Non inizierò guerre, ma le fermerò” il segretario di Stato di Stato vaticano ha osservato “Speriamo, speriamo, speriamo. Certo, neppure lui ha la bacchetta magica…. Ci vuole tanta umiltà, tanta disponibilità… ci vuole davvero la ricerca degli interessi generali dell’umanità, piuttosto che concentrarsi su interessi particolari. Io me lo auguro”. In tale contesto, riguardo alla cessazione delle ostilità in Ucraina e in Medio Oriente, il cardinale Parolin si è interrogato sul ‘come’: “Nessuno ha mai saputo dire e neppure lui (NdR: Trump) ha dato indicazioni concrete sul come. Vediamo adesso che cosa proporrà dopo che si sarà insediato”
Sulla prospettata “deportazione di massa di migranti illegali latino-americani ha rilevato tra l’altro il sessantanovenne porporato: “Noi siamo per una politica saggia nei confronti dei migranti e quindi che non arrivi a questi estremi. Il Papa ha dato indicazioni molto precise, molto chiare su questo tema. Credo che sia l’unica maniera per affrontare il problema e risolverlo in maniera umana”.
Altro tema su cui non c’è sintonia tra Santa Sede e Stati Uniti di Trump è quello dei rapporti con la Cina, verso la quale – ha evidenziato il Segretario di Stato - la prima ha un interesse “essenzialmente ecclesiale”. Ha poi così proseguito: “Noi siamo comunque andati avanti con la Cina, abbiamo rinnovato l’Accordo per altri quattro anni … il dialogo continua, a piccoli passi ma continua…quindi confermiamo questa linea, al di là delle reazioni che possano venire anche dall’America”.
Sulla difesa della vita e in particolare sul contrasto all’aborto Santa Sede e Stati Uniti di Trump trovano maggiori convergenze. Il tema è “importante”: “Spero che questa difesa della vita che Trump ha assicurato farà durante il suo mandato possa allargare il consenso”. E tuttavia “non deve diventare una politica ancora una volta di polarizzazione e di divisione”.
In sostanza tra Santa Sede e Stati Uniti “come sempre ci sono elementi che ci avvicinano ed elementi che forse ci differenziano, che ci distanziano. Sarà questa l’occasione per esercitare il dialogo e per cercare di trovare insieme nuovi punti di consenso, sempre a beneficio del bene comune e della pace nel mondo”.
Come si sarà notato, dalle parole (in diversi momenti assai inusuali per occasioni del genere e con sottolineature intenzionali…) del Segretario di Stato non traspare un grande entusiasmo per la rielezione di Trump, in linea con quanto detto da papa Francesco prima del voto come nella conferenza stampa aerea del 13 settembre 2024, tornando da Singapore. “Mandare via i migranti, non dare ai migranti capacità di lavoro, non dare ai migranti accoglienza è peccato, è grave”, aveva osservato il pontefice argentino riguardo a Trump. E poi, per Kamala Harris: “Fare un aborto è uccidere un essere umano. Ti piaccia o non ti piaccia, ma è uccidere (…) è un assassinio, è un assassinio”. In conclusione: “Si deve votare. E si deve scegliere il male minore. Chi è il male minore, quella Signora o quel Signore? Non so, ognuno in coscienza pensi e faccia questo”.
Il male minore? A detta dei sondaggi i cattolici USA hanno preferito come ‘male minore’ Donald Trump (con il 56% contro il 41% raccolto dalla rivale e, per quanto riguarda i cattolici che vorrebbero il divieto generale di aborto, addirittura con il 90%). Certo non in linea con Avvenire che con il turiferario rosicone e apocalittico Giorgio Ferrari così apriva l’editoriale del 7 novembre: “Scende la notte sulla democrazia americana”. Come avrebbe votato il Papa, se fosse stato cittadino statunitense? Percepiamo che non avrebbe assecondato la scelta della maggioranza cattolica. Chissà… pensando agli elogi riservati alla politicamente indigeribile Emma Bonino - definita da papa Francesco nonostante tutto non solo “grande dell’Italia di oggi” (2016), ma il 5 novembre scorso “esempio di libertà e resistenza”- ci sarebbe venuto un dubbio…
CARD. PIETRO PAROLIN/ INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GUERRA
Come si segnalava inizialmente, le dichiarazioni del cardinale Parolin su Trump sono state fatte prima dell’inizio di un Convegno sull’impatto dell’Intelligenza Artificiale nello sviluppo delle guerre contemporanee. Ciò a 75 anni dalla firma delle Convenzioni di Ginevra, fonte del diritto umanitario (torneremo in una prossima occasione su questo attualissimo argomento). Qualche spunto tratto dal saluto in apertura del segretario di Stato:
. Vorrei ricordare che la tecnologia, e la scienza, di per sé sono “prodotti straordinari del potenziale creativo di noi esseri umani” (papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 2024) e sono strumenti ‘neutrali’. E’ l’utilizzo, è l’impiego che ne fanno le persone a determinare benefici o eventuali danni alla società.
La possibilità che l’Intelligenza Artificiale, utilizzata nell’ambito di un conflitto armato, possa mettere a rischio la tutela di coloro che non prendono parte alle ostilità, così come creare sofferenze superflue, dipende dall’uomo. E’ la coscienza della persona, elemento che la distingue dalle macchine, che permette di decidere in modo moralmente responsabile.
. Vista la natura propria dell’Intelligenza Artificiale, strumento complesso e con una caratura di autonomia, emerge ancora più chiaramente l’importanza che permanga l’uomo a determinarne l’utilizzo come ultimo responsabile, come garanzia dei limiti necessari. Non possiamo permettere che la vita e il futuro di qualcuno siano decisi da un algoritmo; come ricorda papa Francesco “nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano”.
. In questo contesto, mentre l’uso militare dell’Intelligenza Artificiale va diffondendosi, è indispensabile che la popolazione civile, i feriti, i naufraghi, gli ammalati, i prigionieri e i caduti rimangano tutelati, e che dunque restino saldi il rispetto dei principi di distinzione, di proporzionalità e di precauzione.
. Da parte sua, la Santa Sede rimane impegnata nel rispetto e nella promozione del diritto umanitario anche in relazione al sistema di armi letali autonome. A tal fine, la Santa Sede continua ad appellarsi per il negoziato di uno strumento giuridicamente vincolante sulle armi autonome. Appello che è stato reiterato proprio anche da numerosi altri Stati e dal Segretario generale dell’ONU. E’ fondamentale che la normativa per prevenire le loro conseguenze negative non tardi oltre.
. Come tutti sappiamo, le sfide che si aprono davanti a noi in merito all’Intelligenza Artificiale sono diverse, e in tale contesto vorrei sottolineare che i principi etici non ostacolano la ricerca, lo sviluppo e l’uso delle tecnologie, ma fungono da fari verso un orizzonte che si basa sulla promozione del bene comune.
In un’intervista televisiva a margine del Convegno il card. Parolin ha poi tra l’altro affermato: C’è sempre meno fiducia fra i vari attori della comunità internazionale e, se non c’è fiducia, anche i regolamenti, le varie normative valgono poco. La violazione del diritto internazionale umanitario è una cosa veramente, veramente drammatica. Non c’è più limite alla cattiveria e alla malvagità. Ne va del futuro dell’umanità.
CARLO I D’ASBURGO: L’ULTIMO IMPERATORE. STORICAMENTE UN PERDENTE… CHE HA INCARNATO LE BEATITUDINI EVANGELICHE – GLI INTERVENTI DEI CARDINALI MAMBERTI E TOLENTINO
Nato nel 1887, morto in esilio nel 1922 a Funchal, Madeira, Portogallo, Carlo d’Asburgo –successore di Francesco Giuseppe dal novembre 1916 – fu l’ultimo imperatore austroungarico e anche l’ultimo re apostolico d’Ungheria. Beatificato da Giovanni Paolo II nel 2004, aveva sposato Zita di Borbone-Parma (morta nei Grigioni nel 1989), per la quale si è pure aperto un processo di canonizzazione.
A vent’anni dalla beatificazione, con il patrocinio delle ambasciate di Austria e di Ungheria presso la Santa Sede, il Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima e la Kaiser Karl Gebetsliga/Delegazione per l’Italia hanno promosso il 21 ottobre 2024 un colloquio storico dal titolo “Carlo d’Asburgo: l’uomo e lo statista al servizio della pace cristiana”, seguito da una messa di ringraziamento presieduta dal card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero per la Cultura ed Educazione cattolica.
Partiamo proprio dalla celebrazione eucaristica nella chiesa splendente di luci di Santa Maria dell’Anima per evidenziare- con le parole del porporato portoghese, nato proprio a Madeira – l’attualità di Carlo in questo nostro tempo caratterizzato dall’irresponsabile persistenza dei conflitti armati. “Fin da piccoli sull’isola abbiamo una vera devozione per l’Imperatore santo, così come è chiamato dal popolo – ha detto già nel saluto introduttivo il presule cinquattottenne – Carlo d’Asburgo è un esempio di santità, una grande risorsa spirituale per la diocesi di Funchal”. Essendo il Vangelo quello delle Beatitudini, premesso che “ogni volta la lettura di questo testo suscita sensazioni nuove”, il card. Tolentino che rilevato nell’omelia che esse “sono l’autoritratto di Gesù, a ben guardare, il più affascinante”. E sono proprio le Beatitudini “la chiave dell’esistenza di Carlo d’Asburgo. Già in vita si riconosceva che egli incarnava lo spirito delle Beatitudini e nella morte ancora di più”, tanto che il popolo gli attribuiva un potere di intercessione molto grande. Ha proseguito il porporato: “Nessuno meglio di lui capiva la sofferenza di dover andare al fronte senza avere mai dichiarato guerra. Intendeva la carica come servizio sacro per il suo popolo. Il suo pensiero era sempre orientato al benessere sociale. Un esempio per chi occupa posizioni di responsabilità politica in Europa: in quest’ora difficile per il continente ci spinge sul sentiero della pace”.
Dalle parole del card. Tolentino emergono già i tratti essenziali della personalità di Carlo d’Asburgo, indagati e approfonditi nel colloquio storico pomeridiano svoltosi nella Biblioteca dell’Istituto. Dopo il benvenuto di Eugenio Cecchini (balivo dell’Ordine Teutonico per Roma e Lazio, organizzatore dell’incontro), l’ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede Edoardo d’Asburgo-Lorena ha dato lettura del messaggio inviato dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. Nel testo si legge tra l’altro: “Nel contesto della Prima Guerra Mondiale Carlo d’Asburgo, pur nel breve tempo che gli fu concesso, si distinse per i suoi instancabili sforzi a favore della pace e della riconciliazione, affrontando nel contempo con determinazione le sfide interne ed esterne al suo impero”. Tanto che “oggi, alla luce delle guerre in corso, sia in Europa che in Medio Oriente, e dei conflitti in diverse regioni del mondo, la figura di Carlo d’Asburgo continua ad essere per tutti noi un richiamo ispiratore alla dedizione cristiana e alla ricerca incessante della pace”.
Di “eroicità delle virtù e santità del beato Carlo d’Asburgo” ha poi parlato il card. Dominique Mamberti, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica. Il settantaduenne porporato, già diplomatico collaudato, ha ripercorso le tappe principali del processo di beatificazione, avviato il 5 novembre del 1949. Nel 1960 ci fu la guarigione repentina e inspiegabile di una suora vincenziana, il 12 aprile 2003 il decreto sull’eroicità delle virtù, il 20 dicembre dello stesso anno il riconoscimento della guarigione miracolosa, il 3 ottobre 2004 la proclamazione a beato. Di Carlo d’Asburgo, ha detto il cardinale di origine corsa, impressiona “la vita imperniata su un fede granitica”. In particolare “manifestava una grande devozione al Sacro Cuore, oltre che mariana”. Riteneva che “la pace è un bene che vale qualsiasi sacrificio” e in tal senso operò costantemente (protestò tra l’altro contro l’utilizzazione dei gas tossici e dei sottomarini). Per il giurista Giuseppe Della Torre “Carlo era convinto che il primo dovere di un sovrano fosse quello della testimonianza”. Non per niente, ha annotato Mamberti, “gli ambienti laicisti volevano la caduta dell’Austria-Ungheria che era l’unica potenza rimasta cattolica”. Tanto che alla fine della guerra “fu trattata peggio della Germania”. E Carlo fu descritto come “bigotto e incapace, sottopatrono dei perdenti”.
Il moderatore Fabio Balzetta ha poi dato la parola a Johan Ickx, direttore dell’Archivio storico della Segreteria di Stato che ha indagato sui rapporti tra papa Benedetto XV e Carlo d’Asburgo, riferendosi in particolare alle proposte di pace separata. Ickx già da subito ha evidenziato la chiara volontà di Carlo che poche ore dopo la morte di Francesco Giuseppe scriveva in un appunto per il discorso ai ministri che il suo desiderio fondamentale era “avviare al più presto possibile una buona pace”. E proposte di pace (in genere separata) ne furono prospettate diverse, da individui e istituzioni varie, ma anche sul piano politico. Si ricorda che, oltre a Carlo d’Asburgo, pure il principe Alberto I Grimaldi di Monaco cercò di dissuadere l’imperatore Guglielmo II dal dichiarare la guerra; dalla stessa Germania giunse in Vaticano una proposta di pace separata con il Belgio nel gennaio-febbraio 1917. Proprio nel periodo di tempo in cui pervenne a mons. Eugenio Pacelli (allora segretario della Sacra Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari) una lettera – scritta il 3 febbraio 1917 - in cui Carlo d’Asburgo assicurava il Papa “di contare sul suo appoggio nella soluzione delle gravi questioni che sorgono continuamente in questi tempi così difficili”. La lettera ha avuto un iter romanzesco, con protagonista un controverso monsignore tedesco, Rudolph Gerlach, già stretto collaboratore di Benedetto XV, poi allontanato dalla Curia per problemi finanziari con la giustizia italiana, ma probabilmente anche per l’ascesa in Vaticano del partito anti-imperi centrali. Alla lettera di Carlo, giunta poco dopo la dichiarata impossibilità di perseguire la pace separata tra Germania e Belgio, non fu dato seguito positivo.
Larga parte della relazione di Andreas Gottsmann (direttore dell’Istituto storico austriaco di Roma) è stata letta ancora da Edoardo d’Asburgo-Lorena. Il titolo era “Carlo d’Asburgo, monarca belligerante nella Prima Guerra Mondiale”. Per il relatore “i piani politici di riforma di Carlo erano di ampio respiro, perché aveva capito che lo Stato asburgico doveva essere trasformato il più velocemente possibile in uno Stato moderno del XX secolo, ma la guerra non glielo concesse” (tra l’altro sarebbe stato disposto a cedere il Trentino all’Italia). L’imperatore era critico sull’alleanza con la Germania, tanto che nell’autunno del 1914 così si esprimeva: “Noi siamo per via della cultura una nazione tedesca e in base agli abitanti una nazione semislava. Già solo per questo motivo un’alleanza con la Germania porrebbe una serie di pericoli, perché rischieremmo facilmente di diventare una grande Baviera”. Gottsmann ha evidenziato che, nonostante la guerra, le riforme in politica interna furono rilevanti; al contrario, “il corso intrapreso per una politica estera indipendente si rivelò un’utopia”. Perché “sul piano militare, politico ed economico vi era un intreccio troppo fitto con l’alleato tedesco” scelto da Francesco Giuseppe e con cui il successore si trovò a fare i conti. Non a caso naufragò l’idea di Carlo di una pace separata con la Francia. Lo storico Manfried Rauchensteiner ha sintetizzato crudamente i due anni di governo dell’imperatore: “Il suo dilemma fu cercare di combattere contro la guerra a favore della pace, portar fuori incolume da questa guerra una monarchia che si era consolidata già attraverso una riforma e minare il dominio tedesco. Ha fallito in tutti e tre i tentativi”.
Krisztina Tóth, delegata speciale per la cooperazione archivistica dell’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede, ha approfondito infine forme e contenuti dell’articolata cerimonia di incoronazione dell’ultimo re apostolico ungherese. Quell’ “apostolico” merita una precisazione. Secondo l’opinione magiara, i re ungheresi avevano diritti apostolici simili a quelli della Sede apostolica romana in quanto eredi di santo Stefano, che convertì il popolo al cristianesimo: il titolo fu poi conferito da Clemente XIII, su sollecitazione dell’imperatrice Maria Teresa, nel 1758. Krisztina Tóth, dopo avere ricordato la cordiale accoglienza ungherese verso Carlo (come emerge anche dai ritagli di stampa) è entrata nei dettagli della cerimonia di incoronazione, svoltasi il 30 dicembre 1916 nella Matthias Kirche di Buda: va segnalato che il cibo previsto per il banchetto di gala fu inviato, su volontà di Carlo, al maggiore ospedale militare della capitale ungherese. Un gesto che confermava la sensibilità verso i deboli del futuro beato.