Ricerca

    RAVASI: I MARTIRI IN TRE VERBI

    RAVASI : I MARTIRI IN TRE VERBI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 27 giugno 2013

    I martiri non ci separano dall’amore di Dio, perseverano nella fedeltà alla Sua parola, non raffreddano il fuoco della loro passione per Cristo. Sono i tre verbi attorno ai quali si è sviluppata l’omelia del cardinale Gianfranco Ravasi, durante la messa per la festa dei Protomartiri Romani celebrata come ogni anno in Santa Maria in Camposanto a fianco della Basilica di san Pietro

     

    I nostri sono tempi in cui sembra prevalere la società ‘liquida’, quella senza punti fermi perché considera tutto relativo e tutto adattabile ai capricci individuali e alle mode libertarie e affaristiche di tal o tal altro gruppo. Rappresentante ‘illustre’ di tale tendenza è Barack Obama, di cui basta e avanza ricordare la banalità dello slogan utilizzato per festeggiare il recentissimo pronunciamento della Corte Suprema statunitense in favore delle cosiddette ‘nozze gay’: love is love (amore è amore).

    Il cristianesimo vissuto vuol essere invece qualcosa di solido, fondato com’è non a caso anche sul sangue dei martiri, che papa Francesco ha richiamato nell’ Angelus di domenica 23 giugno: “In duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo”. Il cardinale Angelo Comastri, la stessa domenica, aveva evocato le storie personali di Pietro e di Paolo nell’omelia della celebrazione eucaristica nell’Aula delle Benedizioni in occasione della festa annuale dell’Associazione vaticana omonima.

    O Roma felix che dei santi Apostoli sei consacrata col prezioso sangue”, ha cantato il coro della diocesi di Roma introducendo giovedì sera la santa messa in Santa Maria in Camposanto. Tra i canti l’intensissimo “Chi ci separerà”: non a caso poiché è proprio partendo dal testo paolino (Lettera ai Romani, 8, 35-39… Chi ci separerà dall’amore di Cristo?Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?) che il celebrante, il cardinale Ravasi, ha avviato la propria riflessione. C’è un verbo, ha detto, che apre e chiude il brano di san Paolo: separare, che richiama l’atteggiamento dello spezzare, dell’infrangere l’amore in maniera netta. L’amore è soggetto alle ininterrotte tentazioni del demonio (in greco colui che divide), che tenta di eroderlo trasformando ciò che era passione in odio feroce (a tale proposito il cardinale ha evocato il romanzo breve “La Sonata a Kreutzer” scritto da Tolstoj dopo la conversione ai Vangeli). Chi sono i martiri? Coloro che impediscono che avvenga la separazione: essi non infrangono il loro legame con il Signore e con i loro fratelli. Qui Ravasi ha evidenziato la presenza tra i protomartiri di tante donne, spesso in prima fila a testimoniare la loro fedeltà a Cristo.

    Del vangelo di  Matteo ( 24, 11-13… Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità si raffredderà l’amore di molti. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato) il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura ha messo in luce il verbo perseverare, che in greco richiama il rimanere sotto un peso, un giogo. I martiri, ha proseguito, sono una testimonianza dell’impegno costante per conservare la fedeltà: “Il credere sarà un giogo anche dolce, leggero, ma è pur sempre una realtà severa, esigente”. Lo ha osservato anche papa Francesco: bisogna impedire che la fede sfumi in qualcosa di fluido, che può essere verniciato sulla nostra esistenza senza che penetri nella nostra intimità. E’ un atteggiamento, quello del perseverare, che anche nei nostri tempi “va costruito ogni giorno, con estrema pazienza, che rasenta la sopportazione e giunge a volte al martirio” (come sa chi in famiglia “ha un figlio drogato o gravi problemi economici”).

    C’è un terzo verbo, tratto ancora dallo stesso brano di Matteo, che caratterizza i martiri: l’antitesi di quel raffreddarsi cui è soggetta la fede senza il fuoco della passione. Come scrive Tacito, i martiri romani “furono incendiati” sulle croci, così che fossero spettacolo per la plebe. Può darsi che anche noi ci siamo raffreddati o ci stiamo raffreddando, essendoci lasciati separare dall’amore di Dio e non avendo avuto la costanza di perseverare in esso. Cerchiamo di porre rimedio lasciandoci pervadere da quel calore che i martiri hanno immesso nella loro vita.

    A conclusione della celebrazione eucaristica l’Adorazione e la lunga processione col Santissimo sotto il baldacchino, animata dalla Banda pontificia e ancora dal coro di monsignor Frisina (ringraziato esplicitamente e calorosamente dal cardinale Ravasi già all’inizio dell’omelia).

    Ricerca