DON VIRGILIO LEVI: GUARDARE LE STELLE SENZA DIMENTICARE LA TERRA - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org - 12 luglio 2013
Intervista all’imprenditore Emilio Mina, amico fin dalla più tenera età dell’ex-vicedirettore de ‘L’Osservatore Romano’ scomparso nel 2002
Qualche settimana fa squilla il telefono: “Sono un amico di don Virgilio Levi. Ho scoperto un articolo su di lui nel sito ‘Rossoporpora’. Ho cercato di contattarLa: un Suo collega mi ha dato il numero di cellulare”. E’ così che abbiamo conosciuto Emilio Mina, un settantanovenne milanese noto nell’ambiente tessile per aver ideato un accappatoio in microfibra , che asciuga quattro volte più della spugna, pesa 300 grammi, è anallergico e si chiama “Spaziale Splendy” (è stato donato da Mina a un gran numero di personalità, tra le quali Giovanni Paolo II). Non è però per il pur prezioso accappatoio che abbiamo incontrato il vulcanico imprenditore, ma proprio per la sua amicizia con don Levi, che ha onorato anche noi della sua vicinanza (vedi in questo stesso sito “In memoria di don Virgilio Levi”). Emilio Mina ci ha mostrato tante foto di don Levi, molti ritagli di giornali e riviste e ci ha raccontato diversi episodi riguardanti l’età giovanile del futuro vicedirettore de “L’Osservatore Romano” e qualche momento importante successivo della sua vita non certo banale.
Emilio Mina ha conosciuto Virgilio Levi a Campodolcino, sopra Chiavenna, in Valle Spluga. Virgilio era del 1929, nato dunque cinque anni prima di Emilio. I Levi “da tempo immemorabile” avevano una casa a Campodolcino e Mina andava lì da sua nonna ogni estate, fin da piccolissimo. Frequentava la casa dei Levi, piena di fratelli e sorelle e si trovava particolarmente bene con Virgilio: “Nelle giornate di pioggia andavamo in soffitta a leggere ‘Il Vittorioso’, il settimanale cattolico a fumetti che sfogliavamo avidamente”. Mina ricorda che Virgilio studiava, studiava e ancora studiava, sempre alle prese con i libri. Il sabato e la domenica a Campodolcino c’era la messa: a dodici anni Virgilio era già un seminarista e vestiva con l’abito talare.
A Campodolcino Virgilio poteva sfogare il suo amore per la montagna: “Aveva sedici anni, io undici e con suo fratello Luigi ci siamo arrampicati sul pizzo Stella, alto più di tremila metri. Non volle fare la ‘strada di vacch’, lunga e comoda, ma il sentiero ‘Federica’, più difficile (e lui aveva già provato con successo anche il ‘Canalone’, per alpinisti provetti). Lungo il ‘Federica’ abbiamo fatto dei tratti in cordata… c’era il ghiaccio ed io ero un po’ preoccupato. Lui no. Arrivati in cima, Luigi si appoggiò a una roccia, che franò e per poco non ci travolse”.
Sempre a Campodolcino Virgilio portava i ‘suoi’ giovani a vedere le stelle, in fondo al paese: si cantava, poi – assecondando la sua vocazione pedagogica - descriveva le varie costellazioni. “Qui ci ha insegnato a guardare in alto, oltre che per terra – rileva Mina – E ciò vale anche per le arti: se uno continua a fissare il terreno, non ha creatività, ma se guarda in alto può darsi che possa raggiungere le mete sognate”. Virgilio organizzava nel paese della Valle Spluga anche il gioco di Zorro: sceglieva segretamente uno Zorro che doveva lasciare la sua sigla sui muri di Campodolcino: “Noi altri dovevamo scoprire chi fosse. Quella volta che toccò a me, nessuno ci riuscì”.
Naturalmente Emilio e Virgilio si frequentavano anche a Chiavenna, nel cui ‘castello’ al termine della ‘Piazza granda’ Virgilio abitava. A Chiavenna la vita di parrocchia era intensa. Virgilio promosse Emilio a chierichetto turiboliere, con la cotta rossa, distinzione dei chierichetti più stimati. La collegiata di san Lorenzo aveva un portico bellissimo costruito in stile rinascimentale da maestri ticinesi. Il campanile aveva le campane a martello. A Virgilio piaceva molto suonare il campanone, che era pesantissimo: “Ti trascinava in alto con la corda… ma Virgilio era molto spericolato, aveva un animo avventuroso”.
Ogni anno a ottobre Virgilio organizzava una castagnata: essendo “di spirito gioviale e comunicativo”, si circondava di giovani: “Si andava in un crotto ad assaporare i marroni di Santa Croce, si beveva un po’ di vino rosso e si socializzava”. A Chiavenna Virgilio fondò i boy-scout, con sede nell’ex-Albergo Svizzero, proprietà della nonna di Emilio: “Lì sostavano per la notte le carrozze dei milanesi che andavano in Engadina, a Sankt Moritz; erano ore di riposo necessarie prima di affrontare il passo del Maloja con i suoi molti tornanti”.
In parrocchia a Chiavenna Virgilio aveva indetto un concorso per chierichetti: sarebbe stato premiato chi fosse riuscito a servire più messe in sessanta giorni: “Ci mettemmo un grande impegno. Io arrivai secondo, con 194 messe, più di tre al giorno. Ricevetti un esemplare del Vangelo. Una domenica andai anche alla messa dell’ospedale alle cinque del mattino. Ricordo le stelle, che Virgilio sempre ci indicava, e le suore con i loro canti gregoriani bellissimi”.
Facciamo un salto in avanti con gli anni e veniamo brevemente ai rapporti di don Virgilio Levi con Paolo VI, che lo stimava molto, tanto che l’aveva chiamato nel 1967 come segretario di redazione de “L’Osservatore Romano”: cinque anni dopo divenne vicedirettore. Da papa Montini, che notoriamente leggeva “L’Osservatore Romano”, don Levi ha ricevuto 13 lettere autografe; su papa Montini don Levi ha pubblicato “Di fronte alla contestazione (Rusconi, 1970), “I giorni dell’Anno santo” (Libreria editrice vaticana, 1976), “Il Gesù di Paolo VI” (Mondadori, 1985, con una prefazione di Carlo Maria Martini), “Paolo VI al popolo di Dio che è in Roma” (Libreria editrice vaticana, 1999). Ricorda Emilio Mina che don Virgilio andò con il Papa nelle Filippine: a Manila cadde da un palco e dovette restare diverso tempo in ospedale, dove in pochi giorni si fece tanti amici. Quando nel 1978 Paolo VI morì - annota Mina - l’invidia di alcuni verso don Virgilio sfociò in apprezzamenti rancorosi che lo ferirono.
Il cardinale Wojtyla conosceva don Virgilio. Che, a Cracovia, un giorno arrivò in forte anticipo a una funzione religiosa. Si sedette vicino a lui un prelato, pure molto puntuale: era uno che poi divenne papa. Quando i polacchi venivano a Roma, don Levi usciva spesso a cena con loro, proprio perché del gruppo faceva parte Karol Wojtyla. Cinque giorni dopo l’elezione a pontefice, il papa polacco incontrò i giornalisti che avevano seguito il conclave, salutando subito chi conosceva… lui, don Virgilio, l’unico che gli era noto. In quell’occasione gli fu confermata la vicedirezione de “L’Osservatore Romano”.
Dal 16 al 23 giugno 1983 papa Giovanni Paolo II fece un viaggio apostolico in Polonia, concluso da un incontro di grande importanza politica con il generale Jaruzelski nel castello del Wavel a Cracovia. Si trattava di trovare il modo per attenuare la tensione nel Paese dopo la messa al bando di Solidarnosc e l’arresto di Lech Walesa: nell’incontro il capo dello Stato polacco promise di abolire presto la legge marziale (un mese dopo fu effettivamente abrogata). “L’Osservatore Romano” uscì il 24 giugno con un commento in prima pagina intitolato “Onore al sacrificio”, in cui don Levi ‘congedava politicamente’ Lech Walesa, notando che “talvolta è necessario il sacrificio delle persone scomode, perché un miglior bene ne possa nascere per la comunità”. Rientrato papa Wojtyla a Roma, don Levi fu costretto alle dimissioni. “Io appresi la notizia dalla radio: era del tutto inaspettata e restai come folgorato” – rileva Emilio Mina – “L’ho chiamato subito, ho percepito il suo disagio. Mi disse: Tra qualche giorno arrivo a Milano. Fu così. Andammo a mangiare in un ristorante vicino a piazza de Angeli. Rivendicò: In quel momento ho scritto qualcosa in cui credevo, che pensavo corrispondesse a verità. Mi sono comportato come un giornalista. Non ho pensato che scrivere quel pezzo fosse inopportuno in quel momento”. Don Levi aveva mandato le bozze dell’articolo in Segreteria di Stato e non aveva ricevuto nessun altolà: “Resta qui un vero punto interrogativo”, osserva Mina.
A fine aprile del 1985 Pippo Marra lo chiamò come condirettore dell’agenzia Adn-Kronos. Sulla nomina Mina era scettico (“Glielo dissi che non potevo condividere completamente la decisione di accettare”). La questione si risolse però in ventiquattr’ore. Don Virgilio si presentò a una redazione molto perplessa per il fatto di trovarsi un sacerdote come condirettore. Il Partito socialista italiano (partito di riferimento dell’agenzia) emise una nota molto dura di protesta. Don Levi rinunciò. “Mi disse il giorno dopo: La pratica Adn-Kronos è superata”. Dall’inizio del 1987 (fino al pensionamento nel 1999) fu poi direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Roma.
Emilio Mina parlò al telefono con don Levi quattro giorni prima che morisse, il 19 gennaio 2002: “Discutemmo di Berlusconi, non tanto della persona, quanto del sistema politico bipolare che aveva in qualche modo inaugurato. Don Virgilio era scettico sul buon funzionamento di tale sistema. E mi disse: Ce ne accorgeremo tra alcuni anni”.
Ci avviamo al termine della conversazione con il nostro interlocutore: “Una delle cose che don Virgilio mi ha trasmesso è l’amore per la musica classica, liturgica, popolare. Già a Campodolcino cantavamo molto. A Roma ricordo che una volta mi invitò a un concerto natalizio in una chiesa bellissima: musica indimenticabile. Amava la vita in tutte le sue sfaccettature. Al Tennis Club Ambrosiano di Milano ce lo rammentiamo ancora per la ‘lezione’ in cui ci fece assaporare da lontano i tesori della Cappella Sistina. Aveva un grande dono: sapeva far vivere in tutti quelli che lo ascoltavano ciò che illustrava con una passione e una competenza rare, frutto del suo approccio positivo e vitale alle cose del mondo. Mai dimenticando però di guardare in alto”.